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Home ›Fate largo al nuovo Salvatore dell’Italia!
Non siamo solo noi ad affermare che Renzi assomiglia sempre più a Craxi e Berlusconi. Quest’ultimo, anziché essere affidato ai giudici di sorveglianza, è stato ricevuto da Renzi e amichevolmente introdotto nell’anticamera del ministero dello Sviluppo Economico e delle Comunicazioni. Il dicastero è stato infatti affidato ad una signora che non nasconde le sue simpatie berlusconiane; nell’agosto 2008, quale Presidente dei Giovani industriali, la Guidi affermava che il “conflitto d’interessi e le leggi ad personam sono aspetti che non importano un granché a gran parte dell’opinione pubblica”. Soprattutto a lei che, come appartenente alla categoria degli imprenditori, aveva ben altro a cui pensare: “siamo impegnati a trovare il modo di affrontare una competizione globale drammatica, di creare ricchezza per il paese, per le nostre aziende e per i nostri dipendenti”. Notate l’ordine decrescente; un ordine che dopotutto viene riconosciuto come “naturale”: la Guidi ha dichiarato quindi di “essere fatalista”…
Sempre a proposito di Berlusconi, Renzi si è subito rimangiato l’idea espressa nel settembre 2012: “Il cavaliere sarà il primo ad essere rottamato”. Ora dice di sentirsi in “piena sintonia” con Silvio e quindi lo ha pienamente rivalutato, mentre fra i rottamati si allunga la fila dei “colleghi” del suo stesso partito. Già, il PD: “quello chi”? E il “rampante” Renzi sfodera tutto il populismo e la demagogia necessarie ad un aspirante “Salvatore dell’Italia”. Gagliardo e spaccone, quel tanto da risultare simpatico anche alla compagine berlusconiana. Pitonessa compresa…
Il “convinto bipolarista” Renzi, con un colpo al cerchio e uno alla botte, si dichiara oltretutto un ammiratore del modello bipartitico all’americana. In nome del dinamismo e del movimentismo (una caratteristica affermatasi col trionfo globale del capitalismo e l’inizio della sua crisi agonica?) i capipopolo della classe borghese, di essa e del capitale difendendo gli interessi, affrontano i “tempi nuovi” e il dilemma che si presenterebbe fra conservazione e innovazione del sistema dominante. Renzi, in fondo all’animo suo, sostiene di ritenersi ancora uno di “sinistra”, o meglio di quella sinistra che idealmente si definisce “interessata alle istanze degli ultimi e degli esclusi” nella bella società borghese. Ma Renzi avverte subito che le cose sono cambiate in confronto al secolo scorso: non ci sono più le classi. Non le nomina come “classi” dai contrapposti interessi (borghesi e proletari) poiché ritiene “quei tempi” scomparsi. Erano, sì, dei “blocchi sociali” – così li chiama – ma non esistono più dal momento che oggi tutti fanno parte della “cittadinanza”, per cui anche i “partiti socialdemocratici post-marxisti” hanno esaurito il loro compito avendo “scardinato quei blocchi”.
Stiamo seguendo il “documento” rilasciato a Repubblica (23-2-2014) dove Renzi espone la sua “idea di destra e sinistra”; una personale visione che lo porta a ritenere che la “invenzione del welfare” abbia dato a tutti i cittadini (soprattutto europei) “l’opportunità di una vita materiale meno disagevole e di una esistenza più ricca d’esperienze”… Insomma, i cittadini sono stati liberati dai bisogni materiali e “possono realizzare se stessi”. Finalmente la “giustizia sociale” è pressoché fatta. Nessuno di noi – rimasti proletari nullatenenti! – se ne è accorto, ma siamo immersi in una nuova “prospettiva sociale ed economica, culturale e politica”.
Stando così le cose – sempre secondo Renzi – bisogna che la cosiddetta sinistra (quella parte del complessivo e unitario schieramento borghese) cambi i suoi comportamenti politici di facciata a fronte delle “nuove dinamiche sociali”, e si prepari ad affrontare una “nuova missione storica”. Si tratta infatti – aggiungiamo noi – di salvare il capitalismo in affanno. E qui il documento pubblicato da Repubblica si chiude e Renzi – finalmente al Governo perché l’Italia rinasca dalle ceneri – entra nei Palazzi e nelle stanze di un potere non più solo cittadino ma nazