Otto momenti storici delle donne operaie per l’8 marzo

Per quella che una volta era la Giornata Internazionale dell’Operaia, prima che diventasse la Giornata Internazionale della donna quando venne cooptata dalle Nazioni Uniti e dai suoi sponsor aziendali, abbiamo scritto a proposito di 8 lotte nel corso della storia in cui le donne lavoratrici svolsero un ruolo vitale ed autorevole. Si possono trovare su questo sito web altri articoli, scritti dalla CWO (Festeggiare la Giornata Internazionale della donna a 100 anni di distanza) e dalla ICO (L’origine e la cattura della Giornata Internazionale dell’Operaia), che dettagliano la storia ed il significato di questa data.

1. Lo sciopero degli affitti del 1915 a Glasgow, in Scozia

Durante la Prima Guerra mondiale, nel maggio del 1915, i padroni di casa nella Glasgow sovraffollata presero la decisione di aumentare gli affitti. Gli affittuari la considerarono giustamente una speculazione (contro cui c’era una legge!) e si rifiutarono di pagare l’aumento e continuarono a dare al “fattore” (l’esattore degli affitti dei proprietari) il vecchio affitto. Questo fu l’inizio dello sciopero degli affitti. I padroni di casa risposero con gli sfratti individuali attraverso la Corte dello sceriffo ma furono sorpresi dalla risposta collettiva. Le donne della classe lavoratrice formarono associazioni degli inquilini come la famosa Associazione per l’edilizia abitativa delle donne del Sud di Govan, guidata da Helen Crawfurd, Mary Barbour, Agnes Dollan e Jessie Stephens, che alla fine giunse a coprire tutta la Glasgow operaia (e vennero soprannominati “l’esercito della signora Barbour”). (1)

I membri dell’associazione organizzarono incontri locali e fecero in modo che sempre più persone si unissero alla lotta, compresi militanti di vari gruppi e partiti. Vennero stampati in migliaia di copie gli avvisi “Non pagheremo l’affitto aumentato”, affissi virtualmente ogni finestra. La solidarietà che queste azioni raggiunsero fu il segreto del suo successo. Nel mese di maggio erano coinvolte soltanto 15mila famiglie, ma entro il mese di novembre questa cifra era raddoppiata. Le loro tattiche vennero anche copiate a Dundee, Aberdeen, Leeds, Bradford, Edmonton, Barrow, Workington, Coventry e Birmingham. Dopo un’estate di sconfitte i padroni di casa poi tentarono di usare il tribunale “dei piccoli debiti” per prelevare gli affitti direttamente dai salari dei lavoratori. Diciotto di loro, incluso “il signor Reid”, il segretario dell’Associazione di Difesa degli inquilini, vennero portati davanti alla Corte dello sceriffo il 17 novembre 1915. Ciò produsse una delle più grandi manifestazioni dell’entusiasmante storia della classe lavoratrice di Glasgow. Decine di migliaia di uomini e donne si riunirono per manifestare davanti alla Corte dello sceriffo. Ma questo caso non era soltanto questione di una singola manifestazione. Quindici delle persone accusate erano lavoratori dei cantieri navali e ciò incoraggiò la solidarietà operaia. Scioperi selvaggi scoppiarono nei cantieri Fairfield (Govan) e Beardmore (Dalmuir). Lo sceriffo fu avvertito che qualsiasi procedimento penale sarebbe stato accolto da uno sciopero di massa in tutto il Clyde. Non si trattava di una minaccia vana. Un mese prima gli scioperi di massa avevano già costretto il governo a rilasciare tre dei rappresentanti sindacali non ufficiali del Comitato dei lavoratori del Clyde che erano stati imprigionati per aver resistito al “Munition Act”. Improvvisamente le regole del sistema legale dei padroni vennero buttate fuori dalla finestra. Mentre la protesta cresceva, lo sceriffo aggiornò le udienze e telefonò a Lloyd George, che gli disse di cedere, dato che stava per essere approvata una nuova legge sul contenimento degli affitti. Egli poi disse alla Corte che, anche se era obbligato a “far rispettare la legge”, “a causa della gravità della situazione” riteneva inopportuno che il processo continuasse. Il fattore fu convinto a ritirare l’accusa tra gli applausi dentro e fuori dal tribunale. La forza della solidarietà di classe trasformò tutto ciò in qualcosa di più di una vittoria locale sugli affitti ingiusti. Tuttavia, il contesto generale non dovrebbe essere dimenticato. I padroni avevano una guerra tra le mani ed il loro primo obiettivo era quello di mantenere il flusso delle armi. I padroni delle fabbriche di munizioni a Woolwich e Birmingham avevano già avvertito che la questione abitativa avrebbe condotto a più scioperi e a disordini più ampi e quindi avevano chiesto al governo di porre un tetto agli affitti. Lo sciopero degli affitti di Glasgow confermò le loro preoccupazioni. Lo sciopero portò all’immediata attuazione “della legge di restrizione degli affitti del 1915” che giovò agli affittuari di tutto il paese. Questa battaglia terminò con una vittoria (ma non con alloggi migliori). I suoi metodi rimangono un’ispirazione e giusto uno dei tanti esempi fantastici di come la resistenza delle lavoratrici contro i padroni e i proprietari di case può stimolare l’azione e la solidarietà di tutta la classe. Come scrisse John Mclean allora “lo sciopero degli affitti è il primo passo verso lo sciopero politico”. Più di un secolo dopo il capitalismo continua ad esistere e la guerra di classe sul fronte domestico prosegue….

