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Home ›Il partito ai lavoratori italiani - Dopo il Congresso di Firenze (6-9 maggio 1948)
Pubblichiamo una serie di articoli tratti da Battaglia comunista della fine degli anni Quaranta, perché riteniamo che i "pezzi" in questione, nonostante il tempo passato, possano ancora offrirci spunti interessanti - soprattutto dal punto di vista metodologico - per la comprensione delle dinamiche della lotta di classe odierna. Non culturalismo, non accademismo storiografico, dunque, ma momento, sia pure particolare, della battaglia teorico-politica contro il sistema del capitale, per una società diversa e migliore.
Da Battaglia Comunista, n. 18 – 20-27 maggio 1948
Compagni lavoratori!
Poco più di due anni sono trascorsi da quando, al Convegno di Torino, le forze della Sinistra Italiana, riunite nel Partito Comunista Internazionalista, riaffermavano la loro intransigente fedeltà alle idee, al programma e ai metodi di lotta del Partito di Livorno contro lo schieramento unitario delle forze del tradimento e della controrivoluzione, e opponevano al corso storico della società borghese, precipitante verso il terzo macello imperialistico, la preparazione dell’avanguardia comunista alla sua missione di guida della rivoluzione proletaria.
Convergevano allora sulla base del programma originario della III Internazionale e di una tradizione ideologica forgiatasi al fuoco della lotta contro la degenerazione dei partiti operai, gli uomini che la tempesta della controrivoluzione e della guerra non aveva piegato e che avevano proseguito a combattere, soli o riuniti in esili gruppi, la stessa battaglia attraverso la quale, nel corso del primo massacro mondiale, un pugno di bolscevichi aveva preparato le armi teoriche e pratiche della vittoria dell’Ottobre rosso. Si riunivano nella piena coscienza della gigantesca portata della vittoria capitalistica e dell’enormità del compito storico ch’essi si assumevano: foggiare i quadri politici della risposta rivoluzionaria del proletariato all’ubriacatura borghese della ricostruzione, preludio immancabile ad un nuovo e ancor più spaventoso conflitto. E lanciavano al fronte compatto della destra e della sinistra borghesi, solidali nel compito di aggiogare il proletariato al carro della patria e della democrazia, come già della guerra, la sfida di un programma solidamente ancorato ai principi classisti, internazionalisti, rivoluzionari del comunismo.
Più di due anni sono trascorsi da allora, ed essi hanno confermato non soltanto quello che allora dicemmo, che cioè in mancanza di un’offensiva rivoluzionaria del proletariato il regime capitalista avrebbe riposto all’ordine del giorno – nella democrazia oggi come nel fascismo ieri – il problema della guerra, ma che tutto era stato predisposto perché quell’unica soluzione fosse storicamente possibile. In lunghi anni di spietato smantellamento, il capitalismo era riuscito a strappare alla classe operaia di tutti i paesi l’arma insostituibile della sua vittoria rivoluzionaria: il Partito; a inserire nel meccanismo internazionale della propria conservazione e difesa il primo Stato operaio; a distruggere, ora con la violenza ora con l’arma sottile dell’inquinamento ideologico e della corruzione politica, la III Internazionale rivoluzionaria; a fare di queste tre forze operanti, e di riflesso dei tradizionali organi di difesa degli interessi operai – i sindacati – gli strumenti della propria ricostruzione. Era insomma riuscito ad eliminare il proletariato come classe: e l’altra faccia di questa eliminazione era stata la guerra, una guerra nella quale la classe lavoratrice era stata travolta, non come massa riluttante e comandata, ma come forza agente ed operante in nome degli interessi dei suoi sfruttatori, in nome della patria, della democrazia, del progresso, del tradizionale armamentario dell’ipocrisia e del cinismo borghesi.
Su queste macerie il capitalismo aveva eretto l’edificio di uno Stato sempre più accentratore, di un’economia controllata o gestita dall’organo supremo di difesa della classe, di una democrazia che mascherava dietro la molteplicità delle forze politiche in conflitto la ferrea realtà di un esercizio totalitario e fascista della dittatura borghese sul proletariato.
