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Rendiconti finanziari: impulsi alla crescita o deliri del capitale-denaro?
Il copione di tutti i partiti dello schieramento istituzionale (compresi quelli al di fuori del parlamento in veste “antagonista”) recita: "imprimere un nuovo impulso per la crescita e l'occupazione". Ma nel cielo del capitalismo globale si addensano nubi sempre più scure.
Il capitale-denaro si tiene alla larga da “investimenti produttivi” che non danno quel sufficiente profitto che è l’unico fine del capitalismo; dollari ed euro non trovano possibilità di impieghi “utili” per estorcere sufficiente plusvalore dall'unica fonte in grado di produrlo, la forza-lavoro. Si teme di conseguenza un costante “deterioramento della situazione” con una mancata “ripresa” di cui si scorgono ben poche avvisaglie (se non addirittura il contrario) mentre i tamburi continuano a battere sulla massima “flessibilità” e su "retribuzioni moderate" da imporre alla classe operaia.
Il tutto viene puntualmente messo in pratica, mentre nei riguardi di Banche, istituti di credito e agenzie finanziarie, non si va oltre qualche invocazione per una "vigilanza macroprudenziale" e inviti per "comportamenti virtuosi". Proprio quando tutti, ai piani alti delle banche, si trovano coinvolti in manipolazioni e rettifiche di valore da indicare nei bilanci, debiti della clientela in sofferenza e oscure manovre attorno ad artificiosi strumenti finanziari. In un dilagare di malversazioni e corruzioni dpresenti in ogni ramo delle sovrastrutture della società borghese.
Nel frattempo continua ad espandersi la catena soffocante di hedge funds, cartolarizzazioni, obbligazioni immobiliari, ecc, mentre i titoli tossici ("titoli radioattivi") detenuti anche dalle Banche europee avrebbero un ammontare pari al 75% di quelli già attualmente nelle mani delle Banche americane. (Ricaviamo dati e informazioni scavando qua e là in ciò che “passa il convento”, constatando non soltanto quanto sia grave e complessa la situazione economico-finanziaria, europea e mondiale, ma anche lo stato confusionale di quanti circondano il capezzale dell’ammalato cronico, il capitalismo.)
Ricchezza fittizia
Dopo aver drogato l’intero sistema, cercando invano di instaurare un rapporto “equilibrato” e stabile tra la produzione (necessariamente esasperata nel tentativo di recuperare profitto) e il consumo (che non cresce…), il credito ha finito col cercare di "valorizzare" una ricchezza del tutto fittizia. Un credito, cioè, che si è distaccato dal fondamentale processo produttivo, illudendosi di dare concretezza ad un capitale-denaro il quale (al di fuori della produzione di merci) si illude di aumentare per propria virtù, automaticamente nel corso di operazioni prevalentemente speculative.
Il denaro quindi è inteso come capitale feticcio, non solo, ma nella forma del credito è alla fine diventato una entità più che mai astratta; cumuli di titoli senza alcuna reale copertura, duplicati cartacei di promesse attorno a beni e merci inesistenti, scollegati da alcun valore concreto, materiale. Quelli che circolano altro non sono che un insieme di valori immaginari, apparentemente indipendenti – secondo le interessate "intenzioni" di Banchieri e finanzieri – dal plusvalore realmente estorto nei processi produttivi, potenzialmente tali ma oggi paralizzati. Questo proprio quando il saggio medio del profitto industriale ha cominciato tendenzialmente a diminuire e a trovarsi in forte difficoltà.
I debiti dilagano
Nel complesso i sovraccarichi di debito, pubblico e privato, hanno investito non soltanto l’Europa ma tutti i paesi capitalistici che si presentano come “sviluppati” o che ambiscano ad esserlo. Da fonte Business Week questa sarebbe la situazione (un anno e mezzo fa) di “indebitamento generale” rispetto al Pil: Giappone 492%, Francia 341%, Spagna 366%, Italia 313%, Usa 289%, Germania 284%, Canada 274%.
