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Home ›I voli “acrobatici” di Alitalia
Nelle ultime settimane sembrano essersi fatte più intense le intrigate manovre tendenti alla vendita ad un solo acquirente dell'intera compagnia Alitalia e non soltanto dei suoi singoli asset. Circolano i nomi di Lufthansa, Air France, EasyJet e del fondo d'investimenti americano Cerberus. Tutti, comunque, richiedendo tagli occupazionali e forti ridimensionamenti di attività. I tempi si sono allungati fino al 30 aprile 2018 e il prestito-ponte dello Stato è arrivato a 900 milioni di euri restituibili entro fine settembre 2018. In Cassa figurerebbero al momento circa 800 milioni e la situazione entrate-uscite sembra leggermente migliorata sotto il controllo dei commissari. Le perdite nel 2016 erano state di 500 milioni…
Dopo aver inghiottito milioni di euro (la ragioneria di Stato ha conteggiato la cifra di 7,4 miliardi di euro “pubblici” spesi fino a ieri per pascolare le voraci consorterie capitaliste nei loro… voli pubblici e privati e nei più spericolati giochi di prestidigitazione finanziaria), la situazione in cui si è trovata Alitalia ha sfiorato il dramma per i lavoratori. Alcuni dei soggetti che hanno gestito gli “affari” indisturbati per anni di eclatanti imprese, si presentano oggi addirittura come “salvatori della Patria”.
Dopo i maneggi del Governo Prodi che cercava di vendere Alitalia ad Air France-Klm (la quale offriva 6 mld di euro per investimenti dal 2008 al 2013 e qualche altro centinaio di milioni di euri per… “spese varie”), si ebbe l'entrata in scena di Berlusconi. Fiutando altri giri di affari più convenienti per lui e per gli amici suoi, e dopo aver vinto le elezioni lanciando il motto «Alitalia agli italiani» («Io amo l'Italia e volo Alitalia»…), Berlusconi fece però largo ad altri imprenditori nostrani, una cordata capitanata da R. Colaninno e Intesa San Paolo. I libri erano stati portati in tribunale per fallimento, ma alla fine con la benedizione del Premier Silvio e i “finanziamenti” di Intesa San Paolo (Passera era l'amministratore delegato) fu concluso un “buon affare” e in più la concorrenza fu bloccata dal provvidenziale decreto “Salva Alitalia”. Per completare l'operazione, Berlusconi vietò l'intervento dell'Antitrust riguardo alle tratte monopolistiche finite nelle mani della nuova Alitalia, all'ombra del Piano Fenice con la fusione tra AirOne (anch'essa non in una buona situazione…) e la nuova Alitalia. Sotto sotto, più o meno oscurate, le perdite ricominciavano però a prendere quota, e il “rilancio” della compagnia rimase sulla carta: ancora di scena erano gli aeromobili a corto raggio in possesso di AirOne, mentre gli investimenti erano troppo scarsi per competere con Lufthansa, con la compagnia low cost Ryanair e con il gruppo franco-olandese AirFrance-Klm.
Nel 2014 entrava in scena Etihad mettendo le mani sul 49% dell'azienda. In tempi più recenti, quando nonostante il denaro “investito” da Abu Dhabi (si parla di 700 milioni…), le perdite - mentre il capitale si agitava innervosito - viaggiavano a oltre un milione al giorno: 400milioni di euro all'anno. «Andremo in utile nel 2017 e non saremo più dipendenti da banche e altri sostegni», aveva illuso tutti il presidente Luca Cordero di Montezemolo, vicepresidente anche di Unicredito. Con l'apporto della Etihad di Abu Dhabi non cambiavano comunque i risultati dei conti delle entrate e uscite, sempre in rosso, in un mercato (quello del trasporto aereo) in crescente difficoltà per ottenere quel plusvalore sul quale si basa unicamente lo “sviluppo” della economia capitalista.
Sarebbero le rotte intercontinentali (molto frequentate, è risaputo, dai… proletari!) quelle più redditizie, ma per queste rotte ci vuole una flotta a lungo raggio e ogni aereo costa circa 200 milioni di euro. Con l'aria che tira in campo internazionale e con i pochi aerei intercontinentali a disposizione di Alitalia (solo 24), come si fa a guadagnare per soddisfare i “bisogni” del capitale?
