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Home ›Continua la lenta agonia del capitale
Con il progresso scientifico e tecnologico, che assume proporzioni sempre più vaste e profonde, l'aumento della composizione organica del capitale investito nella produzione di merci diventa il principale ostacolo a quella progressione costante della sua valorizzazione e conseguente accumulazione. La caduta del saggio medio di profitto si manifesta in termini allarmanti, mentre i consumi (acquisti) di merci restano stabili o addirittura diminuiscono. Il plusvalore che il capitale si appropria diventa così insufficiente per i suoi “bisogni”, per il funzionamento dei suoi meccanismi - in primis la sua accumulazione che vede i propri ritmi abbassarsi costantemente mentre la popolazione proletaria va crescendo a ritmi ben superiori a quelli del capitale variabile che vien messo a sua disposizione. Per quanto la massa del profitto possa crescere - là dove il capitale esaspera a limiti bestiali lo sfruttamento della forza-lavoro – va crescendo il denaro che – come capitale - non trova più condizioni vantaggiose di investimento, cioè di valorizzazione. Ne consegue un
peggioramento della situazione della classe operaia, l'aumento non solo della sua miseria sociale, ma anche della sua miseria fisica.
Marx
Paradossalmente, abbiamo quello che Marx definiva come “eccesso di capitale ed eccesso di popolazione”. La produzione capitalistica entra in crisi con il dilagare delle contraddizioni che la soffocano. Sarebbe questo il momento per una ripresa della lotta di classe, mentre il diffondersi di una fittizia “economia finanziaria” minaccia una esplosione catastrofica da un giorno all’altro. E sulla nave che affonda (si ricordi il Titanic!) brindano e danzano le tante marionette politiche che occupano i palcoscenici della destra e sinistra borghese, fra gli applausi delle bande malavitose di parassiti “benestanti” e faccendieri pubblici e privati. Tutt’attorno, il mare in tempesta di “un movimento senza misura” – scriveva un certo Marx – che per il capitale sarebbe la condizione ideale affinché prosperi quella riproduzione allargata con la quale si accumula capitale, a condizione – sempre – che si esprima una vitale valorizzazione del capitale.
Ma ecco che tutti sono costretti – per la necessità di contenere i costi del lavoro – a modificare la composizione organica del capitale come unica misura per ottenere plusvalore relativo. Occorrono “investimenti” convenienti in termini di profitto, altrimenti aumenterebbero soltanto i debiti (privati e pubblici) da rimettere al dio capitale il quale non ha la minima compassione e misericordia per chi è “insolvente”, pur facendo parte della sua “fraterna comunità”.
Si batte la grancassa di un ipotetico rilancio economico, produttivo e finanziario, che possa ripagare i debiti all’insegna della più estesa competitività possibile. Si abbozza un domani da Paese dei Balocchi mentre la disgregazione sociale avanza di giorno in giorno, fra le rovine di quelle politiche monetarie alle quali ci si è invano aggrappati come soluzione di ogni male, con menti geniali che hanno abortito mostriciattoli ideologici di copertura. Restano in sospeso le “spese pubbliche”, naturalmente con quelle militari (per la difesa…) in primo piano, e tutte da “risarcire” con dei “ricavi” che le masse proletarie dovrebbero fornire con lacrime e sangue nel perverso gioco delle “entrate-uscite”, sapendo bene chi paga non solo alla fine ma anche durante la partita! Con il mito della coesione sociale che impone il rispetto della divisione in classi della società, con la frequentazione delle fumerie d’oppio per… “restituire dignità ai lavoratori” attraverso “una crescita inclusiva e favorevole alle classi subalterne”. Così si racconta dagli appositi pulpiti!
È questa la vita sociale con la quale - finché esisteranno le classi sociali- uomini e donne si rapportano fra di loro: una maggioranza che lavora – e sopravvive solo se può lavorare con un salario – e una minoranza che difende i suoi interessi e privilegi unicamente dipendenti dalla valorizzazione del capitale. Un capitale che diventerebbe addirittura “socialista” – come cantano le sirene cinesi – qualora le sue… dinamiche si volgessero a favore di un “vantaggio comune, regolando il commercio mondiale in modo virtuoso ed armonico”!
Ormai anche l’ultimo dei servi sciocchi del capitale si sta rendendo conto che non c’è una briciola di ricchezza reale dietro i crescenti cumuli di moneta fittizia: altro che “merci per tutti”, “investimenti pubblici di largo respiro”, “relazioni virtuose tra domanda e lavoro salariato”, diffondendo l’illusione che tutti siano cittadini liberi ed eguali. È un equilibrio che il capitalismo insegue da secoli, mascherandosi persino di “socialismo”, come fu in Russia con lo stalinismo ed oggi in Cina con quel misterioso “oggetto” definito capital-socialismo.
