Qualche considerazione sul dramma di Cona

Indignazione e rabbia non bastano

Una volta di più, un centro che “ospita” i richiedenti asilo, i rifugiati, i migranti, in breve, i “dannati della terra”, ha visto consumarsi dentro i propri reticolati un dramma: la morte di una ragazza, ivoriana, giovane madre di un bambino rimasto in Africa.

Certo, usare il verbo “ospitare” per definire la funzione di certe strutture è una parola grossa, molto grossa, visto che assomigliano da vicino a un campo di prigionia, spesso tra i più disagiati, per così dire.

Quello di Cona, in provincia di Venezia, ex base militare, non faceva o non fa eccezione alla regola: sovraffollamento ben oltre la capienza massima, basso livello di vivibilità in generale; doveva, dovrebbe essere un centro temporaneo

che sopperisce alla mancata accoglienza dei Comuni veneti, i cui sindaci rifiutano di accogliere i richiedenti asilo...

il manifesto, 05-01-2017

Forse Sandrine (così si chiamava) è morta per cause naturali – secondo quanto asseriscono le istituzioni - ma “forse” le pessime condizioni materiali, fisiche e psicologiche, in cui vivono i rifugiati reclusi, hanno accelerato il decesso. L'esplosione di rabbia dei connazionali della ragazza, ben più della tragedia all'origine della protesta, ha, naturalmente, acceso sui mass media la gazzarra solita e prevedibile di quando si tratta di immigrazione.

Per parte nostra, ribadiamo alcune cose, non necessariamente in ordine di importanza.

Si può partire dalla rete di interessi che avvolge i cosiddetti centri di accoglienza, comunque vengano chiamati, formata da personaggi politici trasversali ai partiti che, dall'alto in basso, amministrano i centri e che costituiscono la necessaria sponda istituzionale alle cooperative o agli enti che gestiscono i centri suddetti. Tutti assieme amministrano, per così dire, i fondi pubblici, anche europei, che costituiscono uno dei “business” più lucrativi di questi decenni di privatizzazioni. Infatti – in questo caso nei servizi – le privatizzazioni, com'è noto, invece di rappresentare un alleggerimento delle spese per le amministrazioni pubbliche (così diceva e dice la propaganda), non sono altro che un'occasione succulenta per l'arricchimento rapido di “entità”, spesso costituitesi allo scopo, che mirano appunto all'appropriazione del denaro erogato a fini, ufficialmente, sociali. Premessa e conseguenza di tale modus operandi, di queste attività, sono, in genere, il peggioramento del servizio o la sua scarsa qualità; sempre, invece, i bassi, per non dire bassissimi salari dei lavoratori delle cooperative o delle aziende che operano nel settore specifico. Ciò vale per i sedicenti centri di accoglienza quanto per altri settori.

Le reazioni di stampo nazistoide della destra fascio-populista sono scontate, così come quelle di coloro che, soggettivamente, solidarizzano con i migranti, con le loro sofferenze e nella loro azione sono guidati da prospettive politiche basate sull'umanitarismo nonché sulla credenza che dentro questo sistema sociale, quello della borghesia, sia possibile un approccio umano al fenomeno delle migrazioni, qualunque siano le motivazioni che le muovono.

Nel primo caso, registriamo un dato di fatto che non stupisce per niente, ma con un occhio preoccupato alla vulnerabilità ideologica di un proletariato per lo più politicamente indifeso nei confronti della furibonda e lercia campagna di tipo nazista della destra e per questo influenzabile da tale ideologia.

Nel secondo, non possiamo che rammaricarci nel vedere come “tante” persone sinceramente desiderose di aiutare chi sta peggio, non possano squarciare la cortina di illusioni che impedisce loro di dare prospettive concrete e di lungo respiro. Non possono farlo perché non rompono con la visione riformista che guida la loro azione. Molti di coloro – se non tutti – che appartengono a quest'area sorrideranno, magari beffardi, nel sentirsi muovere l'appunto di scarsa o nulla concretezza proprio da quelli che reputano gli astratti, gli utopisti attendisti per eccellenza. Lo sappiamo e a costoro rivolgiamo alcune, solite domande.

Come pensate di fermare i massacri, le devastazioni – non ultime quelle ambientali – lo spostamento forzato di milioni di persone, effetti non collaterali delle guerre imperialiste “agite” da quelle forze politiche, da quegli stati che - in varia misura e con varie responsabilità – dovrebbero farsi carico in altra maniera, umanamente, dei migranti ossia delle loro vittime?

Come pensate di addomesticare un sistema economico-sociale basato sullo sfruttamento, sull'oppressione, sulla violenza, fattori potenziati dalla crisi in cui è impantanato, prodotto inevitabile della sua propria esistenza?

Prendere coscienza del fatto che il capitalismo non può essere ammansito, reso più docile, con appelli generici alla democrazia o alla giustizia (?), soprattutto quando è in crisi, non significa inchinarsi con rassegnazione a una realtà intollerabile, ma cominciare a dare solide basi alla propria indignazione, alla propria avversione nei confronti di una società profondamente disumana, alle sue innumerevoli brutture. Insomma, significa dare un senso compiuto e coerente al più che legittimo desiderio di chiuderla una volta per tutte con questa società.

CB
Sabato, January 7, 2017