2. La rivoluzione di febbraio del 1917 in Russia

La Giornata Internazionale della donna del 1917 fu una giornata storica per la classe operaia, perché decine di migliaia di lavoratrici, provenienti principalmente da fabbriche e stabilimenti tessili, guidarono una serie di cinque giornate di scioperi e manifestazioni a Pietrogrado, esigendo la fine del regime zarista. Morirono 1300 persone, ma i lavoratori prevalsero quando gli scioperi si trasformarono in un’insurrezione armata. Le lavoratrici ebbero un ruolo fondamentale nella Rivoluzione di febbraio, rifiutando apertamente la campagna per il suffragio femminile delle femministe della classe media, volta ad assicurare i voti al governo provvisorio, per combattere invece a fianco dei loro compagni maschi sulla base di interessi di classe condivisi. In realtà, le lavoratrici avevano intrapreso lo sciopero contro il parere di tutte le organizzazioni politiche che avevano creduto fosse troppo presto per mobilitare un movimento pienamente rivoluzionario. Loro avevano voluto limitare l’azione ad una manifestazione contro la guerra, aspettandosi una sconfitta, ma le donne bolsceviche decisero di organizzarsi all’interno dei propri circoli che erano nati da queste organizzazioni socialiste. L’Associazione di mutuo soccorso delle lavoratrici aveva stretti legami nelle lavoratrici del tessile e cercò “di organizzare e diffondere la propaganda tra il proletariato femminile di fabbrica”. Le condizioni per le lavoratrici furono esacerbate dalla guerra, dato che la coscrizione obbligatoria per gli uomini aveva spinto altre 250000 lavoratrici nella forza lavoro di Pietrogrado, per un totale di circa un milione di lavoratrici. La maggior parte delle donne dovevano dividere il loro tempo tra il lavoro per lunghe ore nelle industrie di guerra e la cura dei loro figli; nel loro tempo libero facevano la fila per il pane ed il kerosene. La carenza di cibo, in particolar modo la scarsità di pane, rappresentò un fattore motivante enorme per le esortazioni allo sciopero; per le lavoratrici la goccia che fece traboccare il vaso si materializzò all’inizio di febbraio, quando soltanto la metà del cibo ordinato per Pietrogrado era arrivata. Erano scoppiate delle rivolte per il pane giorni prima della Giornata Internazionale della donna, in cui i panifici erano stati saccheggiati e le proprietà distrutte, ma ciò che trasformò le rivolte in qualcosa con una direzione organizzativa più forte furono le riunioni di massa che le lavoratrici tennero, sollecitando sia i lavoratori che le lavoratrici a lasciare i loro posti di lavoro per prendere parte alle manifestazioni. Tra gli 80.000 e i 120.000 lavoratori parteciparono allo sciopero - la maggior parte di loro erano donne lavoratrici - chiedendo pane, pace e la fine del dominio zarista. Nei giorni che seguirono, le donne ricoprirono un ruolo importante nel convincere i cosacchi a passare dalla parte della rivoluzione, raccontando loro della mancanza di fornitura di pane e di uomini al fronte, essenzialmente svergognando le truppe per il loro ruolo nella guerra, che aveva contribuito al deterioramento delle condizioni della classe operaia russa. Si dovette aspettare fino alla Rivoluzione d’Ottobre perché si facessero dei veri progressi per le lavoratrici; non soltanto riconobbe alle donne proletarie gli stessi diritti politici ed in ambito lavorativo degli uomini, ma legalizzò anche (e facilitò il processo di) divorzio, congedo di maternità, assistenza ai bambini, e sicurezza del lavoro durante la gravidanza. Per quanto questi progressi fossero temporanei e destinati ad essere annullati poco dopo l’avvento al potere di Stalin, la Rivoluzione di febbraio segnò comunque un punto di svolta nella storia per le donne della classe lavoratrice. Le lezioni che apprendiamo sia dalle loro vittorie che dai loro errori, sono indispensabili per noi come militanti, mentre ci sforziamo di costruire legami all'interno della classe e lavoriamo per costruire il partito rivoluzionario del futuro – un partito che è necessario per la rivoluzione proletaria internazionale, e per la liberazione delle donne e di tutta l'umanità. (2)

