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Home ›Il capitalismo alle prese con il coronavirus
Il coronavirus sta dilagando ovunque. Espandendosi in forma ormai pandemica - sia ben chiaro: nessuno di noi si è augurato questo! – diventa inevitabile un grave contraccolpo per la specifica società in cui viviamo e che ancora una volta dimostra, con la logica delle sue assurde leggi economiche, di non poter sostenere quello che risulta essere il verificarsi di improvvise calamità e sconvolgimenti naturali, fra cui anche i disastri climatici e ambientali che si profilano all’orizzonte. Come appare evidente dagli allarmismi che si diffondono, il capitalismo teme che venga messa a repentaglio niente di meno che la “vita economica” degli Stati e dei loro mercati. Si avverte il pericolo di un collasso generale che rappresenterebbe – per i poteri dominanti – l’inizio della fine.
Il capitale non può vedere i propri flussi e quelli della produzione e del commercio – già in preoccupante difficoltà – subire ulteriori rallentamenti o blocchi. Questo anche se, in un primo momento, a una parte della classe dominante il coronavirus può anche essere sembrato un episodio da sfruttare politicamente, una volta circoscritto, per deviare l’attenzione pubblica ormai troppo concentrata sul persistere della evidente “recessione” sia economica che finanziaria.
Leggendo i dati riguardanti la epidemia di influenza asiatica del 1957-58, e poi il suo ritorno nel 1968-‘69 si constata - stime dell’Oms – come tale pandemia provocò nel mondo intero due milioni di morti (un altro milione nel successivo ritorno). Il pericolo durò un anno e ricordò la spagnola del 1918/’19, che registrò quasi 50 milioni di morti, sempre stando alle cifre ufficiali. Ebbene, oggi le sole misure preventive contro questo nuovo virus stanno mostrando che esse diventano la causa di un peggioramento dell’altra crisi, quella da cui il capitale non riesce più a liberarsi. Il capitalismo si vede costretto (nonostante i suoi pur deboli… provvedimenti) ad alimentare un altro virus che rischia di peggiorare le attuali sue condizioni. Fra queste, la crescita dei debiti (privati e pubblici) con un impatto economico tragico per il proletariato e con minacce alla lunga letali per il sistema e addirittura per la sopravvivenza dell’intera specie alla quale apparteniamo e che in Africa, nell’Oriente e in tutte le altre parti della Terra sta già subendo spaventosi massacri di uomini e donne, bambini e vecchi. Guerre, carestie, migrazioni forzate, fame e privazioni di ogni tipo.
Lo scrivevano, più di un secolo e mezzo fa, Marx ed Engels nel Manifesto comunista a proposito di quelle “epidemie sociali” che fanno seguito a crisi dovute a carestie, guerre e – oggi, in parte – al “corona virus”. Si viene così a completare un quadro preesistente di crisi generale del sistema:
La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie […]; l'industria, il commercio sembrano annientati, e perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi stessi prodotta.
E di fronte al coronavirus non sono più in grado di affrontare e sostenere – ecco la prova odierna, più che tangibile! – le conseguenze di misure di prevenzione obbligate contro le diffusioni di infezioni, ma che disturbano l’imperante sistema economico, oltre a scatenare alcuni istinti primordiali che covano nella pubblica opinione e sono coltivati dalla stessa “cultura” borghese. Misure di prevenzione che darebbero colpi quasi mortali a quel profitto che già –per il capitale “investito” – si sta indebolendo col passar del tempo.
Una riflessione si impone, a questo punto. Dobbiamo renderci conto di essere al centro (e questo interesserà soprattutto le generazioni a venire) di un susseguirsi di lente ma inesorabili trasformazioni naturali (in parte), persino chimiche e quindi anche con mutazioni biologiche che avvengono attorno a noi, col passare dei secoli. Sulla Terra tutto ciò si sta manifestando in contemporanea con l’avvenuta diffusione del sistema capitalistico, favorendo – eccoci ai giorni nostri - la stessa diffusione di virus e malattie che, per l’appunto, condizioni e “stili” di vita (fra cui l’alimentazione) tendono a favorire. In certe epidemie del passato i morti si contavano a milioni e i contagi cominciarono a diffondersi secoli e secoli fa con l’espandersi dei commerci al seguito delle stesse dinamiche di un capitalismo affamato di nuovi mercati, che propagò poi virus di altro tipo ma non meno micidiali, anzi alla base di razzismo e xenofobia genocidi spaventosi e bestiali, guerre continentali. A ciò si aggiunga il dilagante impoverimento ecologico (deforestazioni, inquinamenti di aria e acque, riscaldamento climatico) che aumenta i pericoli che gravano sulla esistenza stessa della specie umana, totalmente prigioniera delle logiche del capitale e delle leggi dei suoi mercati. Non solo, ma con il peso di una “egemonia culturale” che grava sulla stragrande maggioranza degli uomini e che pure l’evidenza materiale dei fatti ancora fatica ad abbattere e superare.
