Resoconto di una esperienza nell'alto Lazio

Alcuni nostri compagni sono intervenuti territorialmente nella zona dell'alto Lazio (o Etruria meridionale), in cui hanno partecipato a diversi momenti di mobilitazione, in particolar modo sulla questione ambientale, e sono intervenuti con le nostre posizioni politiche all'interno dei processi di aggregazione di diverse soggettività nati con lo scopo, almeno apparente, di dare sviluppo ai processi di lotta territoriale. In questa intervista il breve resoconto della loro esperienza.

Premessa

L'intervista seguente ad alcuni nostri compagni, presenti nelle lotte del loro territorio e partecipi all'attività del ”coordinamento” che ha preso vita su iniziativa di una serie di soggettività politiche fuoriuscite o critiche verso l'area della sinistra radical riformista istituzionale, ripone sul piatto una serie di questioni politiche che spesso si accompagnano alla nascita e alla traiettoria di questi “coordinamenti” e chiarisce la nostra impostazione politica e pratica nell'approcciarli.

Il primo dato è che questi “coordinamenti”, nati per lo più sotto la spinta di soggetti caratterizzati politicamente, anche lì dove si dicono formalmente di “lotta”, nella realtà vedono il prevalere e il riproporsi, anche in forma magari critica, della logica dei propri gruppi di origine nonché delle problematiche interne alla propria area di riferimento. Di conseguenza, lungi dal rappresentare un'espressione reale di un processo di lotta, rappresentano per lo più il punto di crisi che si è venuto a determinare sul piano della soggettività più o meno organizzata della propria area e il conseguente tentativo di dargli una risposta sul piano del concretismo immediatista. Nel caso in esame il criterio di fondo che ha guidato queste soggettività è stato quello di creare un “contenitore di lotta”, nel quale riproporre e riciclare la loro impostazione di origine per darle una caratterizzazione politica con le classiche posizioni del riformismo radicale e qualche “ mito comunista”. Sul piano della pratica concreta si è di fatto riproposto la concezione del “coordinamento” come il “motore politico” delle lotte e intorno a questo scopo si è azzerato il processo di dibattito e chiarificazione sia all'interno del “coordinamento” stesso che nella sua proiezione verso l'esterno, in nome del “prima tutto fare”.

Dal nostro punto di vista, pur avendo ben chiara la natura di questo organismo e della sua compagine, la partecipazione dei nostri compagni non solo si è attestata su precise discriminanti politiche, ma ha collocato il proprio agire nel valutare l'azione del “coordinamento”stesso. Contemporaneamente, dove ve ne fossero state le condizioni, si è sempre valutato quale ambito di lavoro si potesse aprire a processi reali di confronto e dibattito politico su contenuti classisti ed anticapitalisti nel collegarsi con le lotte effettive che si fossero date. In questo senso, emerge chiaramente la diversità di criteri e finalità alla base delle due impostazioni che si sono scontrate. La prima, quale momento di riciclo della propria impostazione politica, di fatto trovava il suo punto di riferimento e sbocco nel creare, per lo più, uno “ strumento agitatorio” della lotta e di dare un involucro organizzativo ai progetti politici della propria impostazione radical-riformista. La seconda, fuori dalla falsa alternativa fra il “fare” e il dibattito chiarificatore, puntava all'utilità di momenti aperti di dibattito volti alla conoscenza reciproca e con/delle le realtà concrete in movimento, alla ricerca della chiarificazione politica in senso anticapitalista, nonché a innestare processi reali di organizzazione su questo piano. Lo svolgimento concreto degli eventi metterà in chiaro lo scontro fra queste due impostazioni, la parola ai nostri compagni...

Qual è stato il senso della vostra azione sul territorio e come ha teso a concretizzarsi?

