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Home ›Le elezioni, la Lega Nord e gli “antagonisti”
Considerazioni a caldo
Il "clandestino" è l'utile mezzo con cui il "volto nuovo" della Lega, il milanese doc Salvini, tenta la scalata elettorale al privilegio personale, all'imboscamento, al "sempre meglio che lavorare", al fancazzismo europarlamentare, alla "grana" quella vera, al "che me ne fotte a me".
Il “duce” della Lega versione “nazionale”- alleata coi post (?) fascisti di Fratelli d'Italia e, in generale, con lo squallido mondo del nazifascismo - ha condotto una campagna elettorale giocata sulla pelle di minoranze senza peso economico né numerico; infatti, in Italia, su 60milioni di abitanti la comunità rom conta meno di 200mila individui (circa 170mila, per metà donne e bambini), mentre i meridionali, ex cavallo di battaglia del Bossi, sono ora da corteggiare, sostituiti da soggetti ben più miserabili, appunto: i "clandestini", provenienti dal mare, "Nostrum", per la precisione.
Benché, dal punto di vista dei numeri effettivi, i fatti di sangue e di brutalità in cui sono coinvolti siano strumentalmente pompati in maniera abnorme dai mezzi di informazione, né rom né immigrati, in genere e con le dovute eccezioni – vedi la gestione dello spaccio o le attività di tipo camorristico in certe zone - fanno parte del grande crimine organizzato (le mafie: i cui legami con i partiti borghesi, le istituzioni e l'imprenditoria “legale” sono ampiamente documentati) , ed il principio delle condanne esemplari, del pugno di ferro per evitare che quei comportamenti possano generalizzarsi, è solo un tranquillante per le coscienze piccolo borghesi (ma anche di strati proletari), lo spacciare un'illusione di giustizia che colpisce con grandi condanne solo chi non ha il potere economico, sociale e politico per evitare la galera.
Questa rozza propaganda ha successo su scala piuttosto estesa a livello nazionale e coinvolge anche, ultimamente, gli ex "terroni". Fa parte della strategia “lepenista” della Lega, che consiste nel mettere da parte il razzismo antimerdionale delle origini (ma non si illudano i “terroni”: il pregiudizio e l'astio contro di loro sono sempre accesi nel cuore del leghista doc), per proporsi come il difensore degli italiani, di tutti gli italiani, a cominciare da quelli meno ricchi, quelli del “popolo”, contro gli intrusi che “ci rubano il lavoro e le case popolari che ci spettano”, “che si fanno mantenere coi nostri soldi”, contro l'Europa che “ci impedisce di essere padroni a casa nostra”, contro i suoi banchieri che “ci strozzano, come famiglie e come imprese”. Il solito cocktail velenoso, ma sempre efficace in epoche di crisi economico-sociale e di disorientamento. Parte, infatti, da alcuni dati indiscutibili, quali la povertà e l'insicurezza sociale crescente - anche e non da ultimo a causa delle politiche di austerità imposte dalla borghesia europea tramite le sue istituzioni - ma stravolge immediatamente quei dati per spacciare un'alternativa fatta di un capitalismo dal volto umano, benevolente coi membri della comunità etnica, che assicuri ordine, lavoro e tranquillità ai cittadini onesti, mettendoli al riparo dalle minacce provenienti dal mondo esterno, siano esse il “parassita” immigrato o il rapace banchiere senza identità nazionale. Un bel cocktail, appunto, di illusioni tanto più intossicanti quanto all'apparenza di buon senso, per così dire. Parentesi: una volta, i nonni politici dei vari Salvini indicavano la soluzione alle angosce sociali dei loro elettori nell'eliminazione del parassita per eccellenza, allo stesso tempo comunista e banchiere sovranazionale, “l'ebreo”; oggi, poiché “il parassita” in questione è stato sterminato dai “nonni” suddetti, ai Salvini &Co va benissimo usare l'immigrato, il rom per dare la scalata al governo nazionale, di cui, per altro, hanno già fatto abbondantemente parte, gareggiando con “Roma” per stabilire chi è più “ladrone”.
Del tutto artificiale, la "gerarchia del colore" colma in parte il vuoto fatto dall'ideologia borghese, rendendo possibile dare "risposte" alle classe lavoratrice, ossia corrompendone una parte.
Festeggiare, esultando per i naufragi di barconi colmi di donne e bambini, è approssimativamente una promessa di sviluppo che, come minimo, include il genocidio tra le proprie strategie di crescita, indipendentemente da chi saranno le vittime; nessuno si senta escluso per via di un documento d'identità.
Evidentemente è solo un'illusione quella di trovarsi dalla parte giusta della barricata, di essere schierati opportunamente con il più forte, ciò che si vuole colpire è la classe operaia nel suo insieme; i distinguo razza-religione servono solo a mantenerla docile mentre la si conduce verso la barbarie, di cui un altro conflitto mondiale è uno dei possibili sbocchi.
Ora, questo può risultare un disegno fin troppo elaborato per il retrobottega cerebrale di Salvini, il cui obiettivo immediato e reale è la mera suggestione dell'elettorato per ottenerne il consenso scritto. E infatti lo ha ottenuto, guadagnando un po' dappertutto, a cominciare dal Veneto e dichiarando per questo di essere pronto per le politiche 2018, previa collocazione alla casa di riposo politica del Berlusca.