A dispetto di un andamento che veniva definito «decisamente in linea con gli obiettivi», i conti quindi cadevano in basso senza alcun paracadute e la situazione aziendale via via si faceva drammatica. Il numero dei passeggeri ha continuato il suo preoccupante calo, nonostante le stime ottimisticamente fatte. Alitalia si è trovata in coda alla lista delle principali 5 compagnie aeree per il numero in milioni di passeggeri (in diminuzione continua). Gli aerei in media sono riempiti al 75%; la liquidità in cassa è scesa più volte fino a toccare quota 20 milioni (la soglia ritenuta “di sicurezza” si calcolerebbe attorno ai 300 milioni di euro). Sarebbero troppi i voli a breve e medio raggio, poco redditizi e già un campo di affari per altre compagnie. Alitalia si trova ad avere una percentuale di voli interni (poco redditizi) al doppio e fin anche al triplo degli altri; troppo basso il valore dei biglietti venduti (Lufthansa vanta cifre doppie).
Sembrerebbe un problema - per il capitale - sia di strategie e sia di tagli agli organici, anche se (lo dicono i numeri) il costo per posto al chilometro offerto da Alitalia è di 6,5 centesimi. Sarebbe quasi il doppio di Ryanair (3,4 centesimi) ma meno di Air France (10,5) e persino di Eurowings, la low cost di Lufthansa (8 centesimi). Insomma, per salvare capra e cavoli o si riducono i costi e si aumentano i ricavi (bella novità!) o si fallisce. Da notare che se i velivoli non volano, parcheggiarli costa molto di più…
Mentre continuavano i giochi a scaricabarile fra scatoloni pieni di cartelle di documenti contabili e di verbali, i messaggi ai giornalisti e alla “pubblica opinione” erano: «il nostro piano di rilancio è uno tra i più radicali e più rapidamente attivati». Questo nonostante da mesi tirasse una brutta aria nel consiglio di amministrazione e fra i soci. In particolare quelli di Intesa e Unicredit, interessati per i loro prestiti e per le laute commissioni sui contratti derivati stipulati dall'Alitalia attorno ai prezzi oscillanti del carburante e delle valute. Girano pacchi di derivati sottoscritti negli anni scorsi: ai prezzi di mercato si parla di perdite per quasi 300 milioni di euro (segnalati come “riserva specifica di patrimonio netto”...). Una manovra contabile di alta quota con spericolati voli finanziari. Ma i contratti sono prossimi alla scadenza e le perdite diventeranno evidenti nel bilancio finale. A meno che i prezzi del carburante riprendano a salire e qualche trucco contabile non continui la sua esistenza…
Il coro dei servi sciocchi
Poche sarebbero stata le vie d'uscita per non perdere il malloppo: si è parlato di una nazionalizzazione mascherata e con relativi fondi pubblici a carico del solito Pantalone nell'interesse del… Paese. Uno sguardo anche al pozzo della Cassa Depositi e Prestiti e ai suoi Fondi di investimento. (Una soluzione accarezzata dalla Camusso la quale da sempre strizza l'occhio anche a Lufthansa, la quale guarda - fingendo altro! - ad un possibile basso prezzo d'acquisto oltre alle riduzioni - scontate - di personale, non in centinaia bensì in migliaia di soggetti. Comunque, sia con intervento e proprietà pubblica (statale) oppure privata (italiana o straniera), nulla cambia per i lavoratori, e senza una ricapitalizzazione si rischia la chiusura.
Noi non ci stiamo
Come comunisti internazionalisti non siamo di certo indifferenti per quanto sta accadendo in Alitalia: guardiamo alla grave situazione occupazionale che si prospetta per i lavoratori, indotto compreso. Non siamo così aristocraticamente altezzosi - vi sono concretisti e immediatisti (di “sinistra”) d'ogni genere che di questo ci accusano! - da pretendere che gli altri si inginocchino davanti a noi (che staremmo con le mani in mano, sempre secondo i denigratori di cui sopra…), considerandoci depositari di verità assolute.