La nostra azione sul territorio fondamentalmente si è articolata intorno a quelli che sono stati i momenti di mobilitazione delle popolazioni locali sulla questione ambientale, in particolar modo contro la ventilata apertura della discarica di Cupinoro e dell'esperienza dei Comitati Uniti contro la discarica. Va detto, per capire il contesto, che questo movimento si fondava su basi fondamentalmente interclassiste e che i diversi Comitati di zona, pur dicendosi “ Uniti”, in realtà riflettevano molto le diversità localistiche fra comune e comune, nonché i collegamenti con le diverse batterie politiche del territorio. Oggi questo movimento appare molto impastoiato nelle sue diversità e nella logica dei ricorsi legali. Per quel che ci riguarda, pur stando dentro ai diversi momenti di mobilitazione, non ci siamo affatto legati alla sua prospettiva e alle sue contraddizioni, ma lo abbiamo visto come spazio concreto di intervento sia per farci conoscere sul territorio come compagni presenti nella lotta, sia per orientare su una posizione di classe, per quanto possibile, la lotta stessa. Questo in estrema sintesi.

Qual è stato il riscontro alla vostra azione?

Guarda, come dicevamo, ci ha sostanzialmente dato una riconoscibilità sul territorio sia come soggetti che più propriamente come compagni di “Battaglia comunista”, ci ha permesso di diffondere e far conoscere le nostre posizioni sia particolari che generali, di discuterle in diversi ambiti, in sostanza un'azione di “orientamento”: questo il carattere prevalente del nostro lavoro, più che quello di essere un riferimento effettivo. Ciò è dovuto in parte alla nostra debolezza materiale, ma anche al quadro dei problemi che attraversano il contesto territoriale.

Vi riferite?

Abbiamo sopra accennato come il movimento antidiscarica fosse prettamente, nella sua composizione e nei contenuti, sostanzialmente e marcatamente più interclassista di altri posti, dove le mobilitazioni ambientali hanno avuto il loro peso, e di come abbia avuto un ruolo negativo il fattore localistico. Questo fatto non discende dal cielo, ma rispecchia molto la composizione del territorio e delle relative stratificazioni sociali in cui la piccola-borghesia, locale o emigrata da Roma, ne è la parte più cospicua o comunque quella più attiva. Va detto che tutta la zona è attraversata da comitati e comitatini locali sorti sugli specifici problemi che stanno trasformando la zona - caratterizzata prevalentemente da agricoltura, turismo oltre che dei servizi locali - in un territorio in cui si sono aperti vasti processi di speculazione e cementificazione, nonché di riconversione delle vecchie attività in senso privatistico e funzionali al profitto. Un processo che sta travolgendo il vecchio assetto. La reazione immediata è quella di preservare le caratteristiche precedenti del territorio da questi processi. I più grandi centri cittadini si sono abbastanza ingrossati e la reale attività produttiva è indirizzata verso Roma. Il pendolarismo lavorativo è forte, tanto da trasformare queste realtà cittadine in veri e propri dormitori: ci si alza il mattino per andare a lavorare a Roma, si ritorna a casa la sera per mangiare e dormire. Le fasce proletarie di “nuova generazione” sono per lo più rappresentate dalle comunità straniere, in particolare quella rumena legata al settore dell'edilizia, mentre per le altre valgono i lavori stagionali, sopratutto durante la stagione estiva nel settore balneare e dei servizi annessi. Un settore che investe anche i giovani, soprattutto in cerca di prima occupazione, mentre è forte la componente giovanile femminile nel settore del piccolo commercio. Ambedue i settori ovviamente presentano un alto turn-over. Abbastanza rilevante è anche l'occupazione dei migranti nei lavori agricoli. Va detto che ci troviamo in un territorio a sostanziale egemonia PD, anche se ultimamente ha incominciato ad incrinarsi, cosa che ha visto una relativa affermazione dei 5 Stelle ( Civitavecchia) o di liste locali (Cerveteri). Alla sinistra del PD si è collocata per tradizione una rilevante presenza della sinistra radical-riformista (PRC e simili), ora in fase di piena crisi e implosione, tesa per lo più a mantenere i propri bastioni elettorali e istituzionali acquisiti. Per quel che ci riguarda, è sopratutto con la dinamica di implosione della sinistra radical-riformista istituzionale che nell'ultimo periodo si è incrociata la nostra azione politica. Sopratutto lì dove, passato il momento di alto delle mobilitazioni antidiscarica, una serie di soggetti fuoriusciti da quell'area ci ha proposto la nascita di un “coordinamento territoriale delle lotte”

Una coesistenza ben strana?