3. Donne contadine e lavoratrici durante la Prima Guerra mondiale in Italia

Durante la Prima Guerra mondiale in Italia, proprio come negli altri paesi belligeranti, le lavoratrici vennero catapultate all’avanguardia della vita sociale in una grande potenza capitalista, mentre i lavoratori vennero arruolati nell’esercito e costretti a lasciare le loro case ed il loro lavoro salariato per unirsi al massacro imperialista come bestiame. Le lavoratrici, così come le contadine che si trovavano in una situazione simile, formavano agli occhi della borghesia e del suo Stato una componente fondamentale del cosiddetto fronte interno e dovevano quindi tenere in piedi l’economia e alzare il morale dei soldati per sostenere lo sforzo bellico in un atto di coraggio "patriottico". Non si può fare a meno di notare alcuni parallelismi con la copertura mediatica dell’attuale emergenza Covid, nel ricordare come all’epoca i media e l’apparato statale fecero accrescere il sostegno alla guerra imperialista e cancellarono di proposito le differenze di classe: in entrambi i casi ci viene venduta l’illusione che siamo tutti sulla stessa barca e che la classe lavoratrice e gli sfruttati in generale devono accettare sacrifici per il bene della nazione. Fortunatamente per noi comunisti internazionalisti, che attingiamo alle lezioni del passato, le lavoratrici e le contadine reagirono e così facendo ci hanno anche dimostrato come la rivoluzione della classe lavoratrice sia un prerequisito per l’emancipazione delle donne. Infatti le lavoratrici e le contadine parteciparono e diedero impulso ad alcune grandi lotte nel periodo precedente alla fine della Prima Guerra mondiale in Italia, al punto che anche la storiografia tradizionale non ha potuto ignorare la loro partecipazione e spesso il loro ruolo di guida nelle lotte della classe lavoratrice e nelle lotte “popolari”. Scioperi, manifestazioni e atti di sabotaggio contro la guerra coinvolgenti le lavoratrici, le lavoratrici agricole e le contadine continuarono per tutto il periodo della guerra e durante il breve periodo di neutralità dell'Italia, ma il culmine fu raggiunto a Torino quando, nell'agosto 1917, le lavoratrici che cercavano di comprare il pane scoprirono che i negozi di alimentari erano vuoti e attaccarono i furgoni che trasportavano i rifornimenti dei proprietari dei negozi, solidarizzando con altri lavoratori e gran parte del resto della popolazione che viveva nei quartieri più poveri della città. L’insurrezione di massa portò ad un braccio di ferro tra i lavoratori, gli altri insorti e le forze armate, che repressero brutalmente l’insurrezione provocando parecchie dozzine di morti e danni permanenti, dato che molti lavoratori e partecipanti all’insurrezione furono feriti, incarcerati o arruolati nell’esercito. Tragicamente, la classe lavoratrice in Italia non ebbe un partito comunista rivoluzionario, che avrebbe potuto incanalare la combattività e le aspirazioni rivoluzionarie di gran parte della classe lavoratrice, fino all'inizio del 1921, quando l'onda rivoluzionaria seguita alla Rivoluzione d'Ottobre era in ritirata sia in Italia che nel mondo. Eppure, episodi come l'insurrezione di Torino dimostrano come le lavoratrici abbiano assunto un ruolo significativo nelle lotte operaie contro la borghesia e il suo Stato, in quanto membri della classe lavoratrice e non come donne in sé, anche se durante la guerra il loro genere le caricò di un onere aggiuntivo, che forse le fece rivoltare più facilmente contro la borghesia ed il suo Stato, tra le avversità che stavano affrontando, dovendo provvedere alle loro famiglie e dovendo subire salari più bassi rispetto agli uomini insieme alla disciplina del lavoro militarizzata in zone dell’Italia settentrionale che erano state invase dagli eserciti della ex Triplice Alleanza. Allo stesso modo, le lavoratrici agricole e le contadine condussero anche scioperi e proteste contro il governo durante la Prima Guerra mondiale, spesso in uno sforzo comune con le lavoratrici industriali, non perché fossero donne o anche contadine ma per le condizioni materiali che avevano sperimentato durante la guerra come parte della classe lavoratrice o del piccolo contadiname. Le lavoratrici e le contadine portarono avanti queste lotte perché giunsero a capire che lo Stato rappresentava la borghesia e che la guerra imperialista era stata intrapresa per promuovere gli interessi della classe dominante: ciò era in netto contrasto con le attività delle militanti femministe, i cui sforzi erano invece volti a sostenere la guerra e/o ad ottenere il diritto di voto come ricompensa per le loro opere caritatevoli durante la guerra. Molte femministe e le loro organizzazioni attive in Italia cercarono persino di corteggiare il favore dei fascisti con l'ascesa al potere di questi ultimi, e i fascisti sembrarono inizialmente ripagare il loro sostegno approvando una legge che concedeva un limitato diritto di voto ad alcune categorie di donne borghesi nelle elezioni locali del 1925, per poi rendere irrilevanti queste “conquiste” con l’abolizione delle elezioni locali da parte del fascismo l’anno successivo. Non c’è nulla che, come le esperienze storiche che abbiamo riassunto, potrebbe illustrare meglio la necessità di un partito comunista rivoluzionario radicato nella classe operaia e la natura illusoria della fede del femminismo nell'eliminazione o nel miglioramento dell'oppressione delle donne per mano dello stato capitalista sotto il modo di produzione capitalista.

