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Home ›Resoconto dell'assemblea del 18 gennaio 2015 a Milano
I tragici fatti di Parigi e della Nigeria sono stati solamente accennati, in considerazione dell’ampio spazio che i media hanno riservato alla cronaca degli avvenimenti (in particolare di quelli parigini). Una premessa è comunque indispensabile (quando il demagogico schema dello “scontro di civiltà” viene prontamente propinato all’opinione pubblica occidentale): per quanto barbari questi episodi possano apparire, ripropongono in scala sicuramente minore le tragedie legate agli interventi (più o meno umanitari) delle potenze occidentali (basterebbe ricordare le duemila vittime palestinesi dell’ultimo intervento militare israeliano, con più di cinquecento bambini).
La religione indubbiamente ancora oggi permea in profondità la vita individuale e sociale di buona parte del Medio Oriente; questo è ovviamente legato al peculiare percorso storico della regione, dove il potere politico si è giustificato e legittimato mediante la religione. In questo senso la storia saudita è paradigmatica, l’integralismo religioso (nella forma del wahhabismo) è stato utilizzato come forza militare per la conquista dell’impero e successivamente come strumento per legittimare la custodia dei luoghi Santi (la Mecca e Medina) e la difesa della fede da parte della casa reale. Lotta politica e lotta religiosa in queste realtà sono inevitabilmente interconnesse, come dimostra lo stesso scontro per l’egemonia ragionale fra Iran ed Arabia Saudita (non a caso lo stesso Stato Islamico muove l’accusa di apostasia alla casa reale dei Saud, ormai corrotta ed asservita al potere occidentale).
Nulla di nuovo sotto il sole, la religione è stata utilizzata storicamente più volte per giustificare guerre di ogni sorta; lo stesso nazismo faceva appello al sentimento religioso popolare (“Gott mit uns” - Dio è con noi).
Ovviamente analoghe parole d’ordine avrebbero una “presa” decisamente marginale nell’odierna società occidentale, dove l’intervento militare viene giustificato, con altrettanta ipocrisia, dalla difesa dei valori della democrazia, della libertà e della dignità umana. La manifestazione di Parigi in questo senso rappresenta un tentativo, per altro riuscito, di raccogliere il consenso e schierare la società civile europea sul fronte imperialista occidentale, alimentando una falsa contrapposizione fra un occidente democratico e difensore della libertà di espressione contro le nuove orde di “barbari tagliagole” (consenso che potrebbe essere utilizzato per giustificare anche politiche maggiormente repressive ed autoritarie, sempre utili per prevenire/soffocare un'eventuale ripresa della lotta di classe).
Nei fatti le potenze occidentali hanno esercitato un ruolo di egemonia ed ingerenza in tutta la storia moderna del Medio-Oriente, determinando la fine di imperi, delimitando arbitrariamente i confini, controllando stati ed intervenendo militarmente in diversi scenari bellici; le due guerre irachene, il conflitto in Afghanistan, l'intervento in Libia, rappresentano solo alcuni dei più recenti avvenimenti, in questo senso. Le devastazioni ed i massacri legati ai conflitti in Afghanistan ed in Iraq hanno alimentato e continuano ad alimentare, in buona parte del mondo arabo, ostilità e rancore nei confronti dell'occidente, offrendo “linfa” alle organizzazioni terroristiche. Nelle stesse periferie delle metropoli occidentali, una parte, seppur minoritaria del proletariato e sottoproletariato immigrato, tenuto ai margini della società, soggetto quasi esclusivamente a logiche di sfruttamento e discriminazione, privo di reali prospettive di realizzazione, si identifica nei nemici giurati di un sistema dal quale si sentono rifiutati.
D'altra parte l'IS (Islamic State), più che rappresentare un'alternativa, appare come l'altra faccia della medaglia del sistema medesimo; il progetto dell'IS, ossia la creazione di un nuovo califfato (che corrisponde alla massima espansione storica del mondo islamico, retto ovviamente dalla legge islamica), se sfrondato dalle vestigia ideologico/religiose, rappresenta il tentativo di creare un nuovo polo imperialista che trae la sua forza nella rendita petrolifera.
Anche la rivolta sunnita contro gli sciiti nel dopo Saddam è fondamentalmente rivolta contro il monopolio che lo Stato centrale esercita sulle fonti energetiche e sulle rendite petrolifere (si rimanda all'articolo di Prometeo “Iraq: il nuovo califfato dell'IS e le grandi manovre dell'imperialismo”, che nelle linee fondamentali e stato riproposto nel corso della riunione).
Diverse formazioni, che formalmente si definiscono comuniste e rivoluzionarie, stanno appoggiando (seppure “criticamente”) uno dei due fronti della borghesia in guerra, sostenendo il carattere anti-imperialista (essendo avverso agli interessi statunitensi) o progressista (lottando contro l'integralismo religioso) dei diversi contendenti; posizioni che non fanno altro che schierare il proletariato sul fronte delle diverse fazioni borghesi risultando fondamentalmente funzionali alla conservazione del capitalismo.
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