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Home ›Frontiere chiuse e reticolati dentro e fuori
Da alcuni mesi a questa parte il governo austriaco, ipotizza di recintare il confine tra Austria e Italia, precisamente di sbarrare la libera circolazione al passo del Brennero. La notizia, diventata presto di dominio pubblico e seguita da un serrato dibattito tra i rappresentanti dell’Alto Adige e Vienna, trova conferma dopo le iniziali smentite da parte delle autorità austriache. L’intenzione è di alzare una recinzione di maglie metalliche (non filo spinato) alta 4 metri e lunga 3 chilometri e mezzo lungo tutto il confine, utile ad incanalare profughi e migranti verso i punti di registrazione situati in diversi punti lungo la linea di confine austriaca. La modalità non sarà molto diversa da quella messa in atto a Spielefeld, al confine tra Austria e Slovenia. Il piano comprende anche un altro punto di sbarramento al Passo Resia nel nord-ovest dell’Alto Adige e un punto a Tarvisio, al confine tra Italia e Austria, a pochi chilometri dalla Slovenia.
Il primo obbiettivo delle autorità austriache è quello di consentire il valico del confine ai soli profughi che intendono chiedere asilo in Austria o in Germania. Chi punta a Danimarca o Svezia verrà rispedito direttamente in Slovenia o in Italia. L’inasprimento dei controlli alle frontiere, pianificati anche per il Brennero, sono diretta conseguenza della recente decisione, assunta all’unanimità dal governo austriaco insieme ai presidenti dei Länder e dei responsabili dei Comuni, di fissare un tetto limite al numero di richiedenti asilo che potranno entrare in Austria fino al 2019. Per i richiedenti asilo in Austria si tratta di 127.000 persone, corrispondente all’1,5% della popolazione austriaca. La decisione è scaturita da una trattativa tra i due partiti al governo, cioè la laica Spö (partito socialdemocratico), più vicina alla politica di ‘porte aperte' della Merkel, e la cattolica Övp, più vicina alla linea della Csu bavarese, che invece vorrebbe porte chiuse. Si parte dai 37.500 del 2016 per passare poi ai 35mila del 2017, 30mila stabiliti per il 2018 ed infine 25mila del 2019. Una volta raggiunta la quota per il 2016 la situazione cambierà radicalmente, le zone di controllo per la registrazione dei passanti e richiedenti asilo, diventeranno delle vere e proprie “Wartezonen” cioè zone di attesa situate a ridosso del confine. Tutti coloro che non rientrano nelle classifiche decise dal Governo, vedranno temporaneamente respinte le loro richieste di asilo in attesa che quelli arrivati in precedenza vengano rimpatriati, espulsi o “decidano di fare dietrofront”. L’Austria, rendendo più difficoltoso il valico della frontiera, conta di ridurre del 20% l’immigrazione verso il proprio paese, non contando che la maggior parte dei migranti punta ad arrivare in Germania, infischiandosene altamente del fatto che tornare indietro per molte delle persone in fuga non rappresenta un’opzione da non prendere in considerazione neanche lontanamente. Fino ad ora il tempo per la verifica delle richieste d’asilo contava poco più di sei mesi, ma per la mancanza di accordi con i paesi di provenienza la maggior parte dei respingimenti/rimpatri è stata impossibile. Senza un documento valido infatti, un profugo, fortunatamente, non può essere rispedito da nessuna parte. Bisogna però ricordare che non tutti i paesi dai quali fuggono molte persone sono ancora “considerati a rischio”, come ad esempio l’Afghanistan, e avviene così che l’anno scorso sono stati rispediti al mittente 8.365 tra migranti e profughi. Altrettanti, invece, sono riusciti a rendersi irreperibili.
Per coloro che sono arrivati in territorio europeo prima che l’esodo dal medio-oriente, in particolare dalla Siria, si generalizzasse per via della guerra e delle contese imperialistiche internazionali, e che hanno visto respinte le loro richieste, esiste invece un documento particolare, che permette loro di vivere e restare nel paese non da clandestini ma da “tollerati”. Questo documento esiste anche in Germania e viene chiamato “Duldungskarte”, permette di avere un accesso limitato al lavoro e di ricevere un misero sostegno economico. Dura un anno e può essere praticamente rinnovato ogni anno.
Ma per dare uno sguardo agli eventi internazionali, quindi agli ultimi aggiornamenti sui flussi migratori, l’Unione Europea, in data 18 marzo 2016, ha deciso di fare concessioni alla Turchia in materia di “integrazione”, stanziando allo stato turco 3 miliardi di Euro per arginare, leggi bloccare, l’esodo di migliaia di persone dalla Siria e paesi limitrofi, liberando in parte da questo fardello, il giovane governo socialdemocratico di Alexis Tzipras, incapace di far fronte alla politica di difesa delle frontiere esterne dettata dall’Unione. Dopo anni di tentativi falliti, il governo nazionalista di Erdogan e rappresentanti è riuscito infine a guadagnarsi l’appoggio delle democrazie occidentali europee, promettendo in cambio della libera circolazione per i cittadini turchi, liberati dalla richiesta di un visto per mettere piede in suolo europeo, di fungere da enorme lager d’attesa. Di fatto chiusa la possibilità di raggiungere il suolo europeo dalla rotta balcanica, i flussi migratori finiranno per doversi spostare sulla rotta che porta attraverso il Mar Nero in Albania per l’Adriatico fino a Brindisi o la via disperata che dalla Siberia porta al circolo polare artico verso la Norvegia. Altresì rimane la via che dall’Egitto obbliga a solcare i mari del Mediterraneo per raggiungere l’Italia, che senza dubbio vedrà con l’avvento della primavera una nuova fase migratoria. Per quanto riguarda l’Austria, essa potrà in tal modo rilanciare la patata bollente di questa tragedia umanitaria nelle mani del governo italiano, lasciando al prossimo governo austriaco, quale che sia, il dubbio merito di avere arginato la questione dell’immigrazione.
