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Home ›Impostazione dell’analisi sulla composizione di classe
Pubblichiamo quest testo tratto da Battaglia Comunista del 1980. Benché siano passati tanti anni, riteniamo che la sostanza, le indicazioni metodologiche in esso contenute non abbiano perso nulla della loro valenza.
La classe operaia, nella società capitalista, si pone come antagonista all'altra classe fondamentale, la borghesia: ma malgrado le profonde e numerose crisi che hanno scosso il sistema di produzione capitalista, non è riuscita a diventare classe cosciente dei propri fini storici (tranne nell’esperienza vittoriosa della Rivoluzione d’Ottobre) e a conquistare la direzione della società con l’espropriazione rivoluzionaria della classe dominante. Il problema da prendere in esame é perché ad una data collocazione oggettiva non corrispondono comportamenti soggettivi adeguati; poiché questo é il problema intorno al quale ha sempre ruotato l’opportunismo senza trovare una soluzione se non quella di rincorrere la situazione esprimendo ora l’uno ora l’altro degli aspetti parziali, incapace di cogliere l’insieme complessivo della lotta di classe e quindi incapace di intervenire per il suo sviluppo rivoluzionario. L’ondata di lotta del ’68-’69 ha fatto sorgere numerosi gruppi, i quali sono cresciuti nell’illusione della rivoluzione imminente e altrettanto velocemente si sono sgretolati allorquando é stato chiaro che il movimento del ’68 era stato recuperato dallo stato capitalista perché essenzialmente riformista, cioè perché aveva rappresentato, attraverso la lotta rivendicativa degli operai, le aspirazioni degli strati piccolo-borghesi basate sui nuovi "modelli di sviluppo" e sulle riforme sociali. I resti del movimento '68 sono diventati espressione del nuovo opportunismo e ne ripercorrono i medesimi metodi. Rifiutano di definire la strategia rivoluzionaria sulla base dell’esperienza storica del movimento operaio e ricercano, ispirandosi alla loro "personale" sconfitta vissuta acriticamente, i "nuovi soggetti rivoluzionari". Ieri erano gli studenti, oggi sono gli emarginati oppure gli operai dell'industria, i disoccupati o gli occupati. Tralasciamo di entrare in merito alle varie componenti cui si devono tali ricerche empiriche (dall’Aut. Operaia ai teorizzatori della lotta armata, ai conquistatori di "libertà creatrici" nel privato) per abbozzare, secondo una corretta interpretazione marxista, i punti fondamentali ai quali si deve riferire un’analisi sulla composizione di classe e per i quali si unificano i diversi settori in cui la classe é divisa. Se é doveroso per i marxisti conoscere l’articolazione di classe e i motivi che l’hanno determinata, é altresì importante non assumere questo o quello strato del proletariato a oggetto dei propri esperimenti opportunistici, in virtù di pericolose "innovazioni" o per giustificare il proprio procedere politico fondato su posizioni staliniste, ormai definitivamente dimostrate, dall’esperienza di lotta politica della Sinistra Italiana, come controrivoluzionarie. E' quanto invece fa il gruppo Operai e Teoria nell’impostazione politica dell'intervento in fabbrica , incentrata sulla denuncia di una presunta identità di interessi fra aristocrazia operaia e capitale".
Come si definisce una classe? Quali sono gli interessi materiali che esprime? Scrive Marx: "Lavoro produttivo: nel sistema di produzione capitalistico é quindi il lavoro che produce plusvalore per chi lo impegna, il lavoro che trasforma le condizioni oggettive di lavoro in capitale e il loro possessore in capitalista, cioè il lavoro che produce il proprio prodotto come capitale. Pertanto quando parliamo di lavoro produttivo, parliamo di un lavoro socialmente determinato, di un lavoro che implica un determinato rapporto fra il compratore e il venditore di lavoro". E' ovvio che determinare le caratteristiche del lavoro produttivo é per Marx,ed i marxisti, determinare anche il concetto di classe operaia, che é unitaria sulla base della "unitarietà" del plusvalore generale estorto dal suo lavoro. Non é dunque il "mansionario" a determinare l’appartenenza di classe dei lavoratori, bensì il loro essere venditori di lavoro produttivo o meno. E' lo stesso Marx a ricordarci che i rapporti in cui il lavoro dei dipendenti si trova con l’oggetto della produzione (il capitale) é differente da lavoratore a lavoratore, potremmo dire "da mansione a mansione", "per esempio i manovali della fabbrica cui abbiamo precedentemente accennato, non hanno direttamente niente a che fare con la lavorazione della materia prima. Gli operai addetti direttamente a questa lavorazione stanno un gradino più su" (attenzione operai Breda: siete l’aristocrazia operaia rispetto ai caricatori del carbone). "l’ingegnere (addirittura) ha a sua volta un altro rapporto e lavora soprattutto con la sua testa" (beati gli ingegneri dei tempi di Marx) ... "Ma l’insieme di tutti questi lavoratori, che possiedono forze lavoro di valore diverso, produce un risultato, che si esprime alla fine del processo lavorativo, in merci o prodotti materiali: tutti insieme, come atelier, sono