Formenti: progredire… conservando

Ecco un lampo di luce improvvisa fra le tenebre che avvolgono l’attuale società e diffusesi a seguito della mancanza di «democratiche proposte politiche»… Si tratterebbe – così ci raccontano – di dar corpo ad un «progetto di riscatto del popolo», facendogli indossare l’abito (frusto per la verità) di un opportuno «fronte politico» di… unità nazionale. Sotto banco si sfogliano le mitiche ricette dei fronti popolari, dei blocchi del popolo, dei fronti nazionali, ecc., tutti di infausta memoria. Qualche intellettuale (di stampo “organico” secondo i canoni di gramsciana memoria…) reclama quindi proposte dotate di “fiato lungo” con tanto di una “strategia egemonica” la quale abbia a cuore i “bisogni” del popolo. Di conseguenza, i più “antagonisti” strizzano l’occhio ad una nuova forma della lotta di classe, quella per l’appunto populista.

Non manca neppure chi – dopo aver idealmente costruito non poche speranze sul soggetto politico degli “Stati emergenti” (molto in voga almeno fino a poco fa) con il loro corollario di particolari interessi nazionali e popolari (man mano sprofondati nelle logiche della realtà capitalista) – sorvola oggi sul totale fallimento delle sue previsioni e passa ad interpretare (sempre idealisticamente) quelle che sarebbero le «controtendenze in atto» nel presente stato di cose, a livello internazionale. Un nome fra tanti: ancora quello (già citato in altra occasione) di un Formenti il quale cerca di conquistarsi un po’ di attenzione dopo essersi arruolato nelle fila di quanti assegnano una natura unicamente politica alla crisi in cui versa il capitalismo, escludendo una sua crisi economica strutturale. Leggiamo (articoli riportati dal sito Sinistra in rete) che «la crisi è un fenomeno eminentemente politico»; le sue cause sarebbero da ricercarsi nei «rapporti di forza fra le classi sociali e non _come il prodotto di presunte “leggi” dell’economia_». Formenti offre quindi all’attenzione delle élite popolari alcune sue riflessioni in merito a cosa fare di fronte alle tante spinte contrapposte (compreso il dominio della finanza) che ostacolerebbero la possibilità di una transizione a una civiltà postcapitalista.

Ci sarebbe però un problema: qual’è il “soggetto sociale” al quale aggregarsi per poterlo organizzare in una adeguata forma politica la quale si contrapponga (alternativamente) ai poteri che ci governano? Nel tentativo di distinguersi da altri “pensatori” impegnati attorno a queste tematiche, Formenti guarda con simpatia agli «strati bassi della società, verso la periferia». Si sente (teoricamente e politicamente) attratto dal «populismo interpretato e praticato» nei movimenti che si definirono “anticapitalistici” specie nell’America Latina, almeno fino a ieri…

Il cosiddetto populismo che s’aggira sul pianeta si presenta come un frullato ideologico nel quale galleggiano (o hanno galleggiato) i socialisti di Bolivar, i seguaci di Podemos, Marine Le Pen, Movimento 5 Stelle, Syriza, Alba Dorata, destre dell’Est Europa, nonché Sanders e perfino Trump nonché qualche gruppetto dalle camicie rosso-brune. Nonostante ciascuno si esibisca con le proprie personali diversità di stampo idealistico, sbandierando i suoi programmi nazionali e il suo modo organizzativo di presentarsi, e con i rispettivi leaders all’occorrenza pronti a guardarsi in cagnesco. E mordersi.

Si tratterebbe, a questo punto e secondo il Formenti, di strappare al “populismo di destra” le incipienti “rivolte” popolari. Con un rimprovero anche a quel Toni Negri, da molti individuato come anticapitalista “doc”, il quale in realtà e in una intervista a La7 si è esibito in una difesa della globalizzazione: se non altro – a suo dire – si sarebbe diffusa con po’ più di benessere “popolare” e di democrazia, concesse caritatevolmente dalle caste liberiste dominanti il pianeta… Insomma, nonostante tutto, il progresso avanzerebbe preparando le migliori condizioni per un capitalismo con forme di mercantilismo socialista.

Ma allora l’orizzonte economico- politico si tinge di rosa? Basterebbe forse concedere al capitale qualche moderato spazio di “giusta” valorizzazione, perché anche l’impiego delle armi (che – sia detto fra parentesi – sta diffondendosi come il più adatto a far rispettare la logica del capitale) venga messo in soffitta? Al suo posto verrebbero avanti le “idee” popolari: è questa la nuova assunzione di droga che qualche “anima bella”, sempre presente in una illuminata sinistra di natura borghese, va prescrivendo fra il popolo affinché si affermi un progetto politico, sociale e culturale che superi il liberismo…. Oggi – dice Formenti – fare una politica concreta significa fare “populismo” (sarebbe addirittura «fare lotta di classe»). Insomma, meglio il populismo (la «rabbia dei cittadini») che il vuoto politico. E mentre da altre parti c’è chi definisce il populismo come “una minaccia per la democrazia”, Formenti lo considera «l’unica orma possibile di democrazia», visto che – secondo lui – il capitalismo va male perché avrebbe divorziato dalla democrazia. Quella del livero mercato?

