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Home ›Esiste una questione sindacale?
Pubblichiamo una serie di articoli tratti da Battaglia comunista della fine degli anni Quaranta, perché riteniamo che i "pezzi" in questione, nonostante il tempo passato, possano ancora offrirci spunti interessanti - soprattutto dal punto di vista metodologico - per la comprensione delle dinamiche della lotta di classe odierna. Non culturalismo, non accademismo storiografico, dunque, ma momento, sia pure particolare, della battaglia teorico-politica contro il sistema del capitale, per una società diversa e migliore.
Da Battaglia Comunista, n. 11 – 17-24 marzo 1948
I primi congressi provinciali hanno confermato ciò che era previsto e cioè che il punto sul quale si sarebbero scontrate le opinioni e sul quale con maggior fervore si sarebbero svolte le discussioni è quello su cui poggia la politica sindacale del Partito, quale risulta dalle relazioni presentate dal C.E. per il prossimo congresso nazionale. Ma, a nostro avviso, nelle discussioni suaccennate non si è dimostrata una sufficiente maturità; il problema posto, in generale, è stato mal compreso, e in alcuni casi semplicemente rigettato, sostituendolo con schemi di risoluzione che si richiamano alla prassi sindacale della Terza Internazionale e del Partito Comunista d’Italia al momento della sua costituzione. Ora è evidente che, malgrado si dichiari il contrario, non si tiene in nessun conto l’evoluzione compiuta dal capitalismo tra la fine della prima guerra mondiale e lo scoppio della seconda, e della parallela involuzione compiuta dai partiti comunisti praticamente legati a uno dei due blocchi imperialisti, e dell’inserimento dei sindacati nell’orbita di influenza dello Stato.
Comunque, quello che va messo subito in rilievo è che in nessun caso è stata formulata una opposizione concreta e di principio alla politica sindacale del partito, trattandosi in generale di stati d’animo che in ultima analisi si ricollegano al difficilissimo compito che la situazione ci impone.
Infatti, le questioni che vengono più frequentemente sollevate, sono le seguenti: come uscire dalla situazione di quasi isolamento in cui ci troviamo? Come farsi largo in seno alle masse per farci conoscere e sottrarle all’influenza dei partiti opportunisti? La risposta che a questi quesiti danno alcuni compagni di fabbrica, dimostra che essi rimangono alla superficie degli argomenti di discussione ponendosi problemi inattuali e così facendo sono inevitabilmente portati a commettere degli errori che potrebbero, se generalizzati, essere di gravissimo danno per lo sviluppo e il consolidamento ideologico del partito. Ad ogni modo, sarà bene ricordare che se per allargare la nostra influenza fra le masse bastasse essere conosciuti, a quest’ora, proprio nei centri proletari più importanti, dovremmo già aver ridotto a zero l’influenza che il nazionalcomunismo esercita ed eserciterà ancora sulle masse operaie.
Il fatto che il nostro partito sia sufficientemente conosciuto e frequentissimamente discusso, e che ad onta di ciò, gli operai rimangano attanagliati dalla politica nazionalcomunista, dimostra molto chiaramente che questa non è ancora la nostra ora, l’ora della rivoluzione, ma quella della controrivoluzione e della guerra. Ad ogni modo, la risposta che quei compagni danno alle domande di cui sopra, è invariabilmente la seguente: esser più giusta e più redditizia per il partito la partecipazione ai posti di responsabilità degli organismi sindacali e di fabbrica in quanto la nostra opposizione svolta dal di fuori, non dà la possibilità di mantenere i contatti e svolgere quell’attività fra gli operai che si potrebbe invece svolgere se noi fossimo minoranza operante dall’interno.
A prescindere dal fatto che qui siamo assolutamente fuori da tutta l’impostazione che del problema danno le relazioni presentate dal C.E. per la discussione, anche ponendosi da un punto di vista elementare e pratico non è affatto vero che per svolgere una qualsiasi attività nostra in seno alle masse operaie sia indispensabile esser membro di una C.I. o di un Consiglio sindacale, in quanto proletari continuamente a contatto con centinaia di altri proletari, i nostri militanti possono benissimo svolgere un’efficacissima attività di partito, come sta a dimostrare l’azione di diversi gruppi internazionalisti di fabbrica.