E tutto quello ch’era stato il più geloso patrimonio della classe operaia veniva assorbito nella rete del Moloch capitalistico: il sindacato, divenuto non solo organo di conciliazione fra le classi, ma di mobilitazione del proletariato ai fini della produzione; il partito, divenuto non solo l’artefice delle riforme interne del regime capitalista, ma il suo gestore, amministratore e custode; il programma, convenientemente adattato per entrare a far parte del vocabolario corrente dell’industriale e del ministro, dell’agrario e del deputato, del prete e dello sbirro.
Ciò spiega perché, diversamente dal primo dopoguerra mondiale, la crisi permanente del regime capitalista abbia trovato una classe operaia sfiancata, dispersa, incapace di porre il problema della lotta rivoluzionaria conto il fortilizio dello Stato borghese, ed anzi lanciata sui binari obbligati della sua ricostruzione. Ciò spiega perché il capitalismo abbia potuto riassestare la propria struttura economica e politica senza dover fare i conti con la reazione violenta della classe operaia, ristabilire e rafforzare la potenza repressiva dello Stato, riprendere a pieno ritmo la produzione, accrescere i profitti, sottoporre ad un intensificato sfruttamento i lavoratori, senza che neppure la lontana minaccia di un ’17 o di un ’19 rosso si profilasse. Esso teneva saldamente in pugno l’iniziativa politica, e, grazie alla formidabile macchina della sua economia accentrata e al pieno e totalitario controllo degli organismi sindacali e politici convoglianti le grandi masse lavoratrici, riusciva a far passare per un moto popolare la guerra partigiana e l’insurrezione nazionale, per una concessione alla volontà delle masse la democrazia parlamentare o popolare, per una conquista proletaria l’inserimento delle forze del lavoro nello Stato, e per un progresso verso il socialismo quello che doveva dimostrarsi, in tutti i Paesi, il rafforzamento dell’apparato di sfruttamento e di oppressione del capitalismo coi mezzi più aggiornati della tecnica.
Compagni lavoratori!
La realtà di questo processo storico di rafforzamento della dittatura capitalistica attraverso le forme politiche e gli espedienti economici che una lunga scuola di deformazione opportunistica degli obiettivi e dei metodi della lotta di classe aveva insegnato agli operai a considerare come conquiste ed armi proletarie – la democrazia, il controllo operaio, le nazionalizzazioni, la difesa dell’indipendenza nazionale, ecc. -, la realtà di questo processo storico era stata da noi vista e denunciata fin dalle ultime fasi della seconda guerra mondiale e dai primi inizi della ricostruzione.
E tuttavia era allora difficile rendersi pienamente conto della gigantesca portata della sconfitta operaia, e prevedere che, in diretta antitesi col corso storico del primo dopoguerra rivoluzionario, la situazione nazionale ed internazionale evolvesse – com’è evoluta – senza scosse sociali e sussulti di classe verso la più ferrea delle reazioni e verso lo sbocco di un nuovo conflitto imperialistico. Era difficile prevedere che l’impero della classe capitalistica sul proletariato fosse così totalitario da costringerlo a subìre fino all’ultimo l’iniziativa borghese, a sacrificarsi in guerra e in pace per la ricostruzione della propria galera, e ad affontare ancora una volta, a chiusura del bilancio della democrazia progressiva, lo spettro incombente del massacro mondiale.
Eppure, tale è la situazione. Non soltanto la classe operaia subisce oggi il giogo di un totalitarismo democratico non meno terribile di quello fascista, non soltanto si vede offrire la ricompensa di un nuovo conflitto dalle stesse potenze mondiali sotto la cui bandiera aveva combattuto «l’ultima della guerre» e la «crociata della libertà», ma, di fronte a questa brutale rivelazione della cinica beffa giocatale, rimane incasermata nelle forze politiche, nei partiti-prigione, che sono i motori della guerra incalzante.