le macchine viventi di questi prodotti, cosi come, considerando l’intero processo produttivo, scambiano il loro lavoro contro capitale e riproducono il denaro del capitalista come capitale, cioè come valore che si valorizza, che si accresce". Ed ecco, di seguito, la spiegazione al mistero che Operai e Teoria crede di svelare scoprendo una aristocrazia operaia omogenea alla borghesia: "L’elemento caratteristico del modo di produzione capitalistico é appunto quello di separare e ripartire fra differenti persone differenti lavori - lavori intellettuali e lavori manuali o lavori in cui prevale l’uno o l’altro aspetto. Ciò tuttavia non impedisce- al prodotto materiale di essere il prodotto comune di queste persone o a queste persone di oggettivare il loro prodotto comune in ricchezza materiale e, tanto meno, impedisce o cambia nulla al fatto che il rapporto di queste singole persone rispetto al capitale, sia quello di un salariato, di un lavoratore produttivo in senso eminente. Tutte quante, non soltanto sono direttamente addette alla produzione di ricchezza materiale, ma scambiano direttamente , oltre al loro salario, un plusvalore per i capitalisti, Il loro lavoro consta di lavoro pagato, più pluslavoro non pagato". Queste lunghe citazioni del Capitale sono necessarie per dimostrare come gli attuali "scopritori" di Marx, con le loro, elucubrazioni sulla definizione di classe, sono al di fuori del marxismo e tendono a trascinarsi dietro anche altro. Se, cioè, l’analisi di classe viene svolta al di fuori e contro (giacché di questo si tratta) la teoria marxista del valore -lavoro e del rapporto capitale-lavoro, si rischia grosso di ricadere in qualcuna delle tante mistificazioni ideologiche borghesi circa la formazione del profitto che, per la borghesia appunto, non avverrebbe nell’ambito del processo produttivo complessivo ma altrove, nello scambio, nella concorrenza, ecc. Con questo non intendiamo dire che Operai e Teoria si riferisca realmente a qualche concezione antimarxista riguardo la teoria del valore-lavoro, ci limitiamo a segnalarne il pericolo, in quanto i ridicoli tentativi di interpretare, in termini di "mansioni tecniche", "una coincidenza di interessi materiali fra aristocrazia operaia e capitale, fanno a cazzotti con l’impostazione marxista del problema, restando privi d’altra parte di adeguati riferimenti teorici.
Lo sviluppo imperialistico del capitale, non smentisce l’analisi di Marx, bensì fornisce ulteriori termini di conferma. L’investimento di capitale finanziario, soprattutto in direzione delle aree meno sviluppate, é il mezzo attraverso il quale il capitale si espande e tenta di controbilanciare la caduta tendenziale del saggio di profitto, realizzando extraprofitti con i metodi più bestiali. Si vengono a instaurare rapporti di dipendenza economica e politica estremamente fluttuanti, di cui si avvantaggia il paese imperialista più forte, che acquista anche la possibilità di far avanzare, su un piano puramente contingente e temporaneo, consistenti strati del proprio proletariato e quindi a cointeressarli alla propria politica imperialistica. Questo dovrebbe farci concludere che l’operaio di catena della Fiat ha interesse all’investimento di Agnelli, ad es. in Argentina, perché cosi può conservare la sua posizione "privilegiata" rispetto all’operaio argentino. La realtà é ben differente, sia 1’uno che l’altro sottostanno, in condizioni diverse, ad un rapporto di sfruttamento determinato e sono entrambi interessa solo al suo superamento rivoluzionario. Il capitalismo (per le contraddizioni interne al processo di accumulazione), si é sviluppato in maniera diseguale - l’arretratezza di un paese é complementare e necessaria allo sviluppo di un altro ed ha determinato una divisione del lavoro corrispondente al processo di concentrazione del capitale con incremento di plusvalore relativo da un lato, decentramento e marginalizzazione con aumento di plusvalore assoluto dall'altro. Nella crisi queste caratteristiche si accentuano in quanto ogni singolo capitale deve, per fronteggiare l’accresciuta concorrenza prodotta dalla crisi, estorcere un maggiore tasso di sfruttamento della forza-lavoro. La ristrutturazione tecnologica si impone per contrastare la caduta del saggio di profitto ottenendo l’aumento della produttività del lavoro di un numero ridotto di operai occupati, mentre contemporaneamente si verifica un allargamento dell’area del lavoro marginale e della disoccupazione, Il problema centrale (irrisolvibile) per il capitale è quello di trovare un equilibrio nell’utilizzo della forza-lavoro, nel rapporto fra occupati e disoccupati. Non capire questo significa ridurre il ruolo del Sindacato a semplice portavoce di interessi, dell’aristocrazia operaia, che poggiano sulle briciole che il sistema nel suo complesso può ancora concedere a frange sempre più ristrette di operai, Cosi facendo non si tiene conto della funzione essenziale invece svolta dal Sindacato nella gestione della crisi, che si traduce nel controllo e nella manovra del mondo del lavoro per ottenere un rapporto di sfruttamento richiesto dalle esigenze del profitto.