Come è ben visibile, gli Usa non navigano in acque tranquille, tuttaltro, anche se possono meglio mascherare le loro condizioni grazie al privilegio mondiale (ottenuto con l’esibizione del forte potenziale bellico!) di cui ancora godono, vale a dire il dollaro come moneta mondiale. Va detto inoltre che buona parte della moneta americana e dei titoli del debito federale Usa sono in mano a Stati esteri. Principalmente la Cina che, con Brasile, Russia e India, ha però cominciato ad usare anche la sua moneta negli interscambi. Certo nessuno può esporsi fino a provocare collassi al valore del dollaro, poiché le stesse riserve nazionali (in dollari) dei vari Paesi subirebbero un forte contraccolpo. Da ciò si origina quella dipendenza dal dollaro che, sia pure a denti stretti, quasi tutti sono ancora costretti a subire.
Ed oggi, persino un altro centro imperialistico come la Cina (a parte tutte le sue contraddizioni interne in fase di… ebollizione) sente approssimarsi il rischio di un soffocamento ad opera di una buona parte del debito americano che si trova in sue mani. Il pericolo che assieme a Sansone muoiano anche tutti i filistei che lo circondano, costringe Pechino a preoccuparsi persino del debito europeo, magari accollandosene una parte pur di mantenere a galla il modo di produzione e distribuzione capitalistico mondiale, adottato come nuova “via al socialismo” e sul quale si regge.
L’aria che tira nel sistema bancario e finanziario
La trappola finanziaria è scattata, complicando l’agonia del modo di produzione e distribuzione capitalistico.
Col dilatarsi delle facilitate concezioni di credito ai settori della circolazione-distribuzione, nel tentativo di un sostegno ai consumi, la maggior parte delle Banche ha proceduto ad una manipolazione-trasformazione in fondi comuni di crediti concessi da altri (mentre un credito diretto assorbe capitale, lo stesso non avviene per un derivato di credito in un portafoglio di trading).
La cartolarizzazione dei crediti (1) – troppo facilmente concessi e con un loro rimborso assai incerto e quindi successivamente con la vendita delle relative obbligazioni sul mercato – è diventata molto conveniente e meno rischiosa. Certo, questo castello di carta, composto da titoli obbligazionari collegati a crediti di pessima qualità, non può reggersi a lungo: con le insolvenze sui mutui sono cominciati i crolli, trascinando tra le rovine molti piccoli risparmiatori con in tasca fondi ripieni di titoli-spazzatura, acquistati nella speranza di assicurarsi una minima pensione.
A proposito dei quotidiani saliscendi delle Borse, sono in pochi a guadagnarci e sono molti (il famoso “parco buoi”) quelli che perdono. A guadagnarci a volte sono i grandi operatori che giocano al ribasso e, vendendo allo scoperto, più la Borsa cade e più incassano. E per riparare i danni dei crolli in Borsa arrivano poi i “salvataggi” pubblici in favore di Banche e istituti.
Debiti sovrani inflazionati
Privati della “sovranità monetaria” che aveva consentito a molti Stati europei di esibirsi in alcuni numeri di prestidigitazione finanziaria, oggi gli stessi rischiano di essere soffocati da montagne di debiti sovrani, “garantiti” (si fa per dire…) con Titoli pubblici. Tutto questo in una situazione che, almeno per allungare l’agonia spacciata come “sostegno all’economia”, richiederebbe – e sempre secondo gli “alchimisti” del capitale – di poter stampare pacchi di banconote da iniettare nel sistema bancario, prestandoli in ultima istanza alle Banche per renderle solvibili di fronte ad una eventuale richiesta di finanziamenti da parte delle imprese. (2) Anche se, ammettendo ciò, non si sa bene a cosa servirebbero gli eventuali capitali accreditati, visto che le industrie non sanno a chi vendere quel poco o tanto che producono.