Sì, sicuramente. Potremmo dirti che ognuno lavora con il materiale che ha a disposizione. Molto più concretamente e politicamente parlando, avevamo piena coscienza sia di cosa vogliano dire in generale questi “coordinamenti” apparentemente creati dal basso, ma sostanzialmente fondati sulla presenza di soggettività politiche delle più disparate tendenze, sia nello specifico con cosa e con chi avevamo a trattare. La nostra azione politica si è basata su 2 punti fermi: 1) che questo coordinamento fosse effettivamente un punto di raccordo delle lotte effettive del territorio e quindi anche il più aperto possibile; 2) che l'azione del “coordinamento”, nell'incrociare le mobilitazioni, si facesse carico di unificarle, non solo come loro semplice sommatoria, ma lavorando affinché il “coordinamento” potesse rappresentare un ambito di aperto dibattito politico capace di sviluppare il confronto intorno a tematiche di classe ed anticapitaliste. Su questi due aspetti abbiamo basato il nostro profilo di azione ed indipendenza politica, partecipato alla fondazione del Coordinamennto Anticapitalistico dell'Etruria Meridionale (CAEM) e dato costante battaglia politica sui contenuti.

Com'è andata?

Che ci hanno cacciato abbastanza rudemente... (ridono)

Perché ?

Perché, ovviamente, la nostra presenza ha aperto un quadro di contraddizioni non più ricomponibile con la prospettiva che si aveva in testa dall'altra parte e che, di conseguenza, man mano che si andava avanti, le differenze sono venute alla luce in tutta la loro portata; poi, essendo noi in minoranza...

Qual era la differenza di queste prospettive?

Di noi, ti abbiamo già detto quali erano i nostri punti fermi; vogliamo solo specificare che per noi “anticapitalismo” non è una etichetta da appiccicare a qualcosa o un contenitore dove ci puoi mettere tutto e il suo contrario. Se la relazione con le lotte è fondamentale, lo è altrettanto il fatto che esse si misurano immediatamente, al di là del loro contenuto specifico, con il quadro delle compatibilità che questo sistema gli pone innanzi e che è alla base del deteriorarsi delle condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice e proletaria. Ciò vuol dire che nella lotta va affrontato questo problema. L' anticapitalismo non è il “tocco magico” che fa vincere le lotte, ma il punto di programma, diciamo noi, intorno cui si ricostruisce una effettiva forza ed identità di classe per l'alternativa a questo sistema, altrimenti si rischia di fare sempre un passo avanti e due indietro o, alla meglio, di rimanere al palo. Del resto, nella storia del movimento operaio, la questione “del pane e del lavoro” o del “riso e del sale” ha avuto la sua legittimità e la sua forza solo se legata ad un progetto di alternativa ed emancipazione complessiva dal sistema di sfruttamento. Oggi noi pensiamo che questo tipo di questione vada posta e, ancor prima che un parto delle nostre teste, è data dalla barbarie avanzante che produce il sistema capitalistico. Dalla maggioranza del CAEM abbiamo riscontrato come, alla volontà di rompere con la logica dei carrozzoni elettorali e partitici, si riproponesse su un piano generale non solo una visione della lotta al capitalismo più tesa a combatterne gli effetti che le cause, ma sostanzialmente, sul piano delle risposte politiche e pratiche, si andava a riesumare tutto l'armamentario fuori tempo massimo del keynesismo socialdemocratico, magari con venature localistiche, per mettersi in sintonia e in rapporto con le realtà del posto. Si arrivava a proporre dentro alla constatazione dell'arretramento di classe persino un ritorno ad un umanesimo premarxista, che aveva come ricaduta concreta il problema dell'uso della terminologia da usare, bandendo quei concetti o parole da sempre patrimonio del movimento operaio; ad esempio, la parola “classe” non era più idonea, all'espressione “prospettiva di classe” andava sostituito “cammino della speranza” ecc., perché ritenuti più “abbordabili” alla comprensione della gente. Ovviamente, anche se ci si diceva che i contenuti erano gli stessi pur con parole diverse, non è che fossimo così scemi da non capire. Ma diciamo che qui siamo ad un aspetto allegorico, se così vogliamo dire.