4. Lo sciopero generale di Winnipeg del 1919 in Canada

Anche se lo sciopero generale di Seattle nel febbraio del 1919 durò soltanto 6 giorni, quello che ebbe luogo diversi mesi dopo e circa 2.300 chilometri a est, a Winnipeg, Manitoba, durò 6 settimane e fu il più grande movimento di sciopero nella storia del Canada. La prima guerra mondiale fu accompagnata da un aumento del costo della vita, da condizioni abitative scadenti e da una crescente disoccupazione, con i soldati di ritorno che trovavano pochi lavori. Quando i lavoratori edili e metallurgici cercarono di negoziare contratti con i padroni, furono respinti e così venne rifiutato anche ogni tentativo di contrattazione collettiva. Il 15 maggio 1919, la maggior parte della forza lavoro di Winnipeg, oltre 30.000 lavoratori, andò in sciopero. Le lavoratrici svolsero un ruolo vitale nello sciopero e come membri del suo comitato. Furono 500 operatrici telefoniche non sindacalizzate le prime a scendere in strada quella mattina. Altre lavoratrici del settore pubblico e privato, e le operaie metalmeccaniche ed edili, ne seguirono le orme da vicino. Solo un terzo degli scioperanti faceva parte di un sindacato. Uomini d'affari e professionisti locali produssero un giornale anti-sciopero chiamato The Winnipeg Citizen e i ministri del governo minacciarono di licenziare i lavoratori postali scioperanti. La “legge sull’immigrazione” fu modificata per dare allo stato il potere di deportare per "attività sediziose" qualsiasi lavoratore non nato in Canada e il 5 giugno il sindaco vietò le manifestazioni pubbliche. Tutto questo si incontrò con la solidarietà di classe dei lavoratori di altre grandi città. Ciò avvenne in particolar modo nell’Alberta, dove più di 3.500 lavoratori di Edmonton e Calgary scioperarono dal 15 maggio al 15 giugno. Anche i lavoratori di Lethbridge e Medicine Hat votarono per lo sciopero, ma questa mossa fu ostacolata dai leader sindacali. Il 21 giugno i soldati rientrati a Winnipeg indissero in questa città una manifestazione per protestare contro l'arresto dei leader dello sciopero e un'altra a Calgary. La polizia attaccò la folla con bastoni e poi sparò dei colpi, uccidendo due scioperanti, mentre ne ferì e arrestò molti altri. A causa di questa violenza i leader dello sciopero persero fiducia e il lavoro riprese il 26 giugno, tuttavia, ancora oggi lo sciopero rimane un evento significativo nella storia della classe lavoratrice sia canadese che mondiale.