Nel frattempo, mentre in Europa sarebbero decine le “Banche sistemiche” (Sifis) in forte difficoltà di capitalizzazione, quelle italiane oltre che alle prese con una loro ricapitalizzazione valutata in circa 15 miliardi di euro, denunciano anche aumenti delle sofferenze bancarie (prestiti già erogati ma a rischio esigibilità). (3)
Sempre nel panorama europeo, fra incontri, trattative e dichiarazioni si dimostrano inutili i confusi accanimenti terapeutici (pochi, oltretutto, quelli applicati in base a oscure ricette) che in definitiva altro non fanno che aggravare la malattia e gettare nello sconforto la stessa borghesia sia finanziaria sia industriale. Quanto al proletariato, le sue condizioni si mantengono drammatiche, con un costante aumento della precarietà, della disoccupazione specie fra i giovani, con sacche di crescente miseria soprattutto se rapportata allo sfoggio di ricchezza da parte delle alte sfere della classe borghese e delle potenzialità produttive bloccate dalla caduta del saggio medio di profitto. Caduta che qui, di passaggio, ricordiamo sempre come l’origine primaria e fondamentale della attuale crisi che sta mettendo in pericolo la conservazione di questo modo storico di produzione.
La chimera dell’accumulazione finanziaria
Con l’industria manifatturiera in crisi (poiché si fa sempre più difficoltoso estrarre e poi realizzare sui mercati un remunerativo profitto ottenuto sfruttando la forza-lavoro e contemporaneamente riducendo il numero dei salariati), il capitale si aggrappa dunque – a livello mondiale – ad una pretesa accumulazione finanziaria la quale salterebbe la fase di una produzione di merci. Fase che in questo sistema rimane invece fondamentale per ottenere plusvalore. Si agita l’illusione di poter moltiplicare il denaro attraverso il suo stesso movimento; di poter produrre denaro per mezzo di denaro e non più di merci (che non trovano acquirenti…), ricavando addirittura guadagni elevati, rendimenti a due cifre.
Fino a poco fa erano più di 600mila (ma c’è chi ha parlato di 800mila) i miliardi di dollari aggirantisi per il mondo alla ricerca di una loro valorizzazione, in tutti i modi legali e illegali possibili: alla ricerca cioè della “sostanza del valore” al di fuori del vivo lavoro che è il suo unico “produttore”. E là dove si sfrutta la forza-lavoro, si fa di tutto per abbassare il valore di mercato proprio del lavoro stesso, cioè il salario compreso quello differito.
I massimi esperti di economia monetaria guardano perplessi questo tsunami dei cosiddetti "liberi" movimenti di capitale-denaro. In realtà siamo in presenza di una massa di capitale fittizio che galleggia su una economia cartacea; una girandola vorticosa composta da private equity funds, titoli di corporation, fondi specializzati che promettono grandi rendimenti ma che non fanno altro che divorare come belve feroci quote del plusvalore proveniente, e rastrellato, dai settori produttivi. Tutto ciò viene mascherato dietro una momentanea apparenza di crescita del capitale monetario; ma poi le bolle esplodono fragorosamente, poiché i “rendimenti” altro non sono che un’espressione monetaria nominale, attorno alla quale tutto sprofonda nel baratro di una generale inflazione dei titoli cartacei.
Intrallazzi finanziari
A gestire le varie “iniziative”, diventate operazioni di massima spregiudicatezza con vere e proprie manovre di carattere brigantesco, sono potentissime strutture finanziarie che intervengono ovunque intravvedano una possibilità di lucro a loro vantaggio. Gli intrallazzi avvengono fra grandi banche commerciali e d’investimento, compagnie di assicurazione, casse di deposito, società internazionali che operano contemporaneamente in settori differenti e creano intrighi di flussi e di reciproci impieghi, di funzioni e di controlli pilotati. Tutto avviene ormai alla luce del sole, anche se molto ancora si muove nell’ombra fra cataste di derivati (nascosti fra i bilanci delle stesse banche ufficiali) e società fantasma specializzate come “veicoli” di ulteriori guadagni, con le banche che vi trasferiscono i loro crediti trasformandoli in titoli commerciali.
