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Home ›Il capitalismo è sempre più agitato
La maggior parte dei settori che compongono l’attuale economia reale (produzione e vendita di merci) dei vari paesi è praticamente in ginocchio, e lo stesso per quanto riguarda i comparti finanziari. I capitalisti stessi parlano di perdite “devastanti” e noi aggiungiamo irrimediabili poiché sappiamo – da tempo – che anche una eventuale “ripresina” sarebbe contagiata da quelle innovazioni di robotica e automazione che attendono il momento di entrare in scena per sostituire il “pericoloso” (oggi anche per via dei contagi) e costoso lavoro vivo. Negli Usa, per esempio, una “ripresa” – si dice - dovrebbe trovare stimoli provenienti da quella domanda aggregata nella quale Keynes riponeva le sue ultime speranza con la panacea dei lavori pubblici.
Ora poi, e assieme a quella produttiva, è sopraggiunta la paralisi anche del tanto acclamato sistema finanziario. Anche l’illusione di poter inondare l’economia del capitale con fiumi di denaro fotocopiato, e che comunque dovrà essere restituito a chi lo “distribuisce”, si dissolve via via che si sono rotti quei meccanismi del valore di scambio che danno un’apparenza reale a dei fantomatici pezzi di carta.
La adorata moneta rischia di essere un effimero segno e perdere un diretto (od indiretto) rapporto con elementi materiali. E allora come “finanziare” il mitico reddito? Poiché il solo denaro non figlia valore, il capitalismo agonizza: la constatazione è lapalissiana! Gli artificiosi strumenti che vorrebbero far apparire il capitale gravido di nuovo valore, a sua volta accumulabile e riproducibile, cercano invano di nascondere una realtà ben diversa. Dove aumentano le mine pronte a far saltare in aria il bel mondo borghese, più che mai claudicante.
Il capitalismo non ha alternative al suo interno
Lo andiamo constatando da tempo e lo ripetiamo instancabilmente: il baratro che si apre davanti al capitalismo si approfondisce sempre di più. Il corona-virus lo ha allargato. Le chimere della moltiplicazione dei pani e dei pesci hanno lasciato posto alle tavole vuote attorno alle quali si riuniscono milioni di famiglie in tutto il mondo. A stento qualche “ammortizzatore sociale” cerca di tenere a freno una tensione sociale che potrebbe improvvisamente manifestarsi. Il mercato ha delle regole ben precise da rispettare e chiede “profitti”, prima ottenuti nelle aziende sfruttando il lavoro degli uomini e delle donne, e poi col mondo degli affari e del commercio che realizza quei profitti. Non bastano chiacchiere e qualche misura caritatevole che anziché “ottimizzare” i profitti complica la sopravvivenza del capitale in difficoltà.
Chi si aggrappa all’incremento della spesa pubblica, nel medesimo tempo vede i disavanzi dei bilanci statali farsi delle vere e proprie voragini. Buchi neri che stanno per inghiottire tutto e tutti mentre la borghesia si aggrappa alla speranza dei “movimenti di capitale”: nel vuoto! E così affondano sia i clan della destra sia quelli della sinistra, borghese, a loro volta evadendo quelle imposte che dovrebbero sostenere i bilanci pubblici di cui tutti vorrebbero il rilancio.
In attesa di un ciclo espansivo
Non siamo noi – vetero e (come qualcuno vorrebbe) inebetiti marxisti! – i soli a sostenere che il capitalismo è in fase di collasso, subendo crisi devastanti e una peggio dell’altra. Naturalmente, tutti sostengono che a tormentarlo sarebbe la finanza. In proposito abbiamo letto l’ammissione che il settore finanziario preleva rendimenti dall’economia reale, la quale – a sua volta – non ce la fa più! (Lo scriveva Milano Finanza, il 5/5/2020). Il settore industriale non “produce” più una redditività sufficiente a sostenere il settore finanziario. Quello, cioè, che avrebbe dovuto sostenere originariamente il primo!
Il sistema soffoca sotto una mole di debiti che aumentano a vista d’occhio: solo negli ultimi anni, più di due volte il Pil mondiale. Ed ora, col corona-virus, i debiti si moltiplicano di giorno in giorno. Si dovrebbe poi – ci dicono – rilanciare un “ciclo espansivo” che (qui viene il… bello!) punterebbe soprattutto sulla concessione di prestiti finanziari per sostenere una produzione di merci e il loro “consumo-acquisto”, entrambi in piena crisi sotto i tendenziali ribassi del saggio medio di profitto.
Dunque, il capitale non viene adeguatamente remunerato (il giusto profitto!) e inevitabilmente – tempo al tempo – le insolvenze finiranno per soffocarlo. C’è sempre l’ultima carta da giocare, la guerra a livello mondiale, ma i rischi – anche per la borghesia – sono tanti, prima, durante e dopo. Il proletariato potrebbe finalmente rialzare la testa!
