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Home ›Le alternative monetarie del capitalismo
L’invisibile virus del Covid-19 ha in parte fatto un certo comodo ai gestori del capitale, i quali da bravi “servi sciocchi”, addebitano all’epidemia quello scenario apocalittico che il dominante sistema socio-economico ha da tempo edificato in tutto il mondo. Ed infatti, il capitale sta dimostrando giorno dopo giorno la potenzialità auto-distruttiva che lo contraddistingue: il suo potere si è fatto assoluto, in questi ultimi decenni, diventando chiaramente quel “soggetto automatico” annunciato da Marx.
Il quadro si disegna a tinte sempre più cupo: persino una improvvisa implosione del sistema ha cominciato ha tormentare qualche pensiero degli analisti della intellighentia borghese. I rischi di tempeste globali tormentano gli esponenti di una scienza macroeconomica fattasi ancor più traballante nelle sue superficiali indagini e impotente nelle ricette proposte, e attorno alla quale si fa sempre più incerta la credibilità di quanti fino a ieri applaudivano e osannavano. Questo mentre la scricchiolante economia sta per essere travolta da cataste di debiti fra continue iniezioni di liquidità, con la illusione di poter resistere ad un tracollo generale ricorrendo alla “creazione” di denaro dal nulla e – come ultima spiaggia - a dei tentativi di momentanee compensazioni fiscali, prestiti a lungo termine e tassi di interesse pari a zero. Questo “finto” denaro dovrebbe sostituire la mancata disponibilità di masse di plusvalore che gli investimenti di capitale non riescono più ad ottenere in quantità sufficiente a garantire la sopravvivenza degli attuali rapporti di produzione.
Il pompaggio di denaro fittizio, ricorrendo ad una espansione monetaria di ampie dimensioni che dovrebbe sostenere artificiosamente i palazzi finanziari degli Stati, pretenderebbe di “correggere” la ormai cronica mancanza di nuovo e sufficiente valore necessario per ingrandire le basi dell’accumulazione capitalista. L’automazione del lavoro avanza assestando colpi su colpi al lavoro salariato che è la sostanza del capitale, mentre il diffondersi di debiti, disoccupazione e povertà mostra l’accelerazione – inarrestabile e senza alternative al proprio interno - della spirale negativa del capitalismo giunto ormai ad una fase di profonda agonia.
E’ l’FMI a stimare – per il 2020 - il debito pubblico totale dei paesi capitalisti avanzati prossimo alla cifra spaventosa di 6 trilioni di dollari (6 miliardi di miliardi), ufficialmente al 122% del PIL di questi paesi, che invece perde punti di mese in mese. Con il corona-virus, gli indebitamenti sono ulteriormente balzati all’insù: nel mondo, a fine 2019, la somma dei debiti pubblici e privati era pari al 255% del Pil globale e si può ora supporre, per la fine del 2020, un debito che in tutto il mondo supererà il 300% del Pil. Qualche “esperto” borghese – come l’economista Minenna (Università Bocconi…) - accenna ad un rapporto col Pil, che sarà compreso fra il 322 e il 342%. Si tratterebbe di un salto… in basso veramente impressionante.
Per quanto riguarda questo indebitamento pubblico, sono sempre gli economisti borghesi a dirci che il suo livello, sempre in rapporto al Pil, in Italia è salito a fine maggio 2020 sino quasi a raggiungere quello registrato alla fine della Seconda guerra mondiale. Guardando all’Italia, l’assegnazione dello status di “spazzatura” ai titoli pubblici sta diventando una certezza. Non stanno molto meglio gli altri Stati: in Francia, nel periodo marzo-aprile 2020, sono già stati emessi 61 miliardi di euro in nuovi prestiti bancari, quattro volte quanto concesso nello stesso periodo dell’anno precedente; complessivamente nella zona euro il rapporto si è moltiplicato per sette. Fra le principali compagnie internazionali, la Boeing ha emesso obbligazioni per 25 miliardi di dollari in un colpo solo, mentre vengono degradati a livello speculativo i rating di imprese come Renault, British Airways, Rolls-Royce, Ford, Delta Air Lines. Si fanno avanti cupe previsioni di alcuni fallimenti di imprese, probabili nei prossimi mesi in Europa e negli Stati Uniti.
