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Home ›Mauro, non ti dimentichiamo!
Sono trascorsi 16 anni dalla scomparsa (2 maggio 2005) del nostro indimenticabile compagno Mauro Stefanini. Il suo ricordo rimane sempre vivo in noi e volentieri pubblichiamo – da un suo editoriale in Prometeo-novembre 1992 - i brani riguardanti i primi attacchi tesi a smantellare, colpo su colpo, quel simulacro di “Stato sociale” che di fronte all’avvicinarsi di una ennesima crisi economica (questa volta addirittura da… tramonto storico) non poteva essere sostenuto a lungo nei suoi “caritatevoli” interventi da… elemosina sociale.
E il conto finale di ciò che il capitale sta oggi faticosamente elargendo, stretto nella morsa epidemica del covid, non farà che aggravare tragicamente non solo le nostre ma anche le sue “condizioni di salute”, già ora prossime ad uno stadio estremo di sopravvivenza. Anche se ben sappiamo a chi spetta una soluzione definitiva al presente e insostenibile stato di cose. E tu, Mauro, sarai sempre con noi. Ancora un saluto a pugno chiuso!
Novembre 1992, la classe operaia italiana sta subendo una serie di attacchi senza precedenti dal secondo conflitto mondiale.
È sotto gli occhi di tutti che lo "stato sociale conquistato in quarant'anni di lotte del movimento operaio", sta subendo lo smantellamento sistematico. Ma c'è di più: il salario viene decurtato e tutto il fronte borghese sta lavorando alla radicale modifica della sua struttura.
La manovra sul salario ha due obiettivi. Il primo è di comprimerne l'ammontare complessivo, sociale, per recuperare su quel fronte quanto il capitale perde dalla caduta del saggio di profitto per effetto dell'aumento della sua composizione organica. In sostanza i capitalisti, guadagnando meno in rapporto al capitale investito, cercano di difendere i propri saggi di profitto erodendo direttamente il salario operaio.
Il secondo obiettivo è quello di adeguare la struttura del salario alla nuova organizzazione del lavoro comprato con il salario stesso. La rivoluzione del microprocessore ha mutato radicalmente il processo lavorativo, rispetto ai modi (fasi e procedure) in cui si presentava fino a ora. La organizzazione scientifica (tayloristica) del lavoro deve essere sostituita con le nuove forme di organizzazione sostanzialmente adeguate alla flessibilità del processo produttivo oggi richiesta.
La manovra assume le caratteristiche dell'attacco brutale perché è attuata senza alcun ammortizzatore, senza paracadute, con la precipitazione del si salvi chi può.
Non è una scelta del capitale, dei padroni e del loro stato: è una loro vitale necessità.
Qui va chiarito un punto. È vero che lo stato sociale, o welfare state, è stato strappato da quaranta anni di lotte del movimento operaio. Ma è anche vero che al fianco del movimento operaio, su quel terreno, c'era anche la borghesia illuminata, l'intellighenzia keynesiana. In termini più classici: quelle conquiste non erano realmente tali, rispondendo bensì agli interessi del capitale nella fase espansiva del suo ciclo di accumulazione. Lo "stato sociale" era lo stato ideale delle metropoli avanzate del capitale. La Svezia lo aveva, ben più sviluppato ed efficiente che da noi, senza la Cgil, senza il Pci e senza grandi tornate di scioperi.
Ora la fase del ciclo di accumulazione non è più espansiva, ma è quella di crisi o di chiusura. Il capitale, dunque, attacca senza disporre di margini di manovra: se attacca il welfare state, è perché non può farne a meno; e non si torna indietro. E questo vale in Italia, come in Svezia, in Gran Bretagna come negli Stati Uniti.
Questo, che è per noi una ovvietà, è invece il nodo di fondo che tutti qui si affannano a nascondere. E quando diciamo tutti ci riferiamo anche a quelli che si presentano come progressisti, innovatori o addirittura rivoluzionari, all'interno – e non solo – delle istituzioni borghesi: sindacati e Rifondazione comunista, per intenderci.
Il dramma storico è che il loro sforzo è in parte premiato: la classe operaia ancora cede all'illusione che si possa tornare indietro, che comunque si possa mitigare la portata degli attacchi, che si possano salvaguardare... "le conquiste di quaranta anni di lotta".
Chi, e non manca, non crede più alle possibilità di difesa sul terreno che vedeva unita la classe operaia (per noi, da sempre, riformista e sostanzialmente perdente, ma tant'é), cede invece alla disperazione e cerca sul mercato delle idee quelle che gli sembrano più originali, di rottura. Non conta che non stiano in piedi sul piano teorico né che non siano poi tanto originali, perché ripescate invece dalle pieghe più oscure del passato. Quel che conta è che siano appunto... di rottura. Tanto più successo tali idee avranno, se a sostenerle ci sono strati consistenti di borghesia, con la dovizia di mezzi necessari a farle circolare e a dare loro magari sostanza organizzativa. Un esempio è il leghismo…
Il crollo dell'Unione Sovietica e dei miti che l'hanno accompagnata, ha significato anche il crollo delle idealità che hanno tenuto insieme la classe operaia quantunque su un terreno che non era il suo. Il risultato è che la parola comunismo non esercita più il fascino che esercitava sulle masse operaie, sebbene fosse riferita a realtà che erano la negazione del comunismo. È morto il falso mito del "comunismo reale", e non è rimasto nulla. D'altra parte l'ideologia "comunista reale" aveva cancellato proprio il significato vero di quella parola, di quella idea.
La classe operaia non trova più alcun punto di riferimento e rimane in balia dei marosi ideologici di una borghesia, anch'essa allo sbando. E la classe operaia ha subito, d'altra parte, un processo di scomposizione reale, che ha naturalmente accompagnato la ristrutturazione/rivoluzione tecnologica. Le linee di ricomposizione materiale della classe si stanno definendo. Lo sforzo della avanguardie è teso a riconoscerle e inserirsi in esse per fare concrescere il punto di riferimento, per dare una prospettiva, nuova, quantunque formulata da lungo tempo.
La lotta di difesa degli operai si scontra con il muro delle compatibilità capitalistiche. Di fronte a tale muro si fermano tutte le forze che non hanno mai osato pensare a ciò che stava dietro. Noi dobbiamo ridare conto di quel che ci può essere dietro, ridare la forza di guardare oltre e lo slancio per abbattere il muro.
La classe riparte da zero, ma le sue avanguardie hanno - o possono avere - il patrimonio di elaborazione, di lotta e di esperienza politica di un secolo e mezzo di storia del movimento rivoluzionario.
Si riparte daccapo, ma ricapitolando le acquisizioni delle battaglie e delle sconfitte passate. La classe necessita del suo partito e noi siamo impegnati a ricostruirlo. Ne compendiamo qui le basi fondanti. Ma ricordiamo che c'è bisogno di uomini (1), della loro volontà e della loro organizzazione, perché il partito possa procedere e affermarsi nella classe.
(1) Va da sé che col termine “uomini” si intende l'essere umano, in tutte le sue “declinazioni” sessuali.
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