5. La marcia delle donne del 1929 a Port Adelaide, in Australia

Con l’emergere della Grande Depressione arrivarono gli scioperi e le rivolte più violente della storia dell’Australia del Sud. Fu incluso tra questi lo sciopero e l’insurrezione del 18 gennaio 1929, quando all’incirca 800 lavoratrici - per lo più mogli di lavoratori delle banchine (gli scaricatori) e lavoratrici disoccupate - e i loro figli marciarono a Port Adelaide in sostegno dei loro mariti e padri – invitando i lavoratori ad unirsi a loro. Quando le lavoratrici tentarono di affrontare i crumiri, la polizia a cavallo attaccò la folla. I poliziotti picchiarono le donne e i bambini, che reagirono con pietre, bottiglie e pezzi di legno. Questo evento fu una risposta a una sanguinosa battaglia tra poliziotti e scioperanti scoppiata il giorno prima e fece parte delle lotte organizzate dei lavoratori che erano in ebollizione da diversi mesi. Le prime azioni di sciopero e di protesta ebbero luogo il 28 settembre 1928, quando circa 5.000 lavoratori invasero i moli di Port Adelaide, salirono sulle navi e ferirono e intimidirono i crumiri. Ciò era dovuto alle decisioni del governo federale che aveva annullato il miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro per gli scaricatori di porto (che ora lavoravano a turni da 16 a 48 ore con tempi di pausa ridotti). I leader sindacali avevano rapidamente tentato di soffocare queste azioni, ma i lavoratori continuarono a lottare per tre anni.

6. Lo sciopero delle sigaraie del 1937 a Detroit, negli Stati Uniti

Tra il settembre del 1936 e il giugno del 1937 centinaia di migliaia di lavoratori presero parte a centinaia di sit-in. L'attività di sciopero scoppiò in un'ampia gamma di situazioni. Nell'industria automobilistica ed elettrica le donne erano una minoranza dei lavoratori. Costituivano la maggioranza nella produzione di sigari, scarpe e abbigliamento. Mentre la vendita al dettaglio, l’alberghiero e gli ospedali avevano un numero più o meno uguale di lavoratori di generi diversi. La massima partecipazione ed organizzazione di scioperi capeggiati da donne si concentrò nelle grandi città come Detroit e Chicago, ma spuntò fuori anche in molte aree urbane più piccole. In sei fabbriche di sigari che occupavano un'area di quattro miglia quadrate a Detroit lavoravano circa 4.000 donne, principalmente immigrate di lingua polacca. Le donne non solo erano le peggio pagate di Detroit e avevano subito un recente taglio di stipendio, ma stavano anche sperimentando condizioni deplorevoli: scarsa ventilazione e polvere di tabacco tossica spesso nell'aria, bagni rotti e sporchi, niente acqua calda o sapone e molestie sessuali da parte dei capisquadra. (3)

