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Home ›La storia (“con la S maiuscola”) fatta da Castro…
In una intervista a Luciano Vasapollo (“Sinistra in rete”: Hasta siempre Comandante!), il dirigente della Rete dei Comunisti – da molti anni responsabile del “lavoro di solidarietà con i popoli dell'America Latina e delle relazioni politiche e scientifiche con i governi e le forze rivoluzionarie di Nuestramerica” – ci fornisce ulteriori informazioni, per l’appunto di carattere… “scientifico”, riguardanti le imprese storiche dello scomparso leader carismatico, Fidel Castro. Tali, sembrerebbe, da meritare l’imperituro ricordo del proletariato internazionale. (Se qualche malefatta fu compiuta, Fidel a suo tempo così si difese: “La storia mi assolverà”. Applausi per una frase – si commenta – che “avrebbe fatto epoca”…l
Apprendiamo innanzitutto che si tratterebbe di «una figura che ha fatto la Storia, con la S maiuscola, dell'autodeterminazione dei popoli, combattendo sempre contro quelli che pensavano di poter fare del mondo un loro enorme impero economico». Va precisato subito che nella fase mondiale del dominio imperialistico del capitale e dai tempi in cui a Mosca brillava –per i più… creduloni appositamente drogati – la artificiosa stella del “socialismo in un solo paese” (gloria eterna al Grande Padre Stalin!), chi “combatteva” contro gli Usa si meritava immediatamente la medaglia onoraria di “comunista”. Da un centro imperialistico all’altro e dalla padella alla brace. Se poi si aggiungeva una verbale ostentazione di “fiducia profonda nella democrazia socialista”, sufficiente a tenere a bada qualche intemperanza proletaria, ebbene il riconoscimento della esistenza di un “governo popolare” (gestito ai fini del bene nazionale) era subito appoggiata dagli uni e osteggiata dagli altri (centri imperialistici e loro fans). E per molti questo varrebbe ancora ai giorni nostri, quando – spentosi il faro moscovita – si rivendica ancora il “diritto di autodeterminazione dei popoli” purché si tratti della “liberazione” dal colonialismo e dell’imperialismo targato Usa. Non certo dal dominio del capitale, nazionale e internazionale, dai suoi rapporti di produzione (ben tutelati e di nuovo imposti e sostenuti) e dalle dipendenze palesi o nascoste dai centri in formazione di altri interessi imperialistici, anche se ancora in fase di definizione. Vedi Cuba (e non solo), che al “popolo” viene presentato come “un paese indipendente e senza padroni, che garantisce a tutti una vita dignitosa, dove nessuno è sfruttato da un proprietario terriero o da una multinazionale, e nessuno (ricco o povero) è discriminato nel frequentare un medesimo bar o ristorante”…
Dai primi passi della cosiddetta Rivoluzione castrista (inizialmente con personali tendenze “umaniste” da parte del suddetto Castro) e poi con la esibizione a Cuba del nuovo (?) Stato (solo in un secondo tempo definito “socialista”), l'isola avrebbe vissuto «importanti conquiste rivoluzionarie» quali la riforma agraria, la nazionalizzazione di settori come quello della coltivazione, raffineria e commercio della canna da zucchero; quindi una riforma culturale a favore dell'istruzione popolare e un’altra, sanitaria, entrambe molto favorevolmente accolte dal “popolo”. Una accoglienza immaginabile, viste le precedenti condizioni imposte dal corrotto governo di Batista, durante il quale aumentarono a livelli insopportabili le “ingiustizie” sociali, specie fra il bracciantato agricolo. Nel frattempo si aggravavano questioni da troppo tempo irrisolte, radicatesi durante il colonialismo spagnolo e portoghese. Gli spazi per un processo (più apparente che concreto) di riformismo radicaleggiante si facevano quindi interessanti anche per una parte della locale borghesia, guardando ai possibili sviluppi alternativi di un “governo patriottico antimperialista”.
Apriamo una parentesi. Le considerazioni di Vasapollo ci offrono l’occasione per analizzare le misure prese inizialmente dal governo castrista e da non poche parti vantate come di stampo “comunista” in quanto già furono proposte da Marx e da Engels nelle pagine del Manifesto nel 1848.
Non affermiamo alcuna novità sottolineando come entrambi i rivoluzionari segnalassero poi, negli anni successivi alla stesura del Manifesto (vedi la prefazione per l’edizione tedesca nel giugno 1872), come già dopo quasi due decenni e mezzo dal 1848 la situazione fosse cambiata al punto che le misure indicate nel Manifesto vennero ritenute dipendenti soltanto dalle «circostanze storiche del momento». In effetti, lo stesso Stato borghese le farà proprie in molti paesi al fine di una migliore gestione dei propri interessi capitalistici. Si trattava – chiaramente così si espressero Marx ed Engels – di «un programma oggi invecchiato in vari punti». Senz’altro dopo la Comune del 1871 a Parigi. E parlare di quelle misure, esaltandole come proprie di una “rivoluzione socialista” e tacendo su ben altre “misure” sia politiche sia economico-sociali – le quali costituiscono oggi più che mai il vero ABC della transizione al comunismo – significa paralizzare un “risveglio” del movimento comunista internazionale, travisandone completamente contenuti e finalità. E consegnando incatenato (ideologicamente e politicamente) il proletariato al suo nemico di classe e a sostegno degli interessi di sopravvivenza del capitalismo.