Al momento, dibattendosi nel pantano, cè persino chi si spinge a parlare della necessità di un “cambiamento strutturale”. Già, ma quale? A malapena se la cavano ancora i monopoli e gli oligopoli, cioè gli Amazzon, Apple con Samsug e Huawei, Google, Booking; e le incertezze crescono per tutti assieme alla instabilità generale.
Siamo ad un rapporto debito/Pil con livelli – non solo in Italia – che gli stessi economisti più o meno ufficiali definiscono “tecnicamente inesigibili”. Con spese per interessi che hanno superato i 71mld di euro (in Italia). Con questo cappio al collo (anche se poi i “debitori” reali saranno i proletari…) la borghesia non è tranquilla e si arrovella le meningi per escogitare una qualche via d’uscita mentre si alza la montagna di denaro che andrà pure restituita. Qui interviene il “geniale” M. Draghi il quale sentenzia: “il debito deve essere speso _in modo produttivo: allora_ sarà visto come un debito ‘buono’ e sarà finanziato. Se però verrà speso in modo improduttivo, sarà visto come un debito ‘inesigibile’ e danneggerà non solo il paese, ma l’intera Europa”. Cioè il capitalismo.
Giù le mani dal capitale!
La coorte borghese è inflessibile: non si tocca (neppure a… parole!) l’attuale modo di produrre, guai al solo pensare di porre in soffitta il lavoro salariato né tantomeno il capitale, pubblico e privato. Semmai – qualcuno a “sinistra” (?) osa… – si dia un ridimensionamento al profitto, si faccia uno sfruttamento meno intenso e con un poco più di “autonomia politica” si pongano limiti al capitale finanziario. Attenzione: questo sarebbe il punto cruciale per recuperare… “diritti al lavoro” e consentirgli così di fare passi in avanti. Verso cosa?
Chi afferma pomposamente di essere “antagonista” al presente “stato di cose” che lo circonda, si dichiara per la “dignità al lavoro” e parla di una “protezione dei cittadini” (qui le classi sarebbero già scomparse…). I suggerimenti politico-economici che riportiamo (e critichiamo) sono tratti da articoli diffusi da… sinistra, dove si esibiscono personaggi mascherati persino da… marxisti, che si impegnerebbero nella ricerca di nuove ricette per le osterie del presente (di “futuro” meglio non parlare).
Queste figure in maschera, vorrebbero contare di più nel “controllo dei processi produttivi, sottraendosi (a parole -- ndr) ai ricatti del capitale finanziario”. Eccoci quindi approdati nel pantano di chi – contrapponendo il capitale finanziario a quello industriale – sogna un più regolare e giusto sviluppo del modo di produzione capitalistico. Pronto a trasferire la gestione del capitale “pubblico” allo Stato, se proprio quello privato non ce la fa più! Dunque, siamo nuovamente alla finanza che ricatterebbe il capitale industriale.
Si dovrebbe allora – lo sforzo è al massimo per questo “primo passo”… – provare a liberarsi dai ricatti del capitale finanziario dichiarando estinti i debiti verso le banche: un ripudio che risponderebbe agli “interessi del popolo”. Il quale – a detta di questi “antagonisti riformatori” – trarrebbe a sua volta vantaggio dal far funzionare meglio (in termini di… rendimento!) le aziende, con tanto di libro delle entrate-uscite in perfetta regola. Gli eventuali crediti (finanziamenti) sarebbero poi opera dello Stato, chiamato a svolgere il monopolio statale del credito. Naturalmente – precisano – rimane l’interesse, una “categoria economica del capitalismo” che – bontà sua – fa il bene del popolo… Il quale, attraverso lo Stato, diventa “proprietario” delle Banche! Basterebbe – dicono – a raffreddare un poco la “rabbia” e quindi sarebbe un “progetto politico” interessante. Non solo, ma farebbe perdere meno “occasioni di commercio” con gli altri paesi capitalisti… Naturalmente, nessun parametro capitalistico deve essere minimamente scalfito; si “socializzano” le perdite e si fa di tutto per rendere le aziende “più produttive” di merci per i bisogni del popolo… e del capitale che non dovrà più “fuggire all’estero”.
In seguito si vedrà come contenere la “rabbia popolare” se questa non si dovesse calmare dopo averla deviata sulle banche (private). Si potrà sempre cercare il “consenso” parlando – come ultima spiaggia - di “espropriazioni” anziché di nazionalizzazioni, cercando di convincere il “popolo” che tutto andrà per il meglio con lo Stato diventato soggetto politico collettivo. L’importante è che resti sempre sugli altari il dio capitale da adorare, anche se – però – ora gli idoli si stanno incrinando e potrebbero crollare… Sta a noi prepararci per una spallata definitiva.
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