Nel modo di vedere dei compagni che così pensano, c’è, in fondo, una preoccupazione che vizia tutta la loro visione del problema: ed è l’insofferenza dell’isolamento che li preoccupa e talvolta li scoraggia, e vorrebbero che il nostro partito godesse di un largo seguito tra le masse proprio nel momento in cui esprime prima di ogni altra cosa, la sconfitta da esse subita. Rimontare la corrente! Questo sforzo infatti sta compiendo il partito e lo fa nel solo modo che gli è consentito, combattendo su tutti i fronti per suscitare fra i proletari la consapevolezza della necessità della lotta rivoluzionaria.
Di non diversa natura sono le preoccupazioni di coloro che dalla constatazione, sulla quale tutti indistintamente siamo d’accordo, per cui il sindacato attuale sia ormai passato al fronte della conservazione borghese, traggono la conclusione che sia necessario passare alla costituzione di nuovi sindacati di cui i quadri della frazione sindacale dovrebbero essere l’ossatura. Anche qui la preoccupazione centrale è quella di uscire dalla situazione di semi-isolamento e dare al partito artificiosamente un seguito abbastanza largo di operai. E qui entriamo nel vivo della questione. Dovrebbe essere chiaro per tutti che non gli accorgimenti tattici, che spesso portano allo snaturamento delle avanguardie rivoluzionarie, possono portare le masse sul piano politico del partito di classe, e che questa congiunzione sarà resa possibile solamente dal precipitare delle situazioni verso una nuova e più profonda crisi del regime capitalista. L’errore dei nostri compagni, sia di quelli – pochissimi del resto – che pensano alla costituzione di un nuovo sindacato, sia di coloro – più numerosi – che suggeriscono l’entrata nei comitati sindacali per i fini di cui sopra, è quello di credere che ai nostri giorni, che non sono più quelli della libera concorrenza e del pacifico sviluppo del capitalismo, ma quelli del monopolismo più sfrenato e della gestione totalitaria dell’economia da parte dello Stato, sia possibile un’azione sindacale nel senso tradizionale e per mezzo di essa conquistare al nostro partito larga messe di adesioni. Ora è più che chiaro che una questione sindacale intesa in quel modo non esiste e sarebbe gravissimo errore se nella loro quotidiana propaganda i nostri gruppi di fabbrica lasciassero intendere agli operai, che li ascoltano, che una o più commissioni o qualche sindacato diretto da comunisti internazionalisti possano sul piano strettamente sindacale, cioè salariale, fare qualche cosa di più o di diverso di quello che fanno gli attuali dirigenti sindacali. Se rimane sempre vero che il proletariato si muove alla lotta sotto il pungolo del bisogno e per risultati immediati, compito delle nostre organizzazioni di partito, e soprattutto di quelle di fabbrica, è quello di non far credere che siano raggiungibili indipendentemente dalla battaglia rivoluzionaria per il potere. Per cui compito permanente dei nostri gruppi di fabbrica e della frazione sindacale è quello fissato nelle tesi in discussione: né partecipazione alla direzione degli organismi dirigenti sindacali esistenti, né farsi promotori di inutili scissioni. L’apparizione di nuovi sindacati, oltre che non contribuire a guarire nessuno dei mali di cui soffre la classe operaia, aggiungerebbe nuova confusione a quella esistente, con grave danno del faticoso processo di chiarificazione in corso.
Non per la risoluzione di una ormai superata questione sindacale si devono battere i gruppi internazionalisti di fabbrica e la frazione sindacale, ma presenti e operanti in tutte le agitazioni e battaglie della classe operaia si adopereranno per chiarire che la soluzione delle antitesi che le determinano non sarà ottenuta che per mezzo della lotta unitaria di tutto il proletariato per la conquista rivoluzionaria del potere.
M.C.Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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