Chi ha almeno sfogliato le pagine del Manifesto dei comunisti di Marx ed Engels, ha potuto constatare infatti come si tratti di misure che rientrano tutte in quel corso che col passar del tempo, senza un immediato suo abbattimento, il capitalismo ha quasi obbligatoriamente “scelto” ovunque nel tentativo di concretizzare la propria conservazione; cioè mantenersi in vita senza troppo “tirare la corda” al proletariato e quindi rinsaldare i rapporti borghesi di produzione soprattutto quando un pericolo è alle porte. Persino l’aumento della massa delle forze produttive (che Marx ed Engels ritenevano – giustamente centocinquant’anni fa – una necessità per il cammino del movimento rivoluzionario diretto dal proletariato, ovvero la condizione per meglio applicare il socialismo), ebbene quest’aumento è diventato tale sotto il dominio dello stesso capitalismo. Al punto da rendere superata anche quella “richiesta” che allora si riteneva come punto di un programma socialista. Addirittura, oggi, si richiederebbe quasi il contrario! Dunque, «Questo programma è oggi invecchiato in vari punti» – scrivevano Marx ed Engels in quella citata prefazione; è stato superato dallo stesso sviluppo capitalistico, uno sviluppo inimmaginabile un secolo e mezzo fa.
Ripetiamo: i 10 provvedimenti suggeriti nel Manifesto sono stati in parte (almeno formalmente) realizzati dalla stessa borghesia costretta nel tempo a farsi… “riformista”. Quello che purtroppo non si è ancora concretizzato – facendo quindi mancare quella che era la condizione sine qua non per andare oltre i loro stessi limiti e passare ad un «rivolgimento dell’intero sistema di produzione» – è la conquista di un potere che deve essere saldamente in mano alla classe operaia e al suo partito, l’unico portatore del programma per il comunismo reale, per l’abolizione di tutti i rapporti di produzione esistenti. (1) S’intende un vero partito comunista, l’organizzazione politica della classe operaia affinché essa possa assumere la necessaria “egemonia” per concretizzare il passaggio al comunismo. E soprattutto mai e poi mai si tratterà semplicemente di trasferire la macchina dello Stato (borghese) dalle mani di un dittatore corrotto e sanguinario a quelle di un leader che si professa “democratico al servizio del popolo”, semplicemente spostando il capitale dalla “proprietà” di soggetti singoli a quella di uno Stato semplicemente riverniciato e fatto apparire come rappresentante esclusivo del “popolo” e “miglior gestore” deli interessi della Nazione.
Torniamo al ricordo di quel Castro “statista” al quale si attribuisce il titolo di “uno dei migliori interpreti del pensiero marxista in America Latina e non solo”. Titolo che il soggetto si sarebbe meritato con gli obiettivi del suo operare: giustizia per tutti e soluzione dei «grandi problemi della nazione cubana». Un così alto pensiero «patriottico e indipendentista» era degno – in nome della «autodeterminazione popolare di tutta l'umanità» – di «guidare la prima rivoluzione dell'emisfero occidentale». Facendo da esempio per gli altri popoli sottomessi agli Usa (non certo a Mosca!).Tanto più che il “nostro” guerrigliero rivendicava, al proprio inizialmente sbandierato “umanesimo”, anche «l'influenza politica degli scritti di Marx». Applausi di un Vasapollo, nonostante Castro – iniziando a scrivere la Storia – avesse dichiarato: «Noi non siamo né di destra né di sinistra, né di centro. Noi vogliamo andare oltre rispetto a destra e sinistra» .
E’ così che in seguito Castro, mentre si spingeva a denunciare lo «stretto vincolo internazionale della produzione e della creazione del profitto» (quello stesso profitto che in terra cubana veniva invece etichettato come “socialista” seguendo gli insegnamenti di un maestro quale fu Stalin…), dall’altra proclamava la «globalizzazione della solidarietà» nella spartizione, oltre che nazionale anche internazionale, del plusvalore rigorosamente proveniente dal lavoro salariato nella versione, questa volta, “socialista”. In soldoni, una cooperazione commerciale improntata al rispetto di «solidali relazioni di impresa». Il tutto ben governato nella considerazione (socio-politico-ecconomica) delle leggi di movimento del capital-socialismo. Un “indirizzo” oggi trionfante in Cina… Quale fosse poi la «teoria del modo di produzione e il concetto di formazione economico-sociale», che Vasapollo legge negli scritti di Castro, noi – comuni mortali – ci troviamo nel buio più fitto…
Dopo di che, altro non rimane all’infuori di ciò che Vasapollo negherebbe, ovvero soltanto e proprio quella cortina di fumo ideologico, sospinta contro la degenerazione morale e gli eccessi più drammatici della società del capitale. La pretesa cioè – come Marx denunciava fin dai tempi del Manifesto – che basti «un cambiamento delle condizioni materiali di vita, dei rapporti economici», senza però una «abolizione dei rapporti di produzione borghesi». Quindi niente più che dei «miglioramenti amministrativi realizzati sul terreno di questi rapporti di produzione, senza cambiare affatto il rapporto tra capitale e lavoro salariato». (Marx). Nel migliore dei casi «semplificando l'assetto della finanza statale» e intervenendo sulle eccessive depravazioni “morali” e manifeste corruzioni… Certe cose semmai si possono tollerare soltanto in privato.