Le lavoratrici vennero ispirate dagli scioperi con occupazione degli stabilimenti di Flint e di Detroit. Il 16 febbraio le lavoratrici della fabbrica di sigari Websten-Eisenlohr occuparono la fabbrica e fermarono la produzione. Le organizzatrici dello sciopero misero un avviso sulla bacheca dicendo alle donne di rimanere dopo aver chiesto alla direzione un aumento del 10% senza aver ricevuto alcuna risposta. La Federazione statunitense del lavoro (AFL) ignorò le numerose richieste di aiuto delle donne. I delegati delle lavoratrici fecero allora l'errore di credere di avere ancora bisogno del sostegno del sindacato e insistettero che Stanley Nowak, un organizzatore di lingua polacca della United Auto Workers e futuro senatore, che le lavoratrici conoscevano dalla radio e dalle sue attività politiche, guidasse invece il loro sciopero. Dopo poche ore dall'incontro con Nowak e dopo che lui aveva accettato di intervenire, le donne avevano formato dei comitati responsabili della stesura delle richieste, della creazione di un quartier generale dello sciopero e della fornitura di cibo, coperte e assistenza ai bambini. Nel giro di pochi giorni anche le lavoratrici di Mazer-Cressman, Essex Cigar, Bernard Schwartz, Tegge-Jackson e General Cigar - le altre 5 fabbriche di sigari - vennero coinvolte. Gli uomini in famiglia si trovarono ad assumere i compiti che di solito spettano alle donne durante le azioni di sciopero, cioè cucinarono, pulirono e si presero cura dei bambini, persuasero coniugi ostili e preservarono l’appoggio esterno allo sciopero. Il 4 marzo la direzione della Mazer-Cressman acconsentì alle richieste delle donne e anche l’Essex si accordò il giorno dopo. Il 20 marzo, quattro stabilimenti rimasero occupati e il sindaco di Detroit, Frank Couzens, ordinò un feroce giro di vite che vide la polizia brutalizzare le lavoratrici della Bernard Schwartz, insieme ai passanti solidali. Dopo un altro mese di scioperi, riunioni e manifestazioni, che coinvolsero decine di migliaia di persone contrarie alla brutalità e a favore delle lavoratrici, il 22 aprile la direzione delle aziende restanti cedette e accettò le richieste delle lavoratrici. La fine dello sciopero fu annunciata il giorno dopo e alcune settimane dopo fu creata la sezione locale 24 del sindacato dei lavoratori del sigaro. (4)

Questo evento è un ottimo esempio di lavoratori che hanno ottenuto il soddisfacimento delle loro rivendicazioni nonostante abbiano cercato l'appoggio del sindacato, non grazie ad esso. L'organizzazione iniziale e i comitati che le lavoratrici formarono avrebbero potuto diventare altrettanto facilmente gli organismi della classe operaia di cui abbiamo bisogno per accompagnarci nella trasformazione rivoluzionaria della società.

7. Lo sciopero del 1968 per la parità di retribuzione alla Ford Motors di Dagenham, Inghilterra

Il boom economico del dopoguerra finì negli anni '60 e venne accolto da un aumento della conflittualità tra i lavoratori; il Regno Unito non fece eccezione. Nel settembre 1967, la Ford, in collaborazione con i sindacati, introdusse una nuova struttura salariale: qualificati, semi-qualificati e non qualificati. Tutte le 187 donne addette alla cucitura, responsabili della produzione dei coprisedili per la maggior parte delle auto prodotte nella fabbrica di Dagenham, furono considerate lavoratrici "non qualificate". Le donne lavoratrici erano ora pagate molto meno dei loro corrispettivi maschili. I 54.813 uomini, che svolgevano gli stessi lavori o lavori simili, e persino i ragazzi adolescenti che erano stati assunti per spazzare i pavimenti dello stabilimento, ricevevano un salario più alto. Dopo questa scoperta, le donne si infuriarono e cinque di loro, Rose Roland, Eileen Pullen, Vera Sime, Gwen Davis e Sheila Douglass, iniziarono a organizzare uno sciopero per chiedere la parità di salario a parità di lavoro. (5)

Il 7 giugno 1968, tutte le 187 donne deposero i loro attrezzi. Rapidamente, gli effetti dello sciopero si videro, perché la produzione di automobili cessò entro la prima settimana. La fabbrica fu costretta a fermarsi completamente, costando all'azienda milioni e mettendo a rischio 40.000 posti di lavoro in tutta la nazione. Altre 195 donne di un'altra unità produttiva della Ford abbandonarono il lavoro per solidarietà. Mentre alcuni dei mariti delle operaie che lavoravano nelle fabbriche diedero il loro sostegno, altri si espressero contro allo sciopero - una mossa largamente influenzata dai sindacati e dal loro inquadramento di questa azione come una questione femminile piuttosto che di classe. Nonostante questo, la Ford si rifiutò di negoziare con le operaie e consigliò al suo amministratore delegato, Sir William Batty, di "fare del suo peggio" agli scioperanti. Le donne promisero di non cessare l'azione finché non avessero ottenuto la parità di salario. Il 29 giugno 1968, un incontro tra Barbara Castle, Segretario di Stato per il Commercio e l'Industria per il governo laburista, e i leader dello sciopero portò ad un accordo secondo il quale le donne sarebbero tornate al lavoro se i loro salari fossero stati portati al 92% di quello degli uomini. Molte donne non erano contente che le loro richieste precise non fossero soddisfatte, ma tornarono comunque al lavoro. Le donne che lavoravano alla Ford non ricevettero il 100% di quanto venivano pagati i macchinisti maschi fino al 1984, 16 anni dopo il loro sciopero. Ancora oggi, tuttavia, le donne nel Regno Unito continuano a guadagnare in media circa il 17% in meno degli uomini, mentre l'intera classe operaia rimane schiava del modo di produzione capitalista. (6)

