Sul governo Draghi – Quando il gioco si fa duro... entrano in campo i banchieri

Difficile dire quanto la caduta del governo Conte 2 sia dovuta al cinico avventurismo di un personaggio come Renzi, degno figlio putativo del suo mentore “segreto”, il cav. Berlusca, o quanto invece sia il prodotto di una strategia elaborata nei piani alti della borghesia italiana, magari con qualche incoraggiamento esterno. Probabilmente tutte e due le cose, anche se il fattore decisivo, in ultima istanza, è certamente il secondo.

Nelle epoche di crisi profonda, la borghesia può faticare ad amministrare la situazione, le spinte contrastanti che provengono dalla società, non ultime quelle che agitano ampi settori del ceto medio. Un minestrone sociale sempre più incattivito dalle chiusure, sempre più famelico e arrogante nel chiedere aiuti (i “Ristori”) ad uno stato per altro disprezzato, perché non gli permette di evadere abbastanza le tasse, di non fare abbastanza “nero”, di esigere il versamento di troppi contributi INPS, perché lo costringe a chiudere o a limitare le attività, mentre il processo produttivo (fabbriche, logistica, trasporti ecc.) non si è mai fermato e se lo ha fatto, è stato abbondantemente sostenuto dal governo. Non che la piccola borghesia, benché chiassosa, conti davvero qualcosa, e ancor meno quel proletariato confuso e arrabbiato, ma politicamente ridotto a plebe e circuito dalle forme più becere dell'ideologia borghese, però l'una e l'altro possono essere usati come massa di manovra da questa o quella fazione della grande borghesia, attraverso le bande di politicanti che in tal modo, ma fino a un certo punto, possono acquisire un potere di ricatto nella formazione delle maggioranze parlamentari.

La democrazia borghese è uno strumento truffaldino ben oliato, tuttavia a volte può incepparsi e produrre risultati inattesi: la Brexit, come esempio tra i più clamorosi. Il “populismo”, la cosiddetta “antipolitica” ne sono altri, ma alla fine, quando il capitale chiama, le relative formazioni politiche, con patetiche e cialtronesche pretese “antisistema”, accorrono obbedienti, se non altro per non perdere i ben remunerati stipendi di “rappresentanti del popolo”. E così, come in altri momenti difficili per la borghesia italiana (figuriamoci per la classe lavoratrice...), è nato il governissimo di unità nazionale, guidato ancora una volta da un banchiere, e che banchiere!

Tutti sanno chi è Draghi, che ha passato la maggior parte della sua vita da funzionario del capitale, arrivando fino ai vertici del sistema di governo del capitalismo europeo. E' stato uno dei protagonisti della privatizzazione delle aziende di stato italiane, da governatore della BCE ha salvato l'euro, mentre le politiche di austerità, da lui promosse e sostenute con i governi nazionali, hanno proseguito e intensificato la gigantesca rapina del salario diretto e indiretto/differito (lo “stato sociale”) - per altro ancora in corso – riducendo letteralmente in miseria e alla fame milioni di proletari: la drammatica sorte del proletariato greco è lì a ricordarlo. Solo la sua autorevolezza, dunque, poteva mettere la museruola (vedremo fino a che punto) ai branchi rissosi del politicantume borghese, affiancandogli uomini e donne – i ministri detti tecnici – al di sopra delle parti ossia al di sopra degli interessi elettoralistici particolari che potrebbero mettere a rischio i 209 miliardi in arrivo col Next Generation EU, il piano di rilancio economico dell'Unione Europea. Non a caso, i ministeri più importanti – dall'economia alla transizione ecologica, dai trasporti alla digitalizzazione ecc. - sono detenuti da personaggi che non appartengono apertamente a nessun partito, ma sono “solo” di provata fede borghese. Oltre a questo, è stata assicurata una sostanziale continuità col governo Conte 2 e data soddisfazione alla Lega, con dicasteri non insignificanti (il MISE, il turismo), a voler rassicurare l'elettorato leghista o quello di cui la Lega si autonomina protettrice: la piccola-media impresa del Nord e il settore della ristorazione-turismo, a cui il “duce” supremo leghista liscia quotidianamente il pelo, con la sguaiata manfrina delle riaperture indiscriminate (1).

Ma le tensioni tra le componenti partitiche del governo non devono disturbare i passaggi che, nelle intenzioni, sono pensati per portare l'economia fuori dalla crisi, confezionando un vestito “green”, verde, al ciclo di accumulazione che il Next Generation EU vorrebbe lanciare. Impresa quanto mai difficoltosa, ma per fare questo le teste pensanti della borghesia sono disposte a buttare nell'immondezzaio uno dei dogmi più tenaci della politica economica degli ultimi decenni, vale a dire l'abbattimento del debito pubblico. In più di un'occasione, Draghi, già prima di diventare presidente del consiglio, ha detto che di fronte alle sfide epocali che l'umanità (la borghesia) ha davanti a sé, bisogna essere pragmatici, che i vecchi paradigmi concettuali sono inutilizzabili, che bisogna convivere a lungo col debito e che dunque occorre agire di conseguenza. Ma – è qui la “rivoluzione copernicana” - c'è un debito buono, da amministrare per sostenere il ciclo di accumulazione basato sulla “sostenibilità ambientale”, e un debito cattivo che bisogna smettere di alimentare.

