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Dove va il prezzo del petrolio?
Il greggio iraniano, liberato dalle sanzioni internazionali che gli precludevano la vendita sui mercati, potrebbe ulteriormente abbassare al di sotto dei 28/29 dollari il barile, un prezzo gia sceso del 75% in 18 mesi. Certamente ciò si deve in parte anche alla crisi economica che attanaglia il capitalismo, e l’arrivo nei mercati di almeno altri 500mila barili al giorno del greggio iraniano, non promette nulla di buono, anche se fino a ieri si raccontava che l’economia andava male per colpa dell’alto prezzo del petrolio. Ora pure gli affari dell’Arabia Saudita, dopo la sua politica di manovre ribassiste, soffrono e si scontrano con quelli dell’Iran nei tormentati scenari del Medio Oriente. La stessa Opec non nasconde il suo… disappunto in merito (nonostante in un suo recente dossier vi è il silenzio “ufficiale” sull’export iraniano…) mentre sembra compiaciuta nell’accenno che fa alle difficoltà delle estrazioni americane in profondità e al fracking delle rocce da cui derivano lo shale gas e lo shale oil. Si consola poi (sempre ignorando l’Iran) con la previsione di una produzione di 660mila barili giornalieri in meno nel 2016 e riguardante i Paesi fuori dall’Opec, Usa compresi. Così si compenserebbe il ritorno del petrolio iraniano e non si diminuirebbe la produzione attuale. E il Financial Times non esclude altri ribassi dei prezzi (fino ai 20 dollari al barile…) nella speranza di incentivare i mitici “investimenti produttivi”. Ribassi che solo la monarchia saudita potrebbe forse sostenere con i giacimenti di facile estrazione: attenzione, però, alle sue finanze con segnali di sofferenza!
La speculazione finanziaria figura come il convitato di pietra, quello della famosa commedia. Qui però non si tratta di un fantasma nascosto in una statua di pietra, bensì della reale presenza (nulla a che vedere con la raffigurazione di uno “spirito religioso-morale”!) di poteri ben visibili quali quelli della speculazione finanziaria che in furiosa caccia di guadagni imperversa nei mercanteggiamenti di Titoli di Stato, valute, Titoli bancari, petrolio e ogni altra merce (comprese quelle alimentari) che le capiti sottomano. Masse colossali di denaro scorrono sul pianeta inseguendo prospettive di autovalorizzazione che immancabilmente si trasformano in autodistruzione. In un chiassoso alternarsi di momentanee esaltazioni e di più durature e angosciose depressioni.
Dunque, una aggrovigliata matassa che assomiglia alla metafora del fiammifero che passando di mano in mano sta ora per consumarsi bruciando le dita degli ultimi che lo reggeranno. Né si può escludere una qualche improvvisa esplosione… (Per un sempre utile approfondimento, vedi sul nostro sito: Il petrolio e le sabbie mobili dell’imperialismo – Leftcom, febbraio 2015)
Derivati e deviati: l’assalto allo Stato
Ed eccoci a quanto sta accadendo proprio nel settore finanziario, quello che l’intelligenza borghese sta indicando da anni come la causa del tracollo economico globale e ritenendolo quindi – dopo un suo eventuale risanamento – destinato ad essere il motore di spinta per la sospirata ripresa di una redditizia economia fondata sulla prosperità dei mercati, invasi non solo da merci ma anche da… sani prodotti finanziari. E qui merita spazio un breve accenno alla situazione che sta squassando il Bel Paese italico, dove il sistema bancario sembra affogare in un mare agitato di crediti in sofferenza e in gran parte “deteriorati”. Vedi il piccolo esempio di alcune Banche nazionali (ma all’estero si sta anche peggio…) con le cataste di obbligazioni bancarie… subordinate e con le nuove regole del “bail-in” a far da spada sospesa sulla testa dei “risparmiatori”!
Non minori i tormenti che affliggono lo Stato: ci informano (Il Sole 24 Ore e l’Espresso) che il Tesoro sta perdendo (e in buona parte ha già perso) alcuni miliardi di euro: il Sole ne calcola nel tempo oltre 40 mld, dovuti ad “investimenti sbagliati” ovvero in “scommesse fasulle” nel casinò della finanza. Errori, incompetenze, irresponsabilità di una oligarchia che non sa più che pesci prendere, previa soddisfazione – logicamente – dei privati interessi dei tanti grossi ma anche piccoli “pescecani” che nuotano in mezzo al “popolo”. Con la Corte dei Conti, Procura di Roma, Commissione Finanze della Camera, ecc., che fanno… buona guardia. Di certo, se le “assicurazioni” in derivati, stipulate per difendersi da eventuali aumenti degli interessi sul debito pubblico, funzionassero, allora fallirebbero gli assicuratori che le hanno emesse, ossia banche e centri finanziari.
Va detto che anche l’acquisto di derivati da parte dei Comuni, compresi le grandi metropoli, ha fatto parte per anni di un sistema preventivo di assicurazioni (?) ovvero di operazioni del tutto identiche a quelle che in separata sede e nel più fitto mistero venivano portate avanti dallo Stato centrale, a tutela degli interessi nazionali. Furono sottoscritti derivati “spazzatura” di ogni genere, contratti con banche internazionali e di cui non si conoscono contenuti e termini, sottomessi a poteri finanziari globali ai quali si deve fare buon viso nonostante la… cattiva sorte che toccherà ai “cittadini”. Quelli proletari, s’intende, ma anche piccolo borghesi. Pronti, i gestori degli affari del Paese e i custodi della ricchezza borghese, a reclamare una “sovranità tradita”.
Si dice che la Fortuna avesse altre fronti da baciare; fatto si è che attorno a quell’ammasso di prodotti finanziari ad alto rischio, lo Stato vide crescere perdite da capogiro (che ancora aumentano): da quel che trapela i derivati in questione sarebbero costati al Tesoro nel 2015 ben 3,6 mld quale flusso negativo in termini di interessi. Si prevede una spesa di 4,1 mld per quest’anno nello scambio dei flussi di pagamento che le parti compiono a seconda delle variazioni, peggiorative, dei mutamenti del mercato. Si apprende – sempre dalla stampa ufficiale – che su quei derivati, chiamati dal Tesoro di “duration”, si stimano perdite per circa 33 mld di euro. Il motivo alla base del loro acquisto, è stato l’allungamento di 84 giorni della scadenza media del debito pubblico. Praticamente 400 milioni al giorno.
Il tutto fa parte delle serie: “Come gestire le finanze dello Stato borghese”; un incarico al quale non mancano altri pretendenti di “sana moralità e sicuro affidamento”. Provare per credere…. Scegliendo tra la folla di venditori di tappeti volanti che frequentano le piazze della democrazia borghese.
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