Il pensiero di Formenti è impegnato a coltivare – nel suo campo ideale – la riconquista della «sovranità degli Stati nazionali» con un capitalismo non più globale ma… limitato entro i sacri confini di ciascun Paese. Sotto la bandiera della “sovranità popolare” e di un sano nazionalismo… di sinistra! Riassumendo,

il populismo è la forma storicamente determinata che assume attualmente la lotta di classe, come risultato di un processo che ha dissolto la compattezza sociologica della classe e ne ha distrutto le tradizionali forme di organizzazione e di rappresentanza al punto che oggi è la stessa lotta di classe che si presenta come populista.

Buttati alle ortiche gli esecrabili “dogmi” marxisti (a cominciare dalla contraddizione fra forze produttive e rapporti di produzione…), basterebbe spingere «il populismo stesso in una direzione anticapitalista e socialista» e il gioco sarebbe fatto! Una volta egemonizzato il popolo con questi obiettivi, si avrà la soluzione “emancipatrice” a portata di mano, tutto compreso. E Formenti precisa:

solidarietà fra lotte nazionali, perché la lotta di classe può svilupparsi solo a tale livello [ovvero nei conflitti...] fra luoghi (territori) e flussi (di capitale, merci, informazioni, élite).

Tanto più importante – seguiamo sempre il Formenti pensiero – è la nazione, in quanto essa è «ambito giuridico, economico e politico in cui far valere i diritti collettivi del popolo».

Al peggio non c’è mai fine, e quindi segue un’altra precisazione: solo cosi si otterrebbe una

reintegrazione nello Stato di una cittadinanza che se ne sente sempre più esclusa a mano a mano che vengono indebolite o spazzate via le istituzioni di partecipazione e rappresentanza politiche. [Ecco la vera...] lotta del popolo contro le oligarchie, dei molti contro i pochi, dei poveri contro i ricchi...

ponendo un freno a quel malessere sociale dilagante che disturba gli interessi del capitale.

Va evidenziato che se ci capita di dedicare tempo prezioso nella critica ad alcune esternazioni politiche che circolano nel bel mondo borghese, lo facciamo solo per chiarire non solo le deformazioni alle quali è sottoposto da più parti il marxismo ma anche le nostre posizioni (teoriche e politiche). Ed è proprio al Formenti che ultimamente si deve (La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo) la ripresentazione del vecchio cavallo di battaglia del social-opportunismo piccolo-borghese, il quale avrebbe trovato una manciata di fieno per rivitalizzarsi accodandosi alla consolante visione di un «re nudo» quale sarebbe l’esaurirsi della globalizzazione capitalistica. Lo confermerebbe una «voce autorevole della sinistra mondiale» – così la classifica Formenti – come quella del «vicepresidente boliviano Alvaro G. Linera»…

I primi colpi mortali alla globalizzazione sarebbero arrivati «dalla Brexit, dalla vittoria elettorale di Trump, dal “no” del popolo italiano alla “riforma” costituzionale renziana, oltre alle sconfitte subite in Francia, Irlanda e Grecia dal fronte liberal-socialdemocratico europeista». Al contrario di molti «intellettuali post e neomarxisti», Formenti considera tutto ciò un vero e proprio «cambio d’epoca». Insomma, la «resistenza delle classi subordinate» (della «popolazione mondiale») sta avanzando. Morale della favola: si ritornerebbe (superando all’indietro Marx!) all’“ottocentesca” idea del popolo – ecco il nuovo “soggetto”… rivoluzionario! – avvolgendola negli oppiacei fumi delle nuove forme di «democrazia diretta e partecipativa» attraverso le quali il proletariato (ma soprattutto il… sottoproletariato periferico) riuscirebbe a conquistare la famosa egemonia. Conclusione auspicata: una sovranità popolare alla quale dovrebbe corrispondere anche l’altrettanto famosa sovranità nazionale dalle caratteristiche piccolo-borghesi. La logica degli interessi nazionali tende evidentemente a sostituirsi, con ben diversi contenuti e soggetti, al superato concetto di classe. Al quale noi restiamo fedeli, in stretta compagnia di quel Marx che – in Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, Introduzione – scriveva sulla

formazione di una classe con catene radicali, una classe della società civile che non sia una classe della società civile, una classe che sia la dissoluzione di tutte le classi, una sfera che, per la sua sofferenza universale, possieda un carattere universale (…) che non possa più appellarsi a un titolo storico, bensì al titolo umano (…); una sfera, infine, che non possa emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le altre sfere della società, emancipandole di conseguenza tutte, e che sia, in una parola, la perdita completa dell’uomo e possa quindi conquistare nuovamente se stessa soltanto riconquistando completamente l’uomo. Questa decomposizione della società, in quanto classe particolare, è il proletariato.

Domenica, November 5, 2017