A questo punto si vorrebbe rilanciare il capitalismo cancellando i suoi debiti! Dunque, che fare? E’ il tormentone che circola nei Palazzi del potere, dove la crescita della economia è chiaramente un mito al quale più nessuno crede. Ed accanto all’idea di una “ristrutturazione del debito”, si pensa - raschiando il barile che si sta sfasciando – ad una ipotesi di… cancellazione. Più precisamente, si tratterebbe di una mutualizzazione dei debiti (in Europa migliaia di miliardi), trasformandoli in una “rendita perpetua” a tasso zero e per la BCE… Si spaccerebbe questa “soluzione” come una boccata d’ossigeno per il capitale, trasferendo il collasso che grava sugli Stati europei agli anni futuri e formalmente sulle spalle della BCE.
Un’altra “soluzione” sarebbe quella – anche per gli antagonisti costituzionalisti siamo al non plus ultra! - di far piovere soldi dal cielo. Un denaro ridotto a pezzi di carta senza valore alcuno, ovvero senza quella relazione… “sociale” che lo giustifica quale categoria fondamentale per l’esistenza stessa del capitalismo. Al quale è fondamentale l’uso-sfruttamento di una merce speciale quale è la forza lavoro, da acquistare sul mercato e dal cui impiego estrarre il quantitativo più grande possibile di plusvalore che assicuri la vita (riproduzione e accumulazione) del capitale. Ecco allora che quello della circolazione attraverso il denaro, non è il problema di fondo fino a quando il modo di produzione non sarà rivoluzionato.
Nella categoria del denaro quello che si esprime è un ben definito modo di produzione, le cui condizioni di sopravvivenza non mutano con artificiose proposte che si propongano di correggere soltanto alcuni “difetti” della circolazione. Qualunque sia la forma e la quantità del denaro, esso rimane un rapporto fondamentale della produzione capitalistica, con la proprietà di misurare lo scambio delle merci prodotte divenendo lui stesso una merce universale che sarà la forza del capitalismo. Il quale produce tutti i valori, siano essi d’uso o meno, come merci alle quali si attribuisce un valore di scambio che – realizzato in denaro – consente al capitale di ricavare il plusvalore che ha ottenuto con lo sfruttamento del vivo lavoro e che già si trova depositato nelle merci stesse. Le quali devono poi essere vendute affinché il capitale si metta in tasca quel plusvalore, in un mercato dove la concorrenza spara colpi su colpi e i saggi di profitto arretrano!
La legge dell’accumulazione capitalistica poggia su questo costante movimento di valorizzazione del capitale, che incatena miliardi di esseri umani agli ingranaggi di un processo che fa del valore di scambio una mediazione in grado di asservire a sé l’intera società e di trasformare ogni rapporto fra gli uomini in un rapporto fra cose. E sarà proprio attraverso lo scambio monetario nel mercato, dopo che alla produzione capitalistica vien fatto assumere indirettamente un carattere sociale del tutto irreale, che si mostrerà come il vero rapporto… sociale si basi sull’acquisto del lavoro senza la quale il processo capitalistico non si avvierebbe e non si concretizzerebbe l’uso-sfruttamento della forza-lavoro. Con il fine esclusivo di ottenere una produzione di plusvalore indispensabile sia per mantenere la classe borghese sia per garantirsi una ininterrotta accumulazione quale ragion d’essere del capitale.