Se aggiungete la presenza, in Castro, di «alcune idee gramsciane» (e il «riferimento politico potente») da lui ereditate, la sua “figura comunista” si completa. Magari riconoscendogli anche l’influenza subita nei giovanili anni trascorsi presso i gesuiti, al Collegio de Nuestra Señora de los Dolores, assieme al fratello Raul. Qui non vorremmo fare del… gossip politico-ideologico, ma sta di fatto che si trattava, all’epoca, della scuola più prestigiosa di Cuba, frequentata dalla élite dell’isola, una specie di club riservato all’alta società. Castro ottenne poi il diploma trasferendosi in un altro collegio gesuita, il Belén, a L’Avana.
Forse per questi suoi precedenti… culturali, tra Fidel e papa Francesco erano sorti particolari sentimenti di simpatia, con manifestazioni di “tenerezza emozionante” (così riferisce un suo ammiratore, Mina: “Il Pontefice prendendo la mano di Fidel lo ha esortato: Ehi, de vez en cuando tirame un Padre Nuestro («Qualche volta lanciami un Padre Nostro») ricevendo come risposta dallo stesso Fidel un inatteso: Lo recordaré («Me ne ricorderò»)”. Non solo: Castro si mostrò riverente col pontefice argentino, affermando entusiasticamente: «Il suo modo di essere non mi stupisce per niente – spiegò – perché essenzialmente si tratta di una persona molto onesta, molto sincera e disinteressata». Vedi – aggiungiamo noi – il “passato” di Bergoglio che da buon gesuita, durante gli anni 70, era pubblicamente considerato un esponente tipico della destra peronista, poi vicino alla dittatura militare… ed ora “diplomaticamente” impegnato a benedire il ristabilirsi di “umanitari rapporti commerciali” con Cuba.
Nel libro The Boys From Dolores di P. Symmes, sta scritto che Fidel leggeva i discorsi di Mussolini, e quando Hitler invase la Polonia, disse: «Non rimane nemmeno un aereo polacco. È la nostra prima vittoria»... Ed in seguito, il principale nemico – dopo l’imperialismo Usa ed a favore di quello moscovita, almeno fino a quando questo aveva forza competitiva – sarà (valgano i gesuitici insegnamenti) il supposto istinto egoistico dell'essere umano, il suo naturale individualismo, entrambi incarnati dal capitalismo. Già, ma bastavano forse regole legislative per “domare” certi istinti, per avvalorare certi principi etici e di purezza, gli stessi che ispiravano quel José Martí (1853-1895) che – venerato da Castro e dai cubani – figurava come leader (borghese liberale e… massone) ed eroe del movimento per l'indipendenza nazionale? Dopotutto, anche quel Marti chiedeva un’equa distribuzione delle terre, la fine della schiavitù e della discriminazione razziale, e soprattutto un freno all’espansione degli Usa nei Caraibi. Tanto da meritarsi i riconoscimenti di Castro: «Noi che il 26 luglio 1953 riprendemmo la lotta per l’indipendenza, iniziata il 10 ottobre 1868 da José Martí, da lui avevamo ricevuto i principi etici senza i quali non si può concepire una rivoluzione. Da lui ci arrivò anche l’ispirato patriottismo e un concetto alto dell’onore e della dignità umana come nessuno al mondo poteva insegnarci… Il giorno in cui cadde, il 19 maggio 1895, Martí si immolava per il diritto alla vita di tutti gli abitanti del pianeta». (Festeggiamenti all’Avana per il 150° anniversario della nascita di Martí)
Strenuo difensore della sovranità e della legislazione nazionale, il principale problema era certamente per Castro quello dello Stato e del suo potere, presentandone la soluzione in una propagandata «decentralizzazione al livello del popolo». Secondo Vasapollo sarebbe questo un risultato conseguito non solo da Cuba ma anche da Bolivia, Ecuador e Venezuela… Un trionfo di nuove vie al socialismo, anche se, visti oggi i risultati, i traguardi raggiunti siano a dir poco “preoccupanti” per il proletariato, sia… “nazionale” sia internazionale.
DC(1) “Rapporti di produzione” che sarebbero «cambiati» con il «rovesciamento dei rapporti gerarchici di lavoro e il controllo proletario sulla produzione», così come modificati sono stati i «rapporti giuridici di proprietà, da privati a statali». Lo si legge negli annunci di cordoglio per la morte di Castro, diffusi da quei filo stalinisti che ancora si aggirano fra i rottami della sinistra borghese spacciandosi per comunisti, propagandando la Revolucion cubana come esempio di una “rivoluzione proletaria” che avanza…
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