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Home ›Con la comandante Rackete e con chiunque compie azioni umanitarie, ma contro il capitalismo
I fatti
È balzato agli onori della cronaca estiva il caso della nave umanitaria SEA WATCH, capitanata dalla comandante Carola Rackete.
Il giorno 12 giugno la nave ha recuperato 53 migranti a largo delle coste libiche. Portate immediatamente a terra, per motivi medici, 11 persone, le restanti 42 sono rimaste a bordo. La nave è stata oltre due settimane a largo di Lampedusa senza poter attraccare, mentre le condizioni igienico-sanitarie a bordo peggioravano. Il 25 giugno La Corte Europea per i Diritti dell'Uomo ha respinto la richiesta di ingiunzione all'Italia di aprire il porto di Lampedusa per motivi umanitari: “non vi era rischio immediato di danno irreparabile”. Il 26 giugno la comandante Rackete ha deciso di forzare il blocco fermandosi dinnanzi al porto di Lampedusa. La guardia di finanza ha quindi arrestato la Capitana, che al momento dello sbarco è stata coperta di insulti razzisti e misogini da parte di un drappello di militanti leghisti radunatisi al porto. I beceri sovranisti erano pronti a capitalizzare in termini di odio da diffondere mediaticamente (e gratuitamente) la ghiotta occasione di “una crucca, figlia di papà che passa il suo tempo a salvare negri che starebbero meglio a casa loro, o in fondo al mare”. Il caso ha dato la stura ad un numero interminabile, da destra a sinistra, di dibattiti e prese di posizione sull'argomento. Il nostro punto di vista è il seguente.
La situazione generale
Quello a cui stiamo assistendo da mesi, anni, è un progressivo inasprimento autoritario – compreso il blocco dei porti - che segna una direzione esatta, seguita da tutti i governi che si sono susseguiti fin qui. Indipendentemente dalle differenze di facciata, la stretta degli spazi di manovra più o meno democratici, la negazione degli spazi di dissenso, l'appesantimento dei dispositivi e degli apparati giuridico repressivi - di cui i due Decreti Sicurezza costituiscono solo gli ultimi episodi in termini di tempo - sono un segno esatto dei tempi che viviamo. Si potrebbe tracciare un grafico che vedrebbe correre in parallelo l'avanzare della crisi economica capitalista (con la caduta del saggio del profitto), il progressivo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro della classe proletaria, dei lavoratori (a partire dalle componenti socialmente più deboli ed esposte: migranti, giovani, donne). Questo tracciato sarebbe accompagnato da un altro che ne ricalcherebbe l'andamento e che indicherebbe il progressivo inasprirsi dei dispositivi legali-esecutivi-giudiziari in senso autoritario. Aumenta la crisi aumenta la rabbia, ma del padronato. Questo il quadro generale all'interno del quale si va ad inserire il fenomeno specifico.
La superficialità dell'umanitarismo
Ed ecco che all'arroganza del Ministro dell'Interno fa da contraltare l'innocua indignazione dei settori democratici-antifascisti-umanitari della società. Totalmente isolati dal contesto di classe da cui origina la crisi e sul quale ritornano le sue conseguenze: la mai sufficiente intensificazione dello sfruttamento della forza lavoro. Per i sinceri difensori dei valori democratici il problema di classe non esiste o è marginale. Il vero focus sorge invece quando le leggi non sono più giuste, secondo un criterio “umano” di giustizia almeno. Quando le leggi arrivano a violare i principi inalienabili dell'uomo e del cittadino. Per dirla con Margherita Hack: “La disobbedienza civile è necessaria quando le leggi sono contro la democrazia e la libertà”. Ecco che per loro il cuore del problema è ristabilire il sacro ordine democratico ammendando i torti del folle autoritario di turno (oggi Salvini, prima altri). Per gli umanitaristi-democratici-antifascisti, insomma, la disobbedienza è il momento più alto, simbolico, romantico, di un movimento di risveglio delle coscienze civili, teso a ristabilire i sani principi della democrazia e del diritto borghesi in una libera concorrenza equilibrata e al giusto sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Gli umanitaristi, nelle migliori intenzioni, sono insomma come coloro che camminano in avanti, ma con la testa girata all'indietro. Espressione particolare su un terreno specifico riesumano in forma altrettanto particolare il risorgere della vecchia e più generale “questione democratica”, che si fa sentimento comune e d'azione in raggruppamenti sociali che all'oggi solo parzialmente trovano riferimento in forze politiche organizzate e/o istituzionali. Ma il loro agire è il prodotto delle contraddizioni sociali che emergono in forma mutata nei diversi ambiti dei rapporti sociali investiti dal motore delle politiche capitalistiche odierne. Un piano di disposizione inadeguato, proprio perché sostanzialmente arretrato, nella sua incapacità di misurarsi con il cuore dei problemi che emergono dal sistema capitalista e che vedono in questo l'origine di tutte le schifezze contro cui vorrebbero schierarsi. Da questo punto di vista il problema non è tanto se le leggi sono giuste o ingiuste, ma cosa si fa per mettere in discussione oggi e rovesciare domani il sistema che, ineluttabilmente e con violenza via via crescente, genera tanta miseria, odio e violenza.
Una posizione di classe
I rivoluzionari devono innanzitutto chiarire che la “deriva autoritaria” non è figlia della stupidità e arroganza del governante di turno (per quanto queste “qualità” siano innegabili), ma la figlia legittima di un sistema economico e sociale che si dibatte in una crisi gravissima, che procrastina le sue contraddizioni e attende l'esplosione della prossima bolla, o della prossima guerra, senza poter fare nulla per domare le profondissime contraddizioni che, anzi, lo animano. Come rivoluzionari non possiamo che appoggiare la Comandante Rackete (ci piace chiamarla per cognome come si fa per i comandanti maschi) nel suo giusto atto di forzare un ingiusto blocco navale per salvare delle vite umane, e saremo sempre solidali con lei e con chi nel Mediterraneo, come altrove, dedica la sua vita a salvare le vite dei nostri fratelli e delle nostre sorelle sfruttati del mondo intero. Ma per noi l'atto di disobbedienza è solo il primo passaggio della più generale messa in discussione di un sistema che non è, né potrà mai essere, giusto, poiché si basa sul profitto, sullo sfruttamento, sulle guerre e sull'oppressione del più debole. Per questo anche noi “Stiamo con Carola”, ma a differenza di altri non ci accontentiamo di affermare questo: questa denuncia è solo il punto di partenza per affermare che vogliamo la fine di ogni sfruttamento, profitto, guerra e oppressione. Per affermare con forza che il problema è e rimane il capitalismo. E quando i sinceri democratici, umanitari, si indignano per questa nostra affermazione, siamo contenti, perché così dimostrano il loro essere intimamente solidali con il sistema che parzialmente osteggiano a parole, ma concretamente difendono nei fatti.
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