I soliti settari, insomma? Quelli che puntualizzano tutto a scapito dello scopo?

Assolutamente no, sapevamo benissimo che natura e funzione del coordinamento e prospettiva politica erano due aspetti intimamente legati, diciamo che fino ad un certo punto abbiamo fatto vivere le nostre discriminanti nella costruzione del percorso del CAEM che ancora veniva esplicitato come “organismo di lotta”. Il CAEM stesso, al di là del nome altisonante, era più che altro il comitato promotore della prima assemblea anticapitalistica sul territorio e su questo carattere di fondo vi era stata un'unità “formale” di intenti. I problemi iniziano nella costruzione della scadenza dell'assemblea anticapitalista e scoppiano successivamente quando viene immessa, e non da parte nostra, una serie di mozioni molto caratterizzate politicamente che danno una precisa identità politica al CAEM e all'assemblea stessa in preparazione.

Molto più concretamente a cosa vi riferite?

Ad una mozione sulla Grecia che ha fatto emergere e scoppiare le contraddizioni politiche. Una mozione per noi irricevibile, i cui passaggi strizzavano l'occhio al governo greco, pur nominando sempre “ l'eroica lotta del popolo greco contro la troika”, e lo stringersi di questo popolo intorno al “proprio Stato”, tanto per dirne una. La nostra controproposta non è stata presa in considerazione. Alle nostre contestazioni ci è stato detto che questa mozione era solo “strumentale” per le sensibili orecchie dei partecipanti. Una seconda mozione sui kurdi della Rojava, appena accennata nei sui tratti generali, completava il quadro. Sia l'una che l'altra mozione riprendevano nella loro sostanza tutta la retorica “ sovranista ed antimperialista” tanto in voga in una una certa sinistra lontana mille miglia da una reale impostazione internazionalista nella lettura e nello schierarsi in maniera idonea rispetto ai processi in atto. A quel punto lo scontro ha fatto emergere la sua essenza tutta politica. La nostra decisione in quel frangente è stata quella di andare comunque all'Assemblea come militanti del Partito Comunista Internazionalista interni al CAEM e non come semplici esponenti dello stesso coordinamento - la differenza può apparire di lana caprina, ma non è così - e di motivare politicamente e pubblicamente la non partecipazione al voto su queste mozioni. Un ulteriore problema da affrontare per gli altri, tenendo anche conto che avevamo la presidenza dell'Assemblea e la relazione di sintesi e chiusura delle relazioni introduttive. E ovviamente non poteva che palesarsi la reale natura degli intendimenti dei “nostri” nella loro azione.

Cioè?

Come abbiamo detto, il problema era duplice: alla reale natura e funzione del CAEM si collegava strettamente quello della prospettiva politica entro cui era inserito. Per noi era estremamente chiaro fin dall'inizio e negli spazi possibili abbiamo lavorato vedendolo come un ambito per collegarci alle altre realtà della zona e lavorare ad alimentare una prospettiva classista nelle lotte effettive che si fossero presentate. Avendo anche i piedi per terra di cosa fosse in quel momento iniziale il CAEM rispetto a quello che voleva essere o, peggio, era inteso nella testa di qualcuno. Per questo abbiamo anche criticato l'uso delle mozioni per un organismo neonato che va sostanzialmente ad una assemblea di presentazione della propria identità. In questo senso, l'assemblea, più che deliberativa, come era intesa con le mozioni, doveva rappresentare un punto di raccordo e collegamento delle diverse spinte e soggetti del territorio e soprattutto un momento di aperto confronto politico. All'inverso, le mozioni, fortemente orientate politicamente e rivolte ad un “pubblico sensibile” chiamato a schierarsi, mettevano in chiaro che il CAEM, nella logica dei suoi componenti di maggioranza, si andava a collocare e cercava il suo spazio e riferimenti principalmente all'interno dei processi di disgregazione e ricomposizione, con un carattere concorrenziale, dell'area in implosione dell'ex sinistra radical-riformista. L'ultima riunione del CAEM al quale abbiamo partecipato ha visto momenti di forte scontro politico. Il giorno dopo abbiamo ribadito tutte le nostre puntualizzazioni e discriminanti. La sera, con una breve nota dal titolo “Incompatibilità politica”, eravamo stati buttati fuori. E meno male che fino a quel momento avevano detto che le nostre differenze erano solo lessicali ma che il contenuto era identico. E questo ad una settimana dall'assemblea territoriale. Per inciso, ci hanno “garantito” (SIC) di poter intervenire all'assemblea senza problemi. Mah: visto che aveva i caratteri di assemblea pubblica e aperta, solo per noi internazionalisti servivano ulteriori garanzie!!