Battuto su scala internazionale, esso è sottoposto in tutti i paesi ad un processo di lacerazione, alla base del quale non è il contrasto di classe che nel primo dopoguerra mondiale oppose le forze della rivoluzione alle forze dell’opportunismo controrivoluzionario, ma il contrasto imperialistico di cui sono la traduzione politica. Piano Marshall e Cominform, destra e sinistra, Truman e Stalin, De Gasperi e Togliatti, e quella «terza forza» destinata a convogliare per vie indirette e tortuose verso l’imperialismo americano le falangi incerte e riluttanti della classe operaia e dei ceti minori.
Il conflitto è in atto: guerra fredda tra gli alleati, guerra guerreggiata in Grecia e Palestina, occupazione militare prolungata in Germania, conflitti politici fra i partiti della coalizione democratica in tutti i Paesi; ma su questo travagliato scenario il proletariato non appare che come forza di rimorchio al servizio dei grandi predoni imperialistici, manovrato e controllato dai partiti che ne sono in tutti i settori gli uffici di reclutamento, osannante ai propri galeotti come ai difensori e garanti di una promessa emancipazione politica e sociale, becchino non della società borghese ma di se stesso.
Compagni lavoratori!
È in presenza di questo tragico quadro di rovina degli strumenti politici di lotta del proletariato e di marcia accelerato verso la guerra con la solidarietà e il contributo fattivo della classe operaia, che si è riunito a Firenze il primo Congresso Nazionale del Partito Comunista Internazionalista.
E il bilancio che della situazione internazionale e della possibilità di ripresa del proletariato vi è stato fatto – più fosco, certo, di quello che poteva essere anticipato al Convegno di Torino – non poteva essere diverso da quello delineato più sopra.
L’avanguardia rivoluzionaria ha guardato coraggiosamente in faccia il ciclo storico che la società capitalistica attraversa. Non si è illusa né ha voluto illudere: di fronte all’evoluzione totalitaria del capitalismo, all’avvenuta demolizione del proletariato come classe, al ferreo dominio dell’imperialismo, il Congresso non ha assegnato al Partito della classe operaia l’assurdo compito di influenzare o capovolgere il corso degli eventi; non ha tracciato demagogiche prospettive di spostamenti di masse sul piano della lotta rivoluzionaria; non ha accreditato l’illusione che lo schema delle battaglie proletarie del ’17-’21 si riproducesse.
Ha compiuto, al contrario, quello sforzo di comprendere la realtà delle situazioni obiettive ch’è la prima e necessaria condizione della capacità di affrontarle e, riconoscendo nella propria esistenza il segno e la garanzia di una iniziale ripresa proletaria, l’unico punto fermo nel moto rovinoso dell’evoluzione capitalistica, ha lavorato a gettare le base del suo più acuminato intervento nella crisi sempre aperta di una società costruita sul sudore e sul sangue della classe operaia.
Non c’è rivoluzione senza teoria rivoluzionaria. Il Congresso di Firenze ha procurato di adeguare le armi teoriche del proletariato rivoluzionario alle nuove esigenze della lotta fra le classi, non sottacendo né la complessità dei problemi posti dall’evoluzione della società borghese, né le gigantesche difficoltà che il Partito della rivoluzione proletaria deve e dovrà affrontare per la riaffermazione e la difesa della continuità programmatica, tattica, organizzativa del movimento rivoluzionario del proletariato non soltanto contro le forze palesi della conservazione capitalistica – fra le quali sono oggi in primo piano, insieme coi tradizionali partiti della destra e del centro borghese, i partiti socialisti e nazionalcomunisti -, ma contro tutte le posizioni intermedie che oscillano tra l’agitazione puramente verbale delle rivendicazioni massime della classe operaia e i patteggiamenti con le forze obiettive della controrivoluzione. È in questa riaffermazione – compiuta non nell’astratto ma nel vivo della lotta – il compito assegnato dalla situazione attuale al Partito di classe, è in essa l’unica garanzia che, in situazioni storiche capovolte, l’avanguardia rivoluzionaria potrà con le stesse forze che avrà saputo conservare ed agguerrire nella quotidiana battaglia, inserirsi nel corso degli avvenimenti come la guida del proletariato lanciato all’assalto violento del potere politico e alla distruzione dell’apparato di dominio borghese.