Di sicuro, in Operai e Teoria, c'é inoltre un’errata concezione dei partiti cosiddetti operai a cui la loro definizione dell’aristocrazia operaia rimanda. Il PCI, per questo gruppo, non é un partito borghese, un partito del capitale, bensì un partito operaio la cui politica coinciderebbe con gli interessi del capitale, perché e in quanto la sua base sociale, l’aristocrazia operaia, vedrebbe coincidere i suoi interessi con quelli del capitale. Il marxismo spiega l’involuzione dei partiti comunisti sino all’approdo borghese in termini di sconfitta storica della classe, nel lungo processo controrivoluzionario in Russia e nel1’Internazionale: una classe sconfitta perde i suoi organi di massa, come tali, essi non esprimono più la classe, ma la sua sconfitta e gli agenti di questa sconfitta, cioè la classe nemica. D’altra parte, essi sono gli agenti politici di una esperienza che si è accartocciata nella controrivoluzione, e controrivoluzione significa capitalismo, borghesia - non importa se in veste di tecno-burocrazia di stato. I partiti della controrivoluzione sono partiti della borghesia, indipendentemente dall’appartenenza sociologica dei loro iscritti (a meno di chiamare partito operaio anche la DC).
Per Operai e Teoria, viceversa, l’essere filocapitalista del PCI risponderebbe invece al suo essere, e al suo lento divenire, partito dell'aristocrazia operaia. L’effetto, semmai verificabile, viene scambiato per la causa. Una ulteriore conseguenza teorica, non dichiarata, é che 'l’involuzione politica del PCI, il suo divenire partito filo-capitalista, é dovuta ad errori politici che sono le uniche possibilità di spiegare (poco marxisticamente) l’emergere della aristocrazia operaia come strato dirigente nel partito, Non cioè una controrivoluzione nelle cose che si trascina dietro il passaggio di fronte nei partiti, nella sovrastruttura politica, bensì errori politici, idee sbagliate che si concretizzano in movimenti politici. Un bel marxismo, non c’è che dire. Detto questo é anche ovvio che un conto é la collocazione di classe, un conto la soggettività di alcuni strati operai, esprimentesi nella loro temporanea collocazione politica. Più in generale, un conto é il definitivo porsi di un partito sul piano borghese, altra cosa é la sua contingente capacità di raccogliere fra gli strati operai (che poi siano solo i più elevati é tutto da dimostrare).
Da dove proviene questa sua contingente capacità?
Ancora una volta dalla scissione che il capitale é in grado di operare fra interessi storici e interessi immediati, piccoli privilegi, ecc. e dal contemporaneo occultamento dei primi che riesce a realizzare, specialmente agli occhi di chi i "piccoli privilegi" può ancora godere. La soggettività dei diversi strati operai é cioè condizionata dalla capacità di manovra della borghesia sugli interessi immediati, Non si spiegherebbe altrimenti il sopravvivere del capitalismo e contemporaneamente della dottrina marxista per ormai quasi due secoli.
Costruire "nuove" strategie ripercorrendo la strada dello stalinismo e accentuando le divisioni presenti nella classe si fa esattamente il gioco della socialdemocrazia , e si para dietro una rinnovata fraseologia rivoluzionaria la propria incapacità a fare i conti con l’esperienza movimentista del '68. Le avanguardie rivoluzionarie devono orientarsi in tutt’altra direzione e definire un programma politico unitario per un intervento riferito alla classe nel suo complesso, scavando a fondo nelle contraddizioni fra capitale e lavoro. Questo implica una precisa concezione del ruolo e della natura del Partito di classe, di come questo si inserisce e si lega alle lotte operaie per dirigerle in senso rivoluzionario. Sul prossimo numero di ·Battaglia Comunista affronteremo questo punto, per sbarazzare il campo dall’ambiguità e dall’opportunismo di cui sicuramente il gruppo Operai e Teoria é portatore.
V.B.Battaglia Comunista, 10 giugno 1980
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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