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Home ›A un anno dall’inizio della crisi pandemica: quale prezzo abbiamo pagato e cosa ci aspetta?
Nel 2020 si sono persi almeno 444 mila posti di lavoro netti, dei quali 312 mila al femminile. Pesantemente colpiti i lavoratori autonomi – soprattutto le “false partite IVA”, che nascondono nei fatti un rapporto di lavoro subordinato. Oltre mezzo milione i contratti precari, a tempo determinato, stagionali, a somministrazione e intermittenti non rinnovati. Possiamo affermare che, al momento, è stata soprattutto la parte più indifesa della classe lavoratrice a pagare: i precari e, tra questi, ancora, i settori storicamente più “deboli”: donne e giovani.
Per riportare un dato statistico che qualche mese fa fece scalpore: a dicembre 2020 sono andati in fumo 101 mila posti, il 99% donne, per lo più giovani.
Eppure risposte sociali, di qualsiasi genere, non ce ne sono state. Sui motivi generali della mancata ripresa della lotta di classe in questi decenni di crisi abbiamo scritto a lungo altrove, ma colpisce comunque il perdurare della sostanziale passività della classe. A parte gli scioperi operai spontanei a macchia di leopardo dei primi tempi della pandemia, a Marzo, “Noi non siamo carne da cannone”, e qualche scaramuccia di piazza seguita alle proteste dei commercianti in autunno, subito sedate con i “Ristori”, non abbiamo registrato molto altro, con la notevole eccezione del settore della logistica che, in ogni caso, continua a muoversi ben all’interno della logica sindacale e dei “diritti” non riuscendo in alcun modo ad andare oltre la richiesta dell’applicazione delle condizioni previste dai CCNL, né a contagiare altri settori del lavoro dipendente.
Un forte calmiere sociale, nonostante la crisi, è stato costituito dal mantenersi costante dell’occupazione nel settore industriale dove, sebbene si sia verificata una caduta della produzione di oltre l’11% a fronte di una contrazione del PIL nazionale dell’8,8%, l’occupazione ha sostanzialmente tenuto grazie all’utilizzo di oltre 4 miliardi di ore di cassa integrazione per 7 milioni di lavoratori e al blocco dei licenziamenti, vere proprie “mano sante” che hanno impedito un aggravarsi della condizione sociale. Due interventi, non a caso, definiti centrali dallo stesso Presidente della Repubblica Mattarella in occasione del discorso di incoronazione di Mario Draghi. Secondo Banca d’Italia queste sole due misure hanno impedito, nel 2020, la perdita di ulteriori 600 mila posti di lavoro.
L’altra faccia della medaglia di tale “calmiere sociale”, assieme ai Ristori, è stato il balzo del debito pubblico a quasi il 160% PIL. Il debito è una delle caratteristiche salienti di questa lunga, lunghissima crisi capitalista. Già – nella sua forma privata – protagonista della crisi del 2008/09 e, nella forma dei debiti sovrani, della crisi del 2011/13, oggi appare sempre più come un immenso gigante che, in entrambe le componenti, pubblico e privato, da un lato cerca di trattenere l’economia capitalista occidentale dal precipitare, dall’altro la condanna sempre più ad un futuro di sofferenze e sacrifici… perché i debiti si pagano, e a pagarli è e sarà il proletariato e i settori più deboli della società, visti anche i dati che mostrano come i ricchi e i ricchissimi non hanno mai smesso di veder crescere i propri patrimoni: solo negli ultimi 10 anni i milionari italiani sono triplicati, superando oggi l’incredibile numero di un milione e 500 mila persone, secondo il Credit Suisse. Si chiama polarizzazione sociale, la crisi la pagano i più deboli e i più forti (economicamente parlando) si arricchiscono sempre più. Per questo affermare “Facciamo pagare la crisi ai padroni” è falso e fuorviante. Falso perché sono i padroni a far pagare a noi la crisi, fuorviante perché presuppone la possibilità di riequilibrare la bilancia fermo restando il capitalismo, quando invece il problema è l’esatto opposto: come partire dalle lotte immediate per agitare e far circolare una prospettiva di superamento del capitalismo stesso.
A dire il vero già in tempi non sospetti, alla fine del 2019, la produzione industriale aveva iniziato a rallentare e molti economisti lanciavano allarmi su possibili nuove recessioni alle porte. Poi fu il CoViD; Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International ha dichiarato:
Potremmo assistere ad un aumento esponenziale delle disuguaglianze, come mai prima d'ora. Una distanza tanto profonda tra ricchi e poveri da rivelarsi più letale del virus stesso.