8. Gli scioperi a gatto selvaggio dei lavoratori dell'abbigliamento del 2019 a Dhaka, Bangladesh

L'industria dell'abbigliamento del Bangladesh ha una ricca storia di lotta di classe, e le astensioni dal lavoro di massa e gli scioperi a gatto selvaggio del gennaio 2019 sono i migliori e più recenti esempi di auto-organizzazione della classe operaia non frenata dalla forma sindacale. Dopo cinque anni, la struttura del salario minimo proposto dall'industria dell'abbigliamento era destinata a cambiare, ma le proteste che succedettero alla comunicazione delle nuove condizioni, nel settembre 2018, vennero seguite da astensioni dal lavoro di fabbrica e blocchi stradali a dicembre, con i lavoratori scesi in strada, esprimendo a gran voce il loro rifiuto della nuova proposta. Decine di migliaia di lavoratori dell'abbigliamento, insoddisfatti del loro misero aumento di stipendio, continuarono a scioperare a gennaio, chiedendo salari più alti e migliori condizioni di lavoro, nonostante la pesante repressione della polizia, comprese le cariche di gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro gli stessi lavoratori in sciopero.

Le donne costituiscono la maggioranza dei lavoratori nell'industria dell'abbigliamento del Bangladesh, comprendendo l'85% della forza lavoro del settore (al momento dello sciopero di gennaio 2019, la percentuale era di circa il 60% a causa dei cambiamenti dei regolamenti di fabbrica che constrinsero molte donne ad abbandonare il lavoro). Queste donne lavoratrici giocarono un ruolo importante negli scioperi dell'abbigliamento, essendo spesso in prima linea nelle manifestazioni, con continuità negli ultimi dieci anni. In seguito al crollo della fabbrica Rana Plaza nel 2013, erano state approvate riforme legali e norme di sicurezza dopo le pressioni degli organismi istituzionali occidentali che si occupano delle condizioni di lavoro e degli acquirenti internazionali, ma i cambiamenti erano superficiali nel migliore dei casi; la maggior parte delle fabbriche stesse non ha attuato queste norme, in quanto non sono fatte rispettare dallo stato, permettendo ai padroni di fare ciò che meglio tuteli loro interessi. Questo significava che, anche se alle lavoratrici venivano concessi pieni diritti sindacali, a causa dei tentativi della polizia e dei proprietari delle fabbriche di brutalizzare, picchiare e mettere nella lista nera i lavoratori che tentavano di organizzarsi sul posto di lavoro, il processo di riconoscimento legale per la registrazione di nuovi sindacati era ostacolato. Così i piccoli sindacati che esistevano avevano pochi iscritti e poca influenza sulla lotta delle lavoratrici o sull'esistenza quotidiana, partecipando invece alla negoziazione formale con i padroni e lo stato. L'auto-organizzazione dei lavoratori non vincolata dai sindacati è stata dimostrata dal rifiuto delle lavoratrici in sciopero di tornare al lavoro nonostante i ripetuti appelli dei leader sindacali. I leader sindacali incaricati di gestire la situazione ammisero che le lavoratrici non li avrebbero ascoltati; le stesse lavoratrici dichiararono apertamente di non fidarsi dei vertici, con alcune lavoratrici che addirittura paragonarono i leader sindacali a promotori degli interessi dei proprietari della fabbrica. Le lavoratrici dell'abbigliamento continuarono a mobilitarsi, rifiutando di seguire le indicazioni dei leader sindacali che avevano negoziato con il governo e i proprietari delle fabbriche i cambiamenti nella struttura del salario minimo di Dhaka per "conto" dei lavoratori. (7)

L'ondata di scioperi a gatto selvaggio anche di fronte alla brutalità della polizia e alle liste nere, mostra la forza dei lavoratori e la loro volontà di lottare per gli interessi della classe, specialmente quando sono liberi dall'influenza sindacale. La lotta delle operaie dell'abbigliamento dimostra di essere in chiara contrapposizione con gli atteggiamenti riformisti dei sindacati, che cercano solo di mediare la vendita del lavoro tra gli operai e i padroni, offrendo concessioni agli operai solo per mettere fine agli scioperi e al blocco delle fabbriche. I sindacati hanno storicamente ostacolato la lotta di classe, e gli eventi del gennaio 2019 sono una chiara dimostrazione di ciò che può accadere se i lavoratori sono in grado di organizzarsi al di fuori dell'inquadramento sindacale.