Al loro fianco operano una miriade di intermediari che si collegano a investitori istituzionali ed enti pubblici dei titoli obbligazionari, costruendo un ulteriore ammasso di carte e numeri, “derivati” per centinaia di trilioni (in dollari) scambiati sotterraneamente tra privati e sfuggendo ad ogni possibile controllo, sia “etico” che materiale… Le società di rating, di auditing e di consulenza, operano a livelli e con mezzi operativi da far invidia alle migliori e più efficienti associazioni a delinquere. Una onnipotente consorteria internazionale che non esclude intrallazzi con altri settori mafiosi della borghese società.
Gli “investitori” istituzionali
Come sopra detto, nel girone dantesco della finanza sono presenti e attivi investitori istituzionali, invisibilmente legati gli uni agli altri: fondi pensione, fondi comuni di investimento, compagnie di assicurazione e fondi comuni speculativi, come gli hedge funds, (fondi di copertura o di protezione). I fondi speculativi, in particolare, si servono della leva finanziaria prendendo denaro in prestito dalle banche per l’acquisto di pacchetti azionari o intere imprese industriali. Investitori istituzionali, dunque, che possiedono e controllano una metà delle società quotate in borsa e quindi ne dirigono gli indirizzi industriali, muovendo in definitiva centinaia di miliardi di dollari e di euro attraverso colossi finanziari e il controllo di patrimoni vertiginosi. Tramite appositi servizi bancari (banking), collegamenti telematici e operazioni della finanza ombra, avvengono scambi giornalieri a suon di centinaia di miliardi di dollari o di euro.
In Italia, pur con fondi pensione modesti, si parla di un capitale depositato per legge nelle banche che vale 70 miliardi di euro e da vita a un giro di vendite e acquisti per decine e decine di miliardi di azioni od obbligazioni emesse dal sistema bancario o da esso gestite.
== Le acrobazie dell’euro
Negli ultimi periodi qualche “autorevole” commentatore internazionale (vedi The Financial Times) non aveva escluso un possibile crollo dell’euro. In effetti, al di là ogni ipotesi, rimane sempre presente lo spettro di una insostenibilità a lungo andare dei debiti “sovrani”. E’ uno spettro che si aggira su alcuni paesi dell’euro e che se la ride di fronte allo sbarramento che dovrebbe invece riportarlo nell’al di là: alludiamo al Fondo salva-Stati (Efsf) la cui “dotazione” dovrebbe essere innalzata almeno a 1.000 miliardi di euro (ma chi “presterà” il denaro?), e al volontario haircut ovvero un “taglio di capelli” che riduca il valore di mercato dei titoli pubblici in percentuali variabili secondo le condizioni dei singoli Stati. Un haircut (parlano i tecnocrati della finanza) che potrebbe dare una parvenza di maggiore “garanzia” al debito dei paesi in difficoltà. I bond europei in possesso delle Banche dovrebbero essere valutati ai nuovi prezzi di mercato del momento e non a quelli del loro acquisto.
Ma chi finanzia l’Efsf? Al momento, poiché in tutti i settori il capitale vive ormai alla giornata, le Banche guadagnano sui differenziali dei tassi al rialzo o al ribasso dei titoli sovrani; questi subiscono una selezione “non virtuosa” mentre la Bce accresce la propria esposizione ai titoli da essa sostenuta, e in parte finisce col trovarsi in ostaggio degli Stati che quei titoli emettono.
Le banche di Francia e Germania, dove si trovano molti titoli italiani, greci e spagnoli, hanno già ridotte le quantità gestite, ma chiaramente questa è comunque la strada che potrebbe portare a grosse perdite e magari a qualche rischio di fallimento. Non dimentichiamo poi gli ammassi di titoli tossici accumulatisi nelle banche tedesche e francesi, conteggiandoli ad un valore nominale che in realtà dovrebbe essere pari allo zero. In questo quadro che più fosco non si può, si aggirano molte anime candide della borghesia che, spinte qua e là da una fede spesso prezzolata, sognano il ristabilimento di uno sviluppo, nei settori produttivi, tale da annullare (o almeno ridurre) gli attuali deficit di competitività in cui molti paesi versano.