I lavoratori stessi di Alitalia hanno in precedenza deciso di opporsi in maniera netta a queste manovre che intaccavano la loro condizione lavorativa. Il secco NO! espresso a suo tempo contro l'accordo fra gli attori istituzionali, la proprietà e i sindacati sugli ennesimi sacrifici funzionali “al salvataggio aziendale”, ha significato in quel passaggio la coscienza che “arretrare sempre e comunque” alla fine vuol dire perdere tutto. Una fragile linea di resistenza che nell'immediato ha messo in discussione i progetti padronali, accettando il piano di scontro posto dall'azienda su un terreno di difesa estrema delle proprie condizioni lavorative. Ma l'evoluzione della stessa vicenda Alitalia, con i suoi processi di riassetto aziendali funzionali ai processi di concentrazione, concorrenza e specializzazione del “mercato dell'aria”, dimostra come la condizione lavorativa si scontri, soprattutto in tempo di crisi, con il frutto avvelenato della ristrutturazione e delle sempre più stringenti compatibilità capitalistiche che si riversano sui lavoratori, in maniera pervasiva e costante quale modello di gestione “flessibile” degli assetti produttivi e della forza-lavoro, atto a rispondere ai fattori di crisi e alle esigenze del mercato.
Finiti i tempi delle modalità di gestione delle “vecchie crisi aziendali”, quello che si pone sul piatto della bilancia è di fatto un processo di ristrutturazione permanente consono allo sfruttamento intensivo dei lavoratori e al loro utilizzo “usa e getta” con un peggioramento drastico di tutte le condizioni normative, salariali e finanche di quei “diritti” formali riconosciuti nelle carte borghesi. Questo è il prodotto delle logiche capitalistiche dentro la crisi, questa è la ricetta fondamentale che presuppone la famosa “logica di mercato” nella crisi, il resto o è fumo negli occhi o ricette che, non facendo i conti con questo stato di cose, si dimostrano non solo pannicelli caldi ma anche e soprattutto velleitarie e pronte a crollare nel confronto con le reali esigenze capitalistiche.
Per questo da comunisti, non siamo fra quelli che (etichettandosi sia come “sindacalisti” sia come “antagonisti”) si mobilitano, a parole, per suggerire - e qui siamo al colmo! - cerotti e unguenti al capitalismo nazionale. Coi Sindacati in prima fila a passarsi di mano in mano la patata bollente: cercasi progetti di rilancio per il futuro sviluppo e l'immancabile crescita aziendale... Illudendo i lavoratori che “le cose cambieranno”; che “l'economia italiana (capitalismo - ndr) è in pericolo”, per cui anche i lavoratori dovrebbero partecipare alle sorti dell'azienda, coinvolti nei maneggi di un capitalismo verso il quale si cerca il “consenso” e l'appoggio. Anziché dichiarare chiaro e tondo che il capitale ha storicamente imboccato il suo percorso finale che lo sta facendo affogare, e quindi impegnandoci perché ciò avvenga al più presto, definitivamente e nel modo per noi migliore.
Si tira a campare, invece, alla giornata e alla ricerca del “meno peggio” momentaneo, tentando di convincere una parte dei “cittadini” (mentre un'altra parte se la gode e per di più minaccia chi protesta!) a fare sacrifici purché siano… “utili per il bene comune”, a cominciare dal “giusto peso industriale” che il Paese dovrebbe avere. Con una borghesia grata per l'aiuto che le viene da certi “antagonisti” e “radical-riformatori”; una borghesia che con i suoi manutengoli incolpa i lavoratori di “ricattare” la collettività e mettere in pericolo gli “interessi generali”. Li accusano di difendere privilegi che definiscono “ormai fuori dal tempo” e chiede «risposte _ai problemi concreti e immediati (salario, casa, diritti collettivi)_» da parte di un modello sociale ed economico, il capitalismo, ormai in fase agonizzante e che nulla può dare ma soltanto togliere.
Non solo: dovremmo essere proprio noi a tenere alto il “valore” dell'azienda, offrendo il nostro aiuto per la gestione dei conti in “pareggio”, assicurando un “giusto profitto” al capitale investito! Queste sono vere e proprie oscenità, avanzate da chi, dopo aver infangato il programma rivoluzionario per il comunismo internazionalista, pretende di ripresentarlo, deformato e tradito in ogni suo punto, ridotto a una stampella per il capitale zoppicante. Proprio noi dovremmo dar una mano, anzi due, al capitale, impegnandoci per fargli superare la sua crisi, a salvaguardare gli «assets essenziali per la Nazione», a rafforzare le sbarre delle nostre prigioni.