A questo punto, però, ci viene da fare qualche riflessione su quell'area che i mass media chiamano, con approssimazione voluta, dell'«antagonismo», sulla sua pratica politica che, a considerare i risultati, si è rivelata clamorosamente perdente, dando la misura della distanza tra chi si pone soggettivamente in un'ottica genericamente anticapitalista, e il suo referente sociale, la “gente”, cioè il proletariato e gli strati sociali ad esso vicini. E' noto che ogni volta che Salvini si presentava a un comizio, gruppi di compagni genericamente intesi, lo contestavano apertamente, con l'immancabile seguito di cariche delle forze dell'ordine borghese. Se invece di cercare lo scontro ogni volta con lo squallido segretario della Lega, facendogli pubblicità gratuita, tutte quelle energie fossero state e fossero dirette a lavorare nella classe per contrastare il populismo nazisteggiante che serpeggia o dilaga in strati numericamente non insignificanti del proletariato e della piccola borghesia, per riportare nella classe medesima i principi del classismo e del comunismo, dimenticati, ignorati o disprezzati (anche perché molto spesso fraintesi), questo sarebbe stato e sarebbe un lavoro politicamente molto più produttivo - almeno nel medio/lungo periodo - che qualche uovo spiaccicato sul ghigno dell'aspirante gauleiter nazionale. Mentre quelli si fanno bastonare dalle forze dell'ordine borghese, questoo estende le radici tra la "gente", ne istiga gli istinti peggiori, frutto a loro volta del dominio di classe e della sua ideologia. Ciò vorrebbe dire, però, lavorare da partito, col metodo del marxismo (per sintetizzare), il che, almeno in questa fase, almeno per gran parte dei suddetti "antagonisti", risulta molto difficile, purtroppo. Di quali tragiche esperienze avranno bisogno per buttare a mare, se mai ci riusciranno, le pesantissime incrostazioni di stampo staliniano, socialdemocratico, democratoide e via dicendo che impediscono loro di operare positivamente nella classe per la classe, contro la società borghese nel suo insieme e non solo contro alcune espressioni, per quanto rozzamente brutali? Perfettamente consapevoli che la storia non si fa con i "se", ci viene da fantasticare che se anche solo una piccola parte dei giovani e meno giovani che si accaniscono in uno sterile antifascismo-antileghismo fossero nelle nostre fila, il contrasto all'avanzate para-nazismo di marca leghista avrebbe risultati ben più ampi rispetto alla desolazione attuale. Idem dicasi per l'astensionismo: ben venga l'astensionismo, ma se si ferma alla disillusione, al gettare la spugna di ogni impegno, per la classe dominante è anche meglio. Negli USA, dove da decenni vota sì e no la metà dell'elettorato, la borghesia fa e disfa come le pare, senza che la rabbia proletaria sappia rompere la cappa di frustrazione da cui è schiacciata e trovi uno sbocco su di un piano operativamente anticapitalistico. Tra i milioni di elettori (pare due) che non hanno più votato per il PD o non hanno votato in generale, sicuramente molti appartengono alla nostra classe, alla classe proletaria, ma quanti di essi potranno essere scossi dalla delusione, dal senso di rabbia impotente, dallo scoraggiamento del “non c'è più niente da fare”, per la caduta della speranza in un cambiamento, benché molto mal riposta? Per cercare di rompere questo “incantesimo”, ci vuole un lavoro metodico, paziente, “grigio”, per lo più, lontano dai clamori mediatici di uno scontro politicamente sterile con i nazi-leghisti e i loro protettori istituzionali.
Il problema del proletariato è e rimane dunque quello di contrastare l'intero quadro capitalista comprensivo di democrazia, fascismo e antifascismo, se inteso, quest'ultimo, come semplice restauratore del diritto borghese, sganciato quindi da una precisa prospettiva anticapitalista. Va infatti condotta contro il capitale la lotta per cambiare realmente questa infame società: contro le aberrazioni nazi-leghiste non servono, in sé e per sé, la "memoria" o il senso di giustizia, queste sono "narrazioni" alla ricerca del "cattivo" della storia, che mettono in ombra o ignorano del tutto le drastiche misure anti-proletarie adottate dal capitale in crisi, con le quali la democrazia pretende di giocare le sue carte per fare il miracolo di rianimarlo.
Diviene perciò necessario il progressivo radicarsi della coscienza proletaria e l'organizzazione degli elementi più sensibili della classe (e di chiunque rifiuti questo sistema sociale nocivo all'umanità e a tutti gli esseri viventi) nell'avanguardia politica, che indichi nel superamento complessivo del rapporto capitale-lavoro salariato l'obiettivo primario a cui si collega la lotta contro le articolazioni di questo rapporto, di cui la lotta al razzismo-fascismo è elemento importante
Occorre un lavoro di chiarificazione politico operato internamente al proletariato, strettamente legato agli obbiettivi di classe, di militanza cosciente dei rapporti di forza attuali, di promozione del patrimonio politico della classe che vada oltre generiche contrapposizioni "radicali", puntualmente snobbate dagli operai e dalla massa del proletariato, che suscitano clamore solo per stampa e tv borghesi.
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