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Il 12 ottobre la lunga lotta dei lavoratori della logistica della SDA di Carpiano si è conclusa con un accordo in Prefettura a Milano da parte delle organizzazioni sindacali, SI e SOL Cobas che in diversi momenti e con diverse piattaforme hanno guidato la mobilitazione operaia.
L'accordo raggiunto, che permette la riapertura lavorativa del sito, come è stato detto giustamente è un accordo di “tregua” che lascia sul tappeto tutti i nodi fondamentali dello scontro fra azienda e operai. In primo luogo, quelli legati al processo di ristrutturazione generale di SDA, che porta con sé l'applicazione delle nuove normative generalizzate di sfruttamento e senza garanzie occupazionali reali dati da leggi come il Jobs act., e delle normative volte a “regolarizzare” le mobilitazioni operaie.
Il corso della lotta ha posto davanti una serie di contraddizioni profonde che porta con sé l'azione sindacale, anche lì dove si innestano cicli di lotta duri e prolungati da parte operaia.
La mobilitazione operaia rinchiusa negli appartamenti delle rispettive sigle sindacali, ancorché “di base” e “conflittuali”, ha di fatto creato una frattura nel fronte operaio. Una frattura oggettiva e soggettiva, in cui dominante in ogni passaggio della lotta, per altro data su piattaforme differenti, si è dimostrato il rafforzamento e la legittimazione della propria “parrocchia” nei confronti dell'altra. Paradosso delle cose, ma non tanto, il fatto che ogni sigla sindacale abbia mobilitato i propri lavoratori sulla propria iniziativa in maniera separata se non contrapposta agli altri lavoratori. Mentre i lavoratori di una sigla si mobilitavano sui propri punti di azione, quelli dell'altra o lavoravano o davano disponibilità al lavoro. Il contenitore sindacale si è dimostrato fattore di divisione dei lavoratori, inseguendo e giocando sul piano dei numeri e della propria legittimazione.
L'attacco squadristico al picchetto dei lavoratori, anticipato da una campagna stampa e di mobilitazione rabbiosa diffusa e montata da padroni e padroncini vari, assieme alla serrata padronale a livello generale con tanto di discriminazione nel momento del rientro per chi aveva partecipato alla lotta, segnano sicuramente un passaggio da parte padronale nell'affrontare la lotta. Il fronte padronale ha dimostrato di usare insieme alle solite pressioni “legali” anche il piano di forza “illegale”, spalleggiato dall'ordine democratico posto a “sua” tutela. Un piano che, è quasi banale dirlo, non solo richiede la comprensione del passaggio, che riempe i propri proclami, ma una salda unità e forza di classe anche sul terreno del reale rapporto di forza prodotto da questi attacchi squadristici. I “contenitori” sindacali non solo non hanno permesso ai lavoratori inquadrati per appartenenza di riconoscersi come appartenenti in realtà ad un unico fronte di classe sulla base di interessi comuni, ma neanche di affrontare uniti la bestiale reazione padronale. Obiettivamente si è aperto un fianco debole all'iniziativa padronale che, ancor prima che esser figlio di un problema organizzativo e di mobilitazione unitaria, deriva dalle ricadute di logiche sindacali da parrocchia che hanno costellato l'intera vicenda. Vogliamo anche ribadire che nessun tipo di dialettica di qualsiasi tipo e natura è possibile contro chi organizza selvagge aggressioni contro i lavoratori in lotta.
L' unità di classe non può essere sganciata dal processo di costruzione di indipendenza di classe, ovvero da costruzione di quel processo soggettivo di alternativa al sistema capitalistico che è alla base dei rapporti di sfruttamento. Se la lotta economica è l'ossigeno insopprimibile della lotta di classe, la sua trascrescenza in lotta politica presuppone un salto e una rottura nei livelli di coscienza e organizzazione proletaria sul terreno più generale dei rapporti complessivi fra le classi. Un procedere che quindi non ha nulla di lineare, ma dentro le condizioni concrete del conflitto di classe deve immettere sempre l'elemento politico di superamento della propria condizione di subalternità di classe e superamento del sistema che ne legittima questa posizione. La lotta operaia, quale componente dei rapporti di forza più generali, per non rimanere un'espressione dell'endemico conflitto del modo di produzione capitalistico, nelle condizioni e possibilità date, nel momento in cui si misura con la costante iniziativa della controparte tesa a depotenziarne la forza e isolarla nel limite della propria condizione di partenza, proprio per non rimanerne ingabbiata deve porsi contemporaneamente il problema di come affrontare e su quali passaggi un processo di una unità di classe più generale, che però porta con sé la necessità di farsi interprete di un “interesse generale” che vada oltre i limiti di fabbrica o di semplice “raccordo” fra le lotte ( se non, peggio, di sigle sindacali) e affronti i nodi politico-strategici di una alternativa di sistema. Processi politici che non hanno nulla di scontato, su cui pesa costantemente l'iniziativa dell'avversario di classe e la presenza o meno di una avanguardia di Partito. L'iniziativa sindacale per propria natura non solo determina uno sbocco di mediazione della posizione operaia nel rapporto capitale-lavoro, alimentando su questo terreno anche le spinte e le giravolte alla ricerca di una legittimazione data dalla propria funzione, ma, così come altre esperienze prima, costringe la lotta operaia a essere costantemente “componente variabile” del capitale, in contraddizione permanente con esso, ma priva della prospettiva volta al superamento della contraddizione anche se a suon di “lotte dure”, ripiegando su ipotesi di riformismo più o meno radicale come orizzonte dei propri interessi generali. La lotta di Carpiano, nonostante la durata e il livello di combattività espresso, è tutta interna al terreno di scontro economico e ne porta dietro i limiti propri, ulteriormente alimentati dal ruolo sindacale. Non bastano le giravolte teorico-politiche sull'oggettività del rapporto lotta economica-lotta politica e conseguente ruolo del “Sindacato-Partito”, o da quell'altra parte dell'identificazione dei processi di autorganizzazione operaia con il proprio ruolo sindacale. Interpretare sul terreno generale della prassi l'interesse operaio come interesse generale di classe richiede sicuramente anche un salto e una rottura nel livello di chi oggi si pone su un terreno di avanguardia, superando posizioni arretrate perché sostanzialmente inadeguate a farsi carico di affrontare complessivamente, in un ottica di Partito, pur dentro le contraddizioni date dalla fase e dall'arretramento proletario, i problemi di costruzione di alternativa al sistema di sfruttamento capitalistico.
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