Il debito cattivo è quello delle spese improduttive, cioè di quelle che invece di sostenere e incentivare la creazione di plusvalore, lo assorbono per tenere in vita aziende che non hanno futuro ossia aggravano il problema della sovraccumulazione, del capitale in eccesso, dati gli attuali livelli di composizione organica e di estorsione del plusvalore, cioè di sfruttamento. Ma improduttiva è anche la spesa pensionistica o della pubblica amministrazione e la riesumazione di un figuro che odia la classe lavoratrice – Brunetta – ci fa dormire sonni ancor meno tranquilli di quelli a cui normalmente ci costringe la borghesia. Il richiamo continuo di Draghi sulla necessità di dare un futuro alle giovani generazioni, non sovraccaricandole di un debito insopportabile, è un altro campanello d'allarme, una riproposizione della trista canzone secondo la quale i vecchi, zavorrando le casse pubbliche e i costi sostenuti dalle imprese, chiuderebbero spazi alla gioventù, appesantendo irrimediabilmente le ali della crescita economica. Fin troppo facile replicare che Draghi, le istituzioni, il sistema economico-sociale che rappresentano sono i responsabili del futuro, oltre che del presente, molto incerto delle giovani generazioni – proletarie, se vogliamo essere precisi, ma anche in parte piccolo borghesi – e se c'è qualcuno che impedisce ai vecchi di far posto ai giovani sono le varie riforme volute dal sistema che il superbanchiere si propone di condurre fuori dalla bufera. Una bufera che nasce delle insopprimibili contraddizioni del capitalismo e che la pandemia ha ingigantito.

Ma su questo è bene tacere, tanto più che il debito buono sarà uno strumento – vogliono farci credere – per uscire dal vicolo cieco in cui si è infilata l'economia, non solamente italiana. Questo debito significa – come si dice in altro articolo di questo numero – che lo stato dovrà diventare selettivo nell'erogazione degli aiuti alle imprese, che potrà addirittura entrare nei loro consigli di amministrazione, ma senza mai acquisirne la maggioranza, e che, in casi eccezionali, saranno ammesse le nazionalizzazioni, purché temporanee. In breve, dovranno cambiare le modalità di intervento dello stato a sostegno del capitale, ma sempre intervento sarà, a riprova che il capitalismo, da un secolo almeno a questa parte, non può stare in piedi senza l'appoggio attivo delle istituzioni statali. Dal capitalismo di stato “classico”, passando per i cosiddetto neoliberismo – dove c'è poco di neo e poco di liberismo – si arriva a una strategia economica in cui lo stato si accolla le spese, paga, ma non mette becco nelle politiche aziendali ed è messo gentilmente alla porta quando di lui non c'è più bisogno. Tanta modernità emana un tanfo di fascismo da anni '30 del Novecento, quando si socializzavano le perdite e si privatizzavano i profitti, anche se, a dire il vero, l'assistenza al capitale non veniva fatta solo in camicia nera. Per il resto, bisogna lasciar sfogare i famigerati spiriti animali del capitale e lasciare operare la “distruzione creatrice” (2) ossia, traduciamo noi, quella che Marx chiama la svalorizzazione del capitale, nella speranza che massa e saggio di profitto tornino a livelli accettabili.

Ma sbarazzare la strada del processo di accumulazione anche in versione “green” non sarà un'impresa facile e l'esito tutt'altro che scontato, anzi: troppi sono i capitali in eccesso che ingombrano la strada, troppi i “diritti” (parola insulsa) della classe lavoratrice che intralciano e rallentano un'estorsione adeguata di plusvalore, cioè frenano l'intensità dello sfruttamento, benché questo vada crescendo da decenni in tutte le forme possibili. La montagna di denaro (per lo più a debito) messa in campo dalla UE potrà certo dare “ristoro” al capitalismo, ma non estirperà le radici di una crisi che si trascina tra alti e bassi da decenni. Solo una guerra generalizzata – o un evento di portata simile – è la vera “distruzione creatrice”, solo una dittatura aperta della borghesia è in grado di spazzare via ogni impedimento, per quanto debole, a uno sfruttamento adeguato allo stato attuale del capitalismo. Della prima, finora mancano le condizioni, benché non manchino gli elementi per una loro maturazione; della seconda c'è solo un fac-simile soft col governo di unità nazionale, ma è troppo poco, anche se gode del sostegno del sindacalismo confederale...

Ciò che manca veramente è la voce del proletariato, quello su cui si scaricheranno i debiti buoni e cattivi. Certamente, il suo più che auspicabile, anzi, agognato risveglio dipenderà non da ultimo dai tempi e dai modi con cui la borghesia darà corpo alla sua strategia, dalle briciole che il Next Generation EU farà cadere in basso. Allora, come sempre, il problema sarà quello di incanalare “l'energia creatrice” della nostra classe nella giusta direzione: il superamento rivoluzionario della società borghese.

CB

(1) Altro esempio, tra i tanti, della natura intrinsecamente criminogena della società borghese: riaprire oggi, fine febbraio, coi contagi in aumento, è da folli o criminali. I ristoratori e affini si trincerano dietro la difesa del posto di lavoro del loro personale per chiedere ristori su ristori e aperture, quando la loro forza-lavoro avrebbe già il paracadute (modesto e temporaneo, di sicuro) della cassa integrazione, se l'avessero assunta nel rispetto dei borghesissimi contratti di lavoro.

(2) La frase è dell'economista austriaco Joseph Schumpeter, oggi citato a destra e a manca.

Domenica, February 28, 2021