Conclusione

Da questa storia è chiaro che ogni volta che la classe operaia ha combattuto contro gli attacchi e le miserie del capitalismo, le donne lavoratrici non solo sono state presenti in queste lotte, ma sono state spesso in prima linea, sia fornendo supporto ai loro mariti e figli in sciopero, sia agendo come forza primaria di sciopero. Possiamo quindi tranquillamente concludere che ogni tentativo di scacciare la storia della lotta della classe operaia dall'8 marzo, o di minimizzare il ruolo delle donne lavoratrici nella più ampia lotta della nostra classe, non ha alcuna base reale nella storia, nei fatti. Questo è fin troppo visibile oggi. In questo momento stiamo vivendo una crisi capitalista di proporzioni epiche, dove la classe lavoratrice mondiale sta vedendo tagli nei suoi standard di vita, i più profondi negli ultimi cinquant'anni. Nel corso degli ultimi anni, anche se ancora addormentati, i lavoratori si sono lentamente svegliati da questo sonno e ovunque questo movimento si verifichi, le donne lavoratrici sono lì e spesso in prima linea. Sia negli scioperi a gatto selvaggio delle infermiere e dei medici esausti, sovraccarichi di lavoro e sottopagati, sia negli scioperi degli insegnanti contro le cattive condizioni e le riaperture insicure delle scuole, sia nella militanza dei lavoratori dello stabilimento Amazon di Bessemer, Alabama, le donne lavoratrici stanno assumendo un ruolo di primo piano nella lotta. In definitiva, la lezione da trarre è che l'unica lotta che vale la pena combattere è la lotta di classe. Cioè, le donne hanno più in comune con i loro corrispettivi maschili della classe operaia che con le donne CEO o con quelle a capo degli stati e degli eserciti imperialisti. Non c'è nessuna comunanza di interessi tra la donna a capo della fabbrica e le donne che svolgono un lavoro alienante e noioso per una paga appena sufficiente a tirare avanti. Sono reciprocamente opposte l'una all'altra, e ognuna di loro ha più cose in comune con il resto della propria classe. Ancora oggi le donne lavoratrici negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia e in molte altre metropoli tradizionali del capitalismo guadagnano meno degli uomini lavoratori. Ciò che è necessario non è solo esigere una perequazione dei salari che vengono loro distribuiti. Ciò che è veramente necessario è che i lavoratori di tutti i generi si rendano conto che i loro interessi comuni non stanno nel tentativo di uguagliare l'oppressione e lo sfruttamento, ma nella fine di tutto ciò. Questo significa l'abolizione del sistema salariale o, in altre parole, l'abolizione del capitalismo. Questo è possibile solo quando la classe operaia mondiale di ogni provenienza e "identità" crea solidarietà tra la classe e si organizza per questo futuro. La classe operaia deve costruire i propri organi di lotta indipendenti e impegnarsi a costruire un'organizzazione politica internazionale che possa servire come strumento nelle sue mani verso un futuro liberato da sfruttamento e oppressione. Solo quando questo sarà realizzato, quando il capitalismo sarà rovesciato e passeremo a un mondo comunista libero dalla violenza e dall'oppressione sessista insieme a tante altre cose, potremo davvero parlare di liberazione delle donne.

(1) La guerra di classe sul fronte domestico.

(2) La Giornata Internazionale della donna a cent’anni di distanza.

(3) Le donne immigrate battono i padroni delle fabbriche di sigari- Martha Grevatt.

(4) Lo sciopero del 1937 dell’industria del sigaro.

(5) 1968: Le impiegate della Ford vincono uno sciopero per la parità di retribuzione a Dagenham.

(6) 50 anni di sfruttamento equo?

(7) Le battaglie salariali esplodono nel settore dell’abbigliamento in Bangladesh -- e i sindacati non riescono a contenerle.

Lunedì, March 22, 2021