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Home ›La giostra degli indebitamenti
Per la serie: Ci fanno o ci stanno?
Mentre Trump prosegue negli osceni spettacoli del suo egocentrismo politico, il debito pubblico americano ha raggiunto i 22mila mld di dollari. Grazie ai bassi tassi del denaro, praticati dalla Fed a partire dal 2008, gli interessi pagati sono sotto i 500 mld di dollari, ma la situazione potrebbe precipitare con un cambio della politica monetaria della Fed, mentre i tagli delle tasse promessi da Trump altro non farebbero che complicare il già fosco quadro, comprese le condizioni degli enti locali.
Sull’indebitamento di Stati, imprese e famiglie, non si finisce mai di cogliere – sempre da fonti borghesi – una panoramica “inquietante” di dati. Cataste di miliardi a credito, di fasulla liquidità che la Fed in America e la Bce in Europa (idem negli altri continenti) lanciano dai loro palazzi in “aiuto” dei governi per sostenere una serie di bilanci da anni prossimi alla implosione. Inoltre bisogna rifornire le Banche con denaro a basso tasso affinché il castello finanziario non crolli. E i bilanci delle Banche straripano di crediti deteriorati: in Italia si parla di 60 mld per il 2017, e poi vi sono circa 320 mld di titoli di Stato. Per i derivati, il primato in Europa è detenuto dalle Banche tedesche.
Che i debiti pubblici siano fra le stelle e le… stalle, lo si sa da tempo; fatto poco noto è poi quello che non tutti gli Stati hanno come loro obbligo quello di emettere il corrispondente pagamento – per esempio – delle pensioni! Sarebbe un “fuori bilancio” che non pone vincoli allo Stato. Quindi nessuna contabilizzazione nel debito pubblico, tant’è che si apprende (dalla stessa OCSE) che sono stimati ben 20 paesi i quali avrebbero un indebitamento non finanziato pari al 78 trilioni di dollari, in aggiunta al loro debito ufficiale di 44 trilioni. Si fanno i nomi anche di Francia, Gran Bretagna e Olanda, per oltre il 60% delle pensioni erogate ma non contabilizzate nel debito pubblico…
Ci capita spesso di ripetere informazioni “economico finanziarie” e relativi dati precedentemente già segnalati (semmai con qualche lieve variazione): non è per colpa nostra, bensì lo si deve al fatto che quasi ogni giorno la stessa “intelligenza” borghese rivela indicazioni abbastanza evidenti di quanto sia profondo lo stato di crisi in cui versa il capitalismo. Ecco infatti che è questa volta il FMI a segnalare che gli indebitamenti globali (Stati, famiglie, imprese) sono giunti al 225% del Pil mondiale. Nel 2007 si parlava del 175%; allora i debiti delle famiglie erano al 52% ed ora, 2017, sono al 63%. Attorno a queste cifre da capogiro (la fonte è ufficiale!) continuano a circolare pacchi di derivati valutati da 700 mila a 1,5 milioni di mld di dollari, vale a dire da 9 a 20 volte il Pil mondiale. Non ci inventiamo nulla: sono “loro” a farci sapere che soltanto fino al 2015 erano pari ad oltre 740 trilioni di dollari le attività finanziarie mondiali. Di queste, un terzo (249 trilioni) riguardava attività “produttive” di beni o servizi (azioni, obbligazioni, prestiti bancari); 492 trilioni erano strumenti sintetici di tipo esclusivamente “finanziario”.
Mentre la sinistra borghese finge lacrime di coccodrillo sul trascurato articolo 41 della Costituzione (1) ecco venire acanti il settore della Gig economy, vero e proprio girone infernale per la flessibilizzazione di alcuni settori (per altro non tutti produttivi di plusvalore). Giovani ai quali “si offre” l’alternanza scuola-lavoro, sharing economy, uberizzazione del lavoro, lavoro on demand, fabbrica 4.0, algoritmi e machine learning. Si diffondono siti, app e piattaforme web con lo scopo della massima precarizzazione e individualizzazione del lavoro low cost. Categorie ovunque in aumento, con salari a livello di elemosina, con una disoccupazione reale che, per quanto concerne l’Europa, è stata riconosciuta dalla Bce al doppio di quella ufficiale. Da notare che le innovazioni tecnologiche stanno per stravolgere i livelli occupazionali non solo dei settori industriali ma anche di quelli bancari. Gruppi cinesi e americani si preparano a grossi investimenti nel digitale, nel front e nel back office. E mentre i missing men (senza lavoro…) aumentano di numero ovunque, la “sinistra”, sollecita l’innovazione tecnologica, l’automazione competitiva, in tutti i settori fino a reclamare “interventi finanziari dei pubblici poteri” e una “tutela del lavoro stabile”! E’ qui che bisogna investire il capitale, invocano a destra e a sinistra. Già, ma bisogna poi “vendere al giusto prezzo” le merci prodotte: chi le acquista? A credito o con pezzi di carta lanciati da un elicottero, spostando le date dei pagamenti effettivi?
Finchè si seguirà la logica capitalistica del valore di scambio, i rapporto fra gli uomini saranno mistificati come fossero rapporti fra cose, obbligando chi per sopravvivere altro non può fare che cercare disperatamente un salario, ad accettare – sempre e solo se al capitale conviene – un simulacro di lavoro on demand, circondato da piattaforme digitali e algoritmi che diventano un mezzo di produzione, gestito dal capitale sempre e solo per sfruttare uomini e donne gratificati del titolo di “cittadini”.
DC(1) L’articolo, capolavoro dei nazional-comunisti dell’immediato dopoguerra, recita ipocritamente: l’iniziativa economica privata, affinché sia sana e libera, non può “svolgersi in contrario con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana…”. Spetterà alla legge “determinare i programmi e i controlli perché l’economia, privata e pubblica, sia indirizzata e coordinata a fini sociali”. Beffati e bastonati!
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