Ed è esattamente quello che anche noi prevediamo, se non nel breve termine, sicuramente nel medio-lungo. Il punto è: letale per chi? Per noi lavoratori e lavoratrici “fissi”, precari e disoccupati, che verremo ridotti ad una condizione di miseria senza precedenti prima di essere gettati, quando il capitale non avrà più conigli da estrarre dal cilindro, nelle spire delle nuove guerre imperialiste; o letale per il capitale, perché – anche grazie al lavoro delle avanguardie - la nostra classe avrà trovato capacità, forza e progettualità per seppellire il capitalismo stesso? Questo il grande interrogativo storico che, ne siamo coscienti o meno, aleggia sulla testa di noi tutti.
I poveri sono in costante e progressivo aumento, tra di essi aumenta il peso delle famiglie con minori, dei giovani e delle donne, degli italiani, delle persone abili al lavoro e finora mai sfiorate dall’indigenza (i dati Caritas sono eloquenti). Nel suo discorso al senato Draghi, ventilando lo sblocco dei licenziamenti, ha notato come
La pandemia finora ha colpito soprattutto giovani e donne, una disoccupazione selettiva ma che presto potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato.
Non siamo ancora in grado di delineare con chiarezza dove e come si caratterizzeranno gli interventi del nuovo governo ma, tra le righe, qualcosa abbiamo scorto: Draghi ha parlato di rafforzare la sanità territoriale affermando che valorizzare “la casa come principale luogo di cura è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata”, il che lascia a presagire un ulteriore snellimento (se così vogliamo dire) dei presidi sanitari pubblici.
Sulla scuola ha affermato la necessità di tornare in presenza, tagliando corto sulle illusioni sulla riduzione del numero di alunni per classe e aumento del personale scolastico millantate dal precedente governo, accennando alla necessità di dirottare gli ingenti fondi messi a disposizione dell’Europa (1,5 mld) per favorire il sistema degli Istituti Tecnici Superiori, veri e propri corsi professionalizzanti post scuola secondaria, finalizzati a formare la forza lavoro richiesta dalle aziende. E questo dovrebbe essere il cuore, se non tutta, la politica scolastica del nuovo governo: operai/tecnici qualificati - a prezzo possibilmente ridotto, non necessariamente “fissi”, aggiungiamo noi e siamo certi che i sindacati daranno una mano in ciò - per soddisfare il bisogno delle aziende perché, come ha affermato Tronchetti Provera:
Serve uno spirito costruttivo, la ripartenza passa dalla creazione di ricchezza e a tale scopo servono politiche per la crescita.
Ossia sostegno alle imprese, lasciando morire le attività meno redditizie ed erogando fondi a favore delle imprese maggiormente produttive di plusvalore, dove maggiore è lo sfruttamento operaio. Infatti, continua lo stesso Draghi
Sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche… la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi.
Già perché a fronte di una calo netto della domanda, ora, dopo il terziario, anche le industrie sono pronte a licenziare, aspettano solamente lo sblocco dei licenziamenti per ridurre il personale e sfruttare i fondi del Recovery Fund per ristrutturare gli impianti, incrementando tecnologie e migliorando l’organizzazione aziendale al fine di sfruttare ancora e sempre più gli operai che rimarranno al loro posto. Per affrontare questo tipo di emergenza le parole di Draghi e di Bonomi (confindustria) sono perfettamente sovrapponibili, per par condicio citiamo il secondo
Abbiamo bisogno di una riforma radicale degli ammortizzatori sociali e di politiche attive del lavoro efficaci, non solo imperniate sui centri pubblici per l'impiego… L'idea che pensionando in anticipo i più anziani si creassero nuovi posti di lavoro non è fattibile… [sui licenziamenti dobbiamo] prolungare la cassa Covid per le aziende in gravi difficoltà ma togliendo i vincoli alle altre… le risorse recuperate vadano a investimenti produttivi e non a maggior spesa corrente.
Ossia, sostenete le imprese, i fondi vadano a noi industriali perché siamo noi il volano della ripresa.
La borghesia si prepara ad affrontare il prossimo round della lotta di classe, noi chiamiamo le avanguardie ad un confronto più serrato con noi, perché ogni momento che passa, ripetendo le vecchie formule e ritualità, è un prezioso momento perso per la costruzione delle premesse della necessaria, futura, rivoluzione proletaria.
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