Questo - sia altrettanto chiaro - non significa rifiutare di affiancarsi a chi lotta contro gli attacchi di una borghesia sempre più arrogante e violenta: esattamente il contrario, senza però confondere le “rivendicazioni” di false alternative con quelli che sono invece i veri obiettivi di un definitivo superamento del capitalismo e delle barbare condizioni di vita che ci sta imponendo. Anzi, è questa coscienza di classe e con essa i punti fondamentali del programma comunista, che dobbiamo portare e far crescere nel proletariato, smascherando i pifferai del capitale e gli utili idioti che reggono loro il copione musicale!
Lacrime di coccodrillo
Lasciamo i “radical-riformisti” di turno (ve ne sono a frotte) a piangere sulla “cattiva gestione dell'azienda” (ammissione pure il ministro dello Sviluppo economico) e, offrendosi direttamente o indirettamente come “migliori gestori” della azienda da inserire in un modello (ma quale?) fatto ad immagine e somiglianza, sociale ed economica, di quello borghese e capitalista giunto al suo capolinea storico. Eh no! - cari signori - in questo sporco gioco politico in cui voi siete maestri non vi seguiamo né mai vi seguiremo!
Che Alitalia sia stata gestita e amministrata male, è un fatto certo ma non è un problema nostro: siamo nelle logiche (e nelle insanabili problematiche) dei movimenti del capitale e delle sue logiche irreversibili, esattamente quello che in definitiva si vorrebbe “salvare”. Tutti, chi apertamente e chi nascondendosi dietro occhiali scuri, piangono sulla “ricchezza economica e sociale” che Alitalia porterebbe con sé, in gran parte dilapidata da “incapaci _amministratori_”. Ma non tutto sarebbe perduto, dicono: si faccia in modo (?) che assieme alle aziende italiche anche Alitalia sia in grado di produrre occupazione e reddito, per il paese, e “salari” (ridotti) per i lavoratori, (anch'essi in numero sempre minore). Personaggi come la Camusso & C. ci ricordano che non è possibile avere “la botte piena e la moglie ubriaca”! Non si perda, dunque, il mercato del trasporto aereo, altrimenti qui si rischia di compromettere la… pace sociale.
Le “necessità” del capitale
Tirando le somme, tra il fumo che oscura la realtà, trapelano le “necessita” per un sostegno al traballante sistema: la costruzione di una rete aerea che si basi principalmente sul lungo raggio, sui voli intercontinentali dove si fanno più soldi e dove “ancora” non esiste la concorrenza delle low cost. Per fare questo ci vogliono soldi e un impegno di almeno due o tre anni. In più - è qui dove si affollano soprattutto gli “antagonisti” - servirebbe anche un “piano politico” che ridisegni il trasporto aereo italiano e costruisca un sistema di regole certe che tutte le aziende del settore rispettino. Il pubblico dovrebbe smettere di sovvenzionare le low cost e invece dotarsi di meccanismi legislativi e regolatori che impongano a tutti il rispetto delle leggi economiche e dei diritti (soprattutto quelli sanciti dalla Costituzione!). Il discorso portato avanti da questi signori sfiora il disgusto. Un certo Marx ci ricorda sempre che
anche il diritto del più forte è un diritto, e che il diritto del più forte continua a vivere sotto altra forma proprio nello Stato di diritto.
Grundrisse
Concludiamo coi narcotizzanti commenti con cui la borghesia indottrina la pubblica opinione, reclamando - come sempre accade quando c'è da pagare i danni - un intervento diretto dello Stato (democratico e costituzionale): un passo, secondo alcuni, che porta addirittura alle porte del socialismo. Quello che in fondo potrebbe piacere anche a lor signori, con le opportune riduzioni di salari e di occupazione: l'altra vera ed unica alternativa (quella del programma comunista che loro considerano “utopistico, sovversivo e impraticabile”) non salvaguarderebbe “le attività produttive” (soprattutto quelle “strategiche” per il capitale) e quindi farebbe “fallire le aziende” e gettare nel caos il “mondo civile”.
E così, al solo pensiero di un possibile “confitto sociale senza precedenti”, si imbiancano i sepolcri di soluzioni offerte come possibili ed efficaci senza minimamente mettere in discussione gli “eterni” rapporti di produzione. Per amor patrio, questo e altro!
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