Venendo poi a quella ricchezza che spesso la borghesia si vanta di aver “creato” (comunque sottratta alle masse proletarie che l’hanno prodotta, poi trasformata in masse di capitale fittizio accumulato negli oligopoli finanziari), va subito detto che essa sarebbe concretamente tale se (in reali beni e materiali oggetti per il benessere della specie umana) già fin da oggi andasse a soddisfare tutti i bisogni primari della popolazione terrestre. E lo potrebbe oggi fare! Ma nel capitalismo ciò non è possibile poiché i prodotti – assumendo la forma di merci – intasano, sì, i mercati mondiali, ma di fronte a masse di uomini e donne che sono esclusi dal loro “acquisto”. Anche a colpi di mitraglia, se le “richieste” non sono “democraticamente” avanzate, accettando passivamente ogni privazione…
Lo “sviluppo” di mercati e commerci si è ormai bloccato ed anzi tenderà sempre più a restringersi a danno delle masse, deprimendo l’economia capitalista e mostrando quanto assurdi siano gli attuali rapporti privati di proprietà. Rapporti sui quali si fonda il dominio della classe borghese, dopo aver fatto ricorso al più bestiale sfruttamento dell’altra classe, quella costretta al lavoro salariato. Costruendo e imponendo quindi un modo di produzione e un sistema distributivo col quale i ricchi possiedono e controllano il denaro che hanno reso obbligatorio e indispensabile per l’acquisto delle merci, trasformandolo in capitale che avvia e gestisce ogni tipo di attività (umana ma anche “bestiale”!) soltanto se questa lo “valorizza” ulteriormente, aumentando il suo potere e quello della classe che lo gestisce. Il mondo globalizzato dal capitale – produttivo e… finanziario – vede le filiere di queste sue “attività” del tutto internazionalizzate; la sua forza si è ingigantita ma nel medesimo tempo è diventata più fragile. I mercati traballano e le Borse tremano mentre le Banche centrali non sanno cosa fare e i Governi fantasticano su fugaci rilanci i quali, anziché preoccuparsi dei reali bisogni che affliggono l’umanità, aumentano i sacrifici, approfondiscono le “rinunce” con una costante diminuzione del potere d’acquisto di salari e pensioni. Miserie e sofferenze si diffondono ovunque: il faro della “civiltà capitalista” a sfondo privato – dopo quella russa a sfondo statale e quella cinese, in versione mista… – le illumina ampiamente e drammaticamente!
Per ribaltare questa ormai insostenibile situazione, si fa necessario e urgente – poiché oggi sono ben presenti, e più che evidenti, le possibilità per compiere questo salto in avanti! - l’apporto di una attività critica e organizzatrice, propagandistica e politica, che impone la presenza come guida del partito di classe. Per questo sono indispensabili gli sforzi dei compagni e non gli arretramenti personalistici ed egocentristi di qualche “anima bella” alla scoperta di nuove verità… Da parte nostra, prese le debite distanze sia da astrazioni attendistiche sia innovatrici, non possiamo che aumentare impegno e sacrificio per il solo obiettivo che la storia ci impone: la trasformazione radicale del presente stato di cose.
Tutti noi combattiamo il coronavirus, ma sia chiaro che senza una radicale “mutazione genetica” dell’attuale modo di produzione e distribuzione, il capitalismo, restiamo sotto una ben più grave e letale minaccia che può trascinarci prima verso un totale imbarbarimento e poi la morte. Che questa diffusione epidemica del coronavirus stia diventando preoccupante per tutti noi, non vi sono dubbi. Ma un’altra constatazione è evidente, via via che l’emergenza aumenta la crisi che già stava mettendo al tappeto il sistema economico, produttivo e sociale dominato dal capitale.
Le preoccupazioni della borghesia sono palpabili: ci si aggrappa alla speranza di un “nuovo modello” di sviluppo che rimetta in piedi e rafforzi quel tessuto economico e sociale che si sta lacerando. Nei mercati internazionali cominciano a gravare strozzature – sia nell’offerta sia nella domanda di merci – che il coronavirus aggrava di giorno in giorno. E la riduzione del Pil incombe come un incubo su tutto e tutti: le cosiddette “attività” del capitalismo manifatturiero (quello che “produce” il valore aggiunto!) sono in forte calo, tanto da mettere in forse decine e decine di migliaia di “posti di lavoro”. Si enfatizzano microscopici interventi a sostegno di investimenti del capitale (affamato di profitti!) e quindi per la ripresa della produzione di merci. Ci si aggrappa ad una nuova emissione di debiti che aggraverà lo strangolamento del sistema! Un sistema – il capitalismo – alla ricerca di “garanzie” che nessuno può dargli… costringendolo a strappare lacrime e sangue alle masse proletarie del mondo intero. Masse alle quali la stessa “sinistra borghese” – offrendo al capitale il proprio appoggio! – continua a promettere il mito del “welfare universalistico”…
In questa totale schiavizzazione impostaci dal capitale e dal suo profitto, intascato da un centinaio di migliaia di borghesi che si crogiolano nel lusso e nei piaceri, le relazioni economiche e sociali non possono mutare sostanzialmente fino a quando si spaccerà come “cambiamento radicale” la farsesca richiesta di una ipotetica “politica industriale che eviti la chiusura delle imprese”, rilanciando il lavoro salariato e la produzione di merci da vendere nei mercati a chi ha il portafoglio pieno! Non solo, ma – tutti indistintamente lo chiedono – affinché si diventi “protagonisti nella competizione globale”! Con una “espansione della economia di mercato” e chiedendo (al limite, imponendola con la violenza!) la “condivisione con le parti sociali e la società civile”… Ma questa gente, ci fa o ci è?
Si invocano garanzie “europee” sui debiti che dovrebbero fronteggiare l’emergenza coronavirus, chiedendo alla Bce di stampare moneta per poi acquistare eurobond ed investire nella ricerca di quel profitto che al capitale non basta mai per sostenere (e qui siamo al fondo del baratro)– proprio quei debiti che alla fine qualcuno – e sappiamo chi – sarà chiamato a pagare. Lavoriamo – dunque – perché queste drammatiche “lezioni” comincino a dare qualche risultato, oltre il bla bla bla dei più sciocchi servi del capitalismo e della sua sopravvivenza.
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