Questo cosiddetto haircut (che in realtà è già in atto, anche se non proprio ufficialmente) costringerebbe ad ogni modo le Banche ad altri aumenti di capitale, a bloccare i dividendi e – perché no, visto che ormai tutti ne parlano – persino a dare fiato ai sostenitori di qualche nazionalizzazione di istituti in difficoltà. Fingendo nel contempo, con la consueta ipocrisia, di rimproverare i grossi speculatori in hedge funds, a cui si aggiungono le grandi investment banks anglosassoni, a cui fanno capo non solo grandi imprese ma anche governi, e le strutture internazionali di private banking. Il tutto con molta discrezione: si sanno nomi e indirizzi, ma anche il solo togliere qualche mattone dalle mura del castello farebbe crollare la delicata costruzione…
La Bce altro non ha potuto fare che ricorrere ad un “salvifico, largo e sistematico” intervento di acquisto di titoli di Stato. Si tenta di aumentare un poco la già rilevante massa di moneta circolate. La manovra poi non terrebbe in alcun conto quelli che sono le conseguenze della interruzione di manovre finanziarie che avrebbero dovuto sostenere la domanda di merci (messa in crisi dalla mancata solvibilità presente fra i potenziali consumatori, con salari ridotti o sospesi…) e portata avanti col credito facile, cioè finanziarizzando in qualche modo la domanda. Il che significava, fin dagli inizi, che a breve la domanda si sarebbe nuovamente esaurita, non solo, ma con effetti catastrofici esponendosi ad una resa dei conti con la stessa invadenza finanziaria nell’economia reale in crisi da tempo. Una crisi profonda (per le ragioni che ben sappiamo) in cui versa quella produzione di merci che dovrebbe fare da mediazione per consentire al capitale di poter accumulare plusvalore e ristabilire (già, si racconta anche questo!) “una distribuzione equa del valore prodotto tra capitale e lavoro”…
Si avvicina una resa dei conti
Attingendo ai dati reperibili da fonti borghesi (poco aggiornate) risulta un PIL mondiale attorno ai 75.000 miliardi di dollari; un “valore” delle Borse che si aggira sui 50.000 miliardi e quello delle Obbligazioni attorno ai 95.000 miliardi. Aggiungendo tutti gli “altri” strumenti finanziari, si arriverebbe a circa 500.000 miliardi. Il risultato, stando al Pil, è quello di una produzione (attenzione: in parte, sì, produttiva di plusvalore contenuto nelle merci, ma in parte improduttiva, come nei servizi) di soli 75.000 miliardi. Ovvero più o meno il 15% del totale degli strumenti finanziari in movimento, cioè della fittizia massa finanziaria cartacea che sta soffocando la società borghese.
Non basta: a fine 2014 si aggiravano nel mondo quasi 200mila miliardi di dollari in debiti, avvicinandosi a tre volte il Pil globale. Gli Usa, fra debito pubblico e privato, superano di 2,7 volte il loro Pil, mentre la Cina ha 28mila miliardi di dollari presi in “prestito” da Governo e privati.
Il meccanismo finanziario a questo punto travolge tutto e tutti, comprendendovi anche il movimento delle Borse dove pure si va imponendo l’uso di sofisticate tecnologie (come gli High Frequency Trading - HFT), le quali, anziché guarire l’ammalato finiranno col dargli il colpo di grazia. Risolutivo? Purtroppo no, senza l’intervento di un proletariato che con la guida del suo partito si renda finalmente consapevole di essere l’ultima classe sfruttata al mondo con ben precisi e rivoluzionari obiettivi storici. La qual cosa ancora purtroppo non si vede.
Che fare, allora?