In ogni caso le mosse di Vienna sulle quote di profughi hanno avuto ripercussioni immediate lungo la rotta balcanica. Il governo sloveno, ad esempio, ha annunciato di voler prendere decisioni simili a quelle della sua controparte austriaca ed anche la Serbia da qualche settimana ha deciso di vietare il passaggio a quei migranti che non esprimeranno nitidamente l’intenzione di richiedere asilo in Austria o Germania. Anche la Macedonia ha quindi chiuso, al momento temporaneamente, le proprie frontiere con la Grecia, impedendo l’accesso sul proprio territorio a migliaia persone, rischiando di provocare nel campo profughi di Idomeni e campi limitrofi (assieme alla sua controparte greca) una vera e propria catastrofe umanitaria.
Renzi, da parte sua, convinto di poter diventare nuova forza trainante e paese leader, in una UE che osteggia sempre di più la cancelliera della Germania Angela Merkel e una Francia debole più che mai, si gioca la carta europeista, commentando la chiusura della frontiera austro-italica come una grave sconfitta per l’Europa unita, attaccandosi in modo strumentale agli accordi ormai vacillanti di Schengen. Sul tema rifugiati, invece, Il premier e la cancelliera si giocano la carta joker dell’Europa solidale, sempre buona quando si tratta di fare i buonisti, ma preferiscono in gran lunga che i migranti in cerca di rifugio in Europa, restino imprigionati in Turchia o a Idomeni in Grecia, al confine con la Macedonia.
Sta di fatto che restare incastrati nella terra di nessuno tra due paesi, significa rimanere ammassati a migliaia in campi profughi che solitamente non dispongono di strutture sanitarie e di assistenza adatte, esposti al freddo e alla pioggia compresi vecchi e bambini, spesso maltrattati e pestati dalle polizie di frontiera e con la paura costante di essere rimandati indietro a suon di botte e deportazioni dopo mesi, che possono diventare anche anni, di viaggio in fuga dalla barbarie della guerra.
Vero è che per quanto si possa essere aggiornati sulla situazione dei flussi migratori, l’unico modo per poter davvero capire da dove proviene il fenomeno della migrazione (e della fuga disperata) da un paese o continente all’altro, è l’analisi del capitalismo nel suo stadio superiore, l’imperialismo, nonché delle dinamiche che scatena nella fase acuta di crisi, momento nel quale il capitalismo raggiunge il massimo livello di contraddizioni intestine sociali ed economiche.
Resta una sola cosa da chiarire, perché i partiti xenofobi cavalcano l’onda della paura dello straniero e per quale motivo i lavoratori in ogni luogo del mondo sono così impauriti e malleabili alle ideologie reazionarie che questi partiti spacciano.
Chi fugge dal luogo dove viveva per via della povertà o della guerra, lascia lì casa e lavoro e punta a ricostruirsi una vita onesta lavorando per procurarsi nuove sicurezze come ad esempio una casa per sé e/o per i propri cari, lavorerà quindi per guadagnare il denaro che gli permetterà di procurarsi ciò di cui ha bisogno. La modalità di lavoro imposta dal sistema economico capitalista, vigente da cent’anni almeno in ogni paese del mondo, è quella del lavoro salariato, cioè dello scambio della propria forza lavoro calcolata in ore in cambio di denaro, quindi di un salario. Diventa chiaro che in una situazione dove i posti di lavoro scarseggiano e la disoccupazione dilaga, ogni posto di lavoro, anche quello meno attraente, diventa fattore di contesa tra i lavoratori che in concorso tra di loro se lo contenderanno a qualunque prezzo. L’immigrato, legato alla sua condizione di povertà e alle leggi sull’immigrazione riguardanti il permesso di soggiorno, accetterà prima di ogni altro qualsiasi lavoro che gli venga proposto, anche se compensato da un salario che non corrisponde alla fatica e al tempo utile per lo svolgimento di tale attività. In tal modo i capitalisti, gli imprenditori e datori di lavoro in generale, possono schiacciare il costo del lavoro a loro piacimento, obbligando i lavoratori, ivi compresi quei lavoratori che provengono dal loro stesso paese, ad adattarsi al magro compenso e alle misere condizioni di lavoro che gli vengono imposte. Succede così che la contesa per il lavoro si trasforma in litigio tra i lavoratori dei diversi paesi, nella classica situazione dei due che litigano mentre il terzo gode. La natura economica di questa contesa si trasforma così in paura dall’arrivo del migrante economico e in intolleranza verso il diverso e lo straniero, permettendo ai partiti xenofobi di ogni risma di spacciare la loro politica dell’odio e guadagnare voti, dividendo i lavoratori tra di loro.
I comunisti da sempre sostengono due cose: Primo, l’abolizione del lavoro salariato e delle classi sociali per un mondo di liberi ed eguali nel quale non venga prodotto per il profitto ma per le necessità di ognuno; secondo, che i lavoratori non hanno nessuna patria, quindi la necessità che i lavoratori di tutto il mondo si uniscano nella lotta contro i propri sfruttatori a livello globale.
La prima è la prospettiva sociale che i comunisti indicano ai lavoratori di tutti i paesi in alternativa al sistema capitalista, la seconda costituisce la base di tutto il programma politico comunista, tramite il quale il partito rivoluzionario invita alla lotta politica classe contro classe, sfruttati contro sfruttatori, per rovesciare una volta e per tutte il sistema del profitto, dell'oppressione e della segregazione.
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