Guardando le cose dall'esterno e il loro esito, potreste apparire, alla meglio, come degli “ingenuotti”?

Non crediamo, anche perchè, lo ribadiamo, fin dall'inizio avevamo coscienza delle contraddizioni e che sia il CAEM che l'Assemblea anticapitalista erano ambiti di lavoro politico su cui intervenivamo con le nostre posizioni, coscienti che la nostra collocazione sarebbe andata mutando con il progredire delle cose, sia in senso positivo che negativo. E poi, del resto, come sai bene, in politica contano i rapporti di forza, a maggior ragione quando si tratta di dare un indirizzo politico. Averli costretti a conclamare la rottura politica ha significato che il giocattolino si stava inceppando e sono dovuti venire allo scoperto gettando la maschera.

Perchè non avete operato voi la rottura?

La domanda ha una sua logica.... sì, poteva anche essere. Ma diciamo che la “rottura”, come eventualità, era in fondo presente in nuce fin dall'inizio di questo rapporto e ciò era dovuto al fatto che il mantenere costantemente una nostra indipendenza politica e una coerenza di fondo fra parole e atti in ogni passaggio delimitava il campo costantemente. La “rottura” è stata in fondo l'opzione obbligata dell'altra parte di fronte alla nostra identità politica.

Avete partecipato alla successiva assemblea?

Sì, ma in verità abbiamo poco da dire. Dei contenuti dei relatori del CAEM abbiamo già detto, presenza molto scarsa; abbiamo fatto un solo intervento, che riprendeva tutte le nostre tematiche sulla situazione odierna, la necessità dell'alternativa e il socialismo, che, fra le altre cose, è stato il più apprezzato, e tolto qualche sassolino dalle scarpe... Per il resto, che dirti? Verso la fine, alla lettura delle mozioni quel poco di assemblea si era di fatto sfaldata e, per inciso, la mozione sulla Grecia, che tanto aveva pesato nella nostra espulsione, dal CAEM non è stata neppure letta o messa ai voti. Non sappiamo se perché ritirata, per la confusione del momento o per altro motivo. Possiamo dire, visto che veniamo sempre accusati di essere astratti e ideologici, che in realtà avevamo visto ben giusto nelle precedenti riunioni del CAEM nell'indicare sia un percorso molto più realistico nei passaggi di sviluppo dell'azione del coordinamento stesso che nel ridimensionare i sogni di gloria di chi ci stava di fronte. Gli esponenti del CAEM hanno deciso di proseguire sulla loro strada. Buone cose, diciamo noi. Non ci interessa certo polemizzare oltre con loro.

Qual è il bilancio che traete da questa esperienza?

E' stata una piccola esperienza ma comunque significativa. Ci ha permesso di approfondire la conoscenza della realtà in cui viviamo, soprattutto di ciò che si muove a livello politico, ed essendo un territorio enorme, non è semplice. Di venire in contatto con un'area politica come quella prodottasi dall'implosione-disgregamento dell'area della sinistra radical-riformista istituzionale e tastare con mano le sue contorsioni, le sue attitudini nella sua stessa crisi. Una area con cui spesso ci siamo sfiorati ma mai entrati in rapporto così diretto e che, dati alla mano concreti e verificabili anche nell'esperienza pratica, dà ragione a quanto abbiamo sempre detto, che poteva sembrare una critica generale o, peggio, ingenerosa verso compagni che comunque si davano da fare. Ulteriore dato è l'aver messo alla prova dentro la battaglia politica la capacità di articolare materialmente la nostra proposta e la nostra identità politica.

Bene, se questo è tutto, grazie per la vostra disponibilità.

Grazie a te, per la pazienza.

Giovedì, March 12, 2015