Senza investimenti centralizzati nello sfruttamento del lavoro, che diano poi la possibilità di vendere le merci prodotte, il capitalismo entra in crisi sempre più vaste e profonde, irrisolvibili se non con momentanee distruzioni materiali, cioè guerre.
Il denaro, principale categoria del capitale
Siamo davanti a uno dei punti fondamentali della critica marxista al capitale ed alle sue categorie principali; in particolare, quella del denaro merita un approfondimento che qui sfioriamo, ma che meglio svilupperemo a fondo in altri articoli.
Cominciamo col ripetere che, per la sua sopravvivenza, il capitalismo dovrebbe continuamente creare nuovi posti di lavoro salariato “produttivo” e avere un consumo (una vendita) costante delle merci prodotte, anche se queste fossero in gran parte inutili, addirittura dannose. Il “regalo” di monete fotocopiate (che al massimo svuoterebbero per un giorno qualche deposito stracolmo di merci fino a quel momento invendute, a condizione che quel denaro fosse distribuito solo a proletari “bisognosi”…) non stimola investimenti che reclamano redditività, profitti, e non certo la semplice soddisfazione di “bisogni” per l’umanità! Questa al capitale non interessa minimamente ed anzi, a trarre qualche vantaggio da questa accentuata circolazione di soldi sarebbero semmai altre speculazioni operate da bande più o meno mafiose, sempre pronte ad approfittare di certe situazioni che la società borghese offre a loro! Speculazioni che sono già all’ordine del giorno, che vanno ben al di là della stessa economia reale, dove – in alcuni paesi, con la microelettronica – la produzione industriale basata sull’impiego di grandi masse operaie ha subito molte modifiche. Il capitale costante ha sopravvanzato di molto quello variabile finendo col ripercuotersi negativamente sui saggi di profitto. E’ venuto avanti il settore finanziario, dando l’illusione di poter produrre più ricchezza col denaro che si auto moltiplicherebbe, con l’accumulazione di capitale fittizio e col ricorso – appunto - al rigonfiamento di esplosive bolle speculative al suo interno.
Una caduta dopo l’altra
Con l’incepparsi dei suoi meccanismi di auto-riproduzione, il capitalismo sta – sia pur lentamente – cadendo in ginocchio e peggiora le proprie condizioni di sopravvivenza andando ad aggravare (ormai quasi di giorno in giorno) quella che è la sua più importante contraddizione interna. Si tratta della sostituzione con macchine del lavoro umano – produttivo di plusvalore - al fine di rendere sempre più competitive le merci su un mercato che anziché ampliarsi si restringe mentre mezza umanità sprofonda nella miseria. Scienza e tecnica portano ad una diminuzione relativa dell’impiego di masse di uomini e donne, costrette a sopravvivere con un salario che non c’è più. La società borghese – basata sulla relazione capitale-lavoro – barcolla e si potrebbe disgregare da un momento all’altro: dunque, un collasso immediato? Una subitanea ripresa della lotta di classe, oggi a livelli molto bassi, con un proletariato che diventa finalmente consapevole di avere nelle proprie mani le sorti del mondo, sia quello umano che quello naturale? Purtroppo, queste prospettive di tipo meccanicistico non debbono illuderci; non ci abbandoniamo allo sconforto e al pessimismo: siamo ben consapevoli che il capitale è pronto a tutto, cioè a mettere in campo disperate alternative politiche (e di sicuro mai pacifiche!) che per il proletariato comporteranno altre lacrime e molto sangue. Diventa quindi di estrema importanza il lavoro teso a raccogliere i soggetti più sensibili ad una critica al presente stato di cose, i quali non si ritirino in se stessi, ovvero in una ininfluente e soggettiva esibizione teorica ma sappiano dare alla critica una prospettiva pratica rivoluzionaria. E questa sarà tale solo se saprà tradursi concretamente in lotta politica, di classe, guidata dal partito che occorre organizzare al più presto per avere le basi necessarie a lottare per la sola alternativa possibili, il comunismo.
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