Compagni lavoratori!
Teso in questo gigantesco sforzo nazionale e internazionale, il Partito Comunista Internazionalista non offre le sue forze e i suoi programmi per la difesa o la conquista di millantate posizioni nel seno della società borghese, per la conservazione o il potenziamento di determinati istituti capitalistici contro l’assalto di concorrenti forze della stessa classe. Esso non ha nulla da difendere al di fuori del proprio programma di battaglia e dei quadri politici e organizzativi che ne sono il veicolo nella storia.
Non mercanteggia con nessuno un diritto alla vita che solo la sua durezza ed intransigenza e l’evolversi dei rapporti di forza fra le classi gli garantiscono. Non nasconde i propri obiettivi rivoluzionari dietro formule che oscurano nella coscienza dei militanti la visione lucida del compito storico del proletariato, e ne uccidono lo spirito di battaglia. Non cerca surrogati alla rivendicazione aperta e radicale della dittatura proletaria.
Il Partito Comunista Internazionalista non accredita presso gli operai l’illusione che le lotte rivendicative possano concludersi con successo al di fuori della distruzione radicale e definitiva dello Stato borghese. Non opera all’impossibile raddrizzamento dei sindacati divenuti preda del nemico, né si assume il compito di conquistarli dall’interno: legati in modo indissolubile al meccanismo politico ed economico del capitalismo, gli attuali organismi di massa dovranno precipitare con esso. E, se interviene nelle lotte e nelle agitazioni sociali in cui la terribile realtà dell’oppressione e dello sfruttamento dei lavoratori si esprime, anche se la classe dominante è sollecita ad afferrarne coi suoi mille tentacoli la direzione e a volgerle ai fini dell’imperialismo e della guerra, non è già nell’intento illusorio di operarne la graduale estensione su un piano di classe, ma con l’obiettivo realistico di creare nei proletari la coscienza che nulla potrà essere realizzato su quel piano prima che, in situazioni storiche mutate, lo schiacciante dominio dei partiti della controrivoluzione sulle masse sia distrutto e le forze operaie scatenino l’offensiva finale contro tutta l’impalcatura del potere capitalistico, i sindacati come le prefetture, il partiti della ricostruzione nazionale come le prigioni, il parlamento come le banche e il governo.
Soprattutto, il Partito Comunista Internazionalista oppone all’avvelenatrice propaganda dell’imperialismo, alle ciniche parole d’ordine con cui la guerra fin da ora si maschera – la pace, l’indipendenza nazionale, la democrazia parlamentare o popolare, la libertà, il socialismo in un solo paese – l’intransigente parola del disfattismo rivoluzionario e della solidarietà internazionale dei lavoratori nella lotta contro la propria classe dominante e chiama sotto questa bandiera i proletari che la tragica esperienza di questi anni ha strappato alla morsa dei partiti della controrivoluzione per una lotta senza quartiere contro la guerra.
È a questa condizione, e solo ad essa, che nella bufera della reazione e del massacro mondiale, potranno essere salvate e rinsaldate le forze ancora vive della classe operaia, le forze intorno alle quali si stringeranno, nello sfacelo della società fondata sul profitto, le falangi proletarie sospinte dalla crisi capitalistica nel grande incendio della guerra civile.
Compagni lavoratori!
Separandosi al canto dell’Internazionale, i militanti riunitisi a congresso nella piccola sala di una Casa del Popolo di Firenze hanno ribadito la fermissima decisione di affilare sempre più al fuoco della lotta, e di fronte ai problemi ancora aperti della nuova fase di evoluzione del capitalismo, le armi fondamentali della ripresa rivoluzionaria del proletariato. È questo il messaggio – l’unico concreto e pieno di avvenire – che il Partito della rivoluzione lancia alla classe operaia italiana e mondiale.
Contro la guerra, contro il capitalismo, contro i partiti che ne sono le forze di offesa e di difesa,
Viva la lotta internazionale dell’avanguardia comunista!
Viva la rivoluzione del proletariato!
14-5-1948, Il Partito Comunista InternazionalistaBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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