Ma l’agonia di questo sempre più assurdo modo di produrre e distribuire prosegue e si approfondisce. Occorre distruggerlo, e al più presto; la sua realtà non può essere a lungo travisata. Gli attuali rapporti di produzione e distribuzione hanno come loro base lo sfruttamento del vivo lavoro umano “convenientemente” salariato, con un preciso e condizionante fine: il capitale deve intascare il “giusto” profitto, “producendo” quel plusvalore che in piccola parte puntelli l’inganno di un immaginario Welfare e sempre inseguendo una produzione di merci esigente valori di scambio e non di uso, come invece sarebbe necessario. Ma come sfruttare un lavoro vivo che in quasi tutti i processi produttivi è tendenzialmente sostituito da macchine automatizzate? Come fermare la caduta dei saggi di profitto? (1) Si tratta di problemi ai quali l’intellighentia delle classi dirigenti preferisce rispondere con… mezzi – se necessari – di una ben determinata specie. Ne ha in abbondanza…
Ed ora arriva il timore per una ripresa dell’inflazione. Già negli Usa siamo un +4,2 annuo anziché un previsto +3,2%. La Cina lamenta un +6,8% dei prezzi (rigorosamente… “socialisti”!) alla produzione delle merci. Un fenomeno temporaneo? Non sembra, visto il complesso e più che critico stato globale del capitalismo – compreso quello cinese in veste “socialista”… – sia per quanto riguarderebbe il settore della produzione di merci sia per quello della finanziarizzazione, la quale sembra essere indispensabile anche per “costruire” il “socialismo” in un solo paese (Cina), peraltro già sperimentato dal padre Stalin. La lenta agonia del capitale viene mistificata tra i fumi (maleodoranti) di una “incertezza” che le inondazioni di moneta cartacea hanno ormai ingigantito. A cominciare dal circuito di quegli asset finanziari che dilagano fra pacchi di obbligazioni e derivati, titoli di debito pubblico e privato. Una “ricchezza” più che fasulla, che contrasta con una produzione di merci in… avaria, e una crescita dei debiti pubblici e privati preoccupante. La cosiddetta “ricchezza” – finché domina il capitale – si misura in base all’aumentata produzione e vendita di merci; il solo pensiero che una droga come quella monetaria possa mantenere in vita il moribondo non fa che allontanare le ultime speranze di un ampliarsi dei consumi, proprio mentre il capitalismo gonfia una delle sue principali contraddizioni: quella di essere costretto a ridurli progressivamente. Altro che un loro sostegno puntando sulla “centralità” della domanda, con i costi del lavoro in deplorevole crescita, mentre qualche “ben pensante” blatera di “politiche di sostegno alla domanda interna”… Mentre la “economia” del capitalismo si è diffusa a livello planetario, dilaga lo strapotere del più sfrenato oligopolismo, col rigido controllo – a favore dei profitti – di costi e di prezzi finali. Strategie industriali che se ne infischiano dei bisogni di miliardi di esseri umani che finché non si organizzeranno politicamente per rompere le catene del valore di scambio e delle “logistiche” imposte dal capitale, vedranno le loro condizioni di vita precipitare a livello della più feroce lotta per la sopravvivenza.
E fra i rincari che già hanno iniziato a mordere i settori delle materie prime (ferro, stagno, rame, alluminio) con ripercussioni nella metallurgia, siderurgia e plastica, le “dinamiche strutturali” del capitalismo barcollano, con le “politiche monetarie” che fanno da momentanei palliativi, ma che poi aggravano le condizioni del malato (vedi la cosiddetta “monetizzazione del debito”) e le preoccupazioni dell’establishment stretto attorno al capitale. Con sguardi (e armi) vigili sul pericolo di improvvisi conflitti sociali che una sempre più debole domanda di merci, dipendente dai salari in costante diminuzione (proprio per cercare di alzare il saggio del profitto) e dall’esercito dei disoccupati in continuo aumento. Ancora una volta, tempo al tempo, e mentre la borghesia sogna i “rilanci”, noi e il partito che la classe operaia con le sue avanguardie deve ricostruire, guardiamo in concreto all’accendersi di una fiammata rivoluzionaria globale.
DC(1) Circolano dati dai quali si apprende che il saggio di profitto dell’economia Usa era del 18% nel 1948; è precipitato all’8% nel 1960 per poi scendere al 5,5% nel 1988 e da allora in sofferenza costante.
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