Noi ci ripetiamo, certamente, ma l’annaspare nel vuoto della borghesia (e delle fazioni della sua cosiddetta “sinistra”, tanto parlamentare quanto… antagonista) ci costringe ad affermare instancabilmente: il capitale è in fase agonica. Il che non vuol dire, purtroppo, che possa crollare dall’oggi al domani. Solita ripetizione: tutte le crisi borghesi possono avere una momentanea soluzione borghese (e sappiamo dove potrebbe arrivare la condotta “politica” della borghesia, visto quanto sta succedendo in Siria e d’intorni). Ma una cosa è certa: al punto in cui siamo, la “crescita”, il “rilancio dello sviluppo”, resta un’ottica da non vedenti nella quale annaspano, vomitando le più incredibili panzane ideologiche, i riformatori del capitalismo, i propugnatori di un suo “ringiovanimento” basato sulla mitica imposizione (ma da parte di chi?) di regole, ordinamenti per lo più “etici” e di molti interventi della divina Provvidenza.
Forse in qualche intellighenzia, sia pure di stampo borghese, si sta facendo strada il dubbio, se non il convincimento, che lo sviluppo produttivo non soltanto si è bloccato ma altresì non potrà mai più dar segni di vitalità nelle presenti condizioni: ergo, i flussi di capitale “inattivo” impazziscono. Finiti da decenni i bei tempi – per il capitale – della facile “creazione” di denaro, legata agli affari della ricostruzione: vedi il famoso Piano Marshall coi suoi meccanismi monetari allora coperti dall’onnipotente e onnipresente dollaro.
Oggi si è arrivati, prendendo il predominio su tutto, alle più spericolate acrobazie… matematiche, volte a innalzare e poi tentare di sorreggere immense costruzioni cartacee (moderne torri di Babele) che ad un certo punto già hanno cominciato rovinosamente a crollare. Tutt’attorno, mentre la democrazia borghese getta la maschera, la vera gestione del potere (da quello economico a quello finanziario, da quello ideologico a quello politico) si avvolge su se stessa nei dilaganti vortici di corruzione, malaffare, clientelismo e inefficienza burocratica. Il futuro si presenta sempre più tragico, di fronte al dissolversi di quel “virtuoso circuito” che avrebbe dovuto stabilirsi tra ricchi e poveri, lasciando invece il posto ad un perverso rapporto mondiale tra gli uni e gli altri, il quale vede aumentare ovunque le “sacche di povertà” e farsi abissali i dislivelli nelle scale dei redditi e dei patrimoni individuali, ampliando il numero dei cosiddetti “ceti poveri e miserabili”.
Tutto confermando che in definitiva e da decenni la società borghese si agita irrequieta su montagne di debiti, apparentemente spianate dalle distruzioni belliche succedutesi dal 1939 in poi. Tenendo ben presente che la Seconda guerra mondiale fu preceduta da un periodo di grande afflusso di investimenti militari, attirati dai risultati, in caso di vittoria, di un saccheggio finale a danno dei vinti. Ora gli “spiriti selvaggi” del capitalismo sono di nuovo irrequieti; si agitano e stringono le catene con le quali cercano di trascinare le masse di tutto il mondo verso un altro sanguinoso sacrificio di esseri umani e di beni materiali, unica possibilità per un temporaneo prolungamento dell’agonia del capitale. Ma anche per un definitivo risveglio della lotta di classe.
DC(1) Si tratta di una operazione con la quale un credito o altre attività finanziarie non negoziabili vengono ceduti (a titolo oneroso) ad una società veicolo (SPV) la quale poi emetterà titoli negoziabili sui mercati nazionali e internazionali.
(2) I cosiddetti “aggregati monetari” fanno parte della liquidità presente nel sistema, la quale quindi comprende oltre alla moneta legale (banconote, il circolante) anche i depositi a vista, cioè in conto corrente e trasferiti con assegni, e altre attività finanziarie che possono avere facile liquidità (depositi bancari e postali). Il tutto – nell’area dellEuro a fine aprile 2014 – ammontava a 5.500 miliardi di euro. Con i depositi a scadenza due anni e quelli rimborsabili entro tre mesi, si raggiungevano i 9.288 miliardi. In Italia circolavano banconote per un valore di 180 miliardi, più circa 1.800 miliardi di aggregati.
(3) L’Abi ha recentemente calcolato le sofferenze del sistema bancario italiano in circa 184 miliardi di euro, con un livello in continuo aumento negli ultimi anni (nel dicembre 2008 la cifra era di 43 mld di euro).
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