Un G7 tra i paesi più ricchi al mondo, per risolvere i problemi di chi?

Francia, Germania, Regno Unito, Italia – che lo presiede – Giappone, Canada e Stati Uniti (e un delegato dell’Unione europea), in tutto circa 400 delegati iscritti ai vari eventi, tra principali e collegati.

Si potrebbero sintetizzare questo genere di incontri come una lunga sfilata di lacchè e lobbisti che, alla corte dei ministri, riportano le esigenze finanziarie dei complessi meccanismi di remunerazione del capitale, con accordi, patti e intese che non possono - né mai ne hanno avuto modo - influenzare significativamente gli andamenti della crisi di sistema, ma solo di “cavalcarla”, rallentandone il più possibile l’agonia e posticipandone gli effetti.

Diviene chiara, partendo da tale presupposto, la limitatezza delle azioni che i trafelati partecipanti al summit possono intraprendere e, statene certi, nessuna di queste decisioni poggerà sul “buon senso”: interesse e logiche di profitto da sempre lo sovrastano. Se ne diano pace i legalitari, gli azzeccagarbugli, i democratici, i fanatici sostenitori delle scelte della maggioranza e del volere del “popolo”, gli antifascisti che non si sono accorti delle reali cause che alimentano i nazionalismi e i fascismi nella moderna società carica di contraddizioni insanabili e pronta ed esplodere.

Presentarsi davanti a questi funzionari come si trattasse di far capire loro “una buona volta” le ragioni degli oppressi, intimando un cambio di direzione a presunte quanto ignote figure a “capo di tutto”, quando di funzionari del capitale si tratta, alimenta soltanto illusioni di riscatto che il proletariato non potrà in alcun modo raggiungere, se non incamminandosi su di una strada di lotta politica, non vertenziale o legislativa - terreno prediletto dalla borghesia - ma rivoluzionaria.

La risposta a questi “signori” la può dare solo il proletariato unito, organizzato sotto le bandiere del partito rivoluzionario.

Le avanguardie operaie, peraltro già esistenti, incarnate da tutti quegli elementi volenterosi, impazienti - allontanati dalla politica, dei politicanti borghesi, dal peso della crisi e portati su di un terreno radical rivendicativo di impossibile realizzazione, sul quale in realtà è il solo capitale a dettare i tempi dell’azione - devono cominciare a pensare all'alternativa al capitalismo, alle sue crisi e alle sue devastanti conseguenze, per abbracciare le motivazioni storiche della lotta di classe, travalicando l'impossibile riformismo, l’opportunismo qualunquista e il corporativismo. Trasformando l’immediatezza delle lotte economiche in scontro politico. Non è una strada facile, certo, ma non ci sono scorciatoie.

Non sarà infatti il capitalismo a salvare dalla miseria e dalle guerre il proletariato e gli strati sociali ad esso vicini, quel capitalismo che è responsabile dell'una come delle altre. Non saranno nemmeno i “grandi della terra”, anche se in sette, perché interpreti fedeli delle esigenze del capitale, né le false sirene dei populismi di destra o di sinistra, ma lo stesso proletariato al cui interno maturi la sfiducia verso il sistema che lo sfrutta, in cui l'unico obiettivo storico deve essere la ripresa della lotta di classe, di una classe che “o è rivoluzionaria o non è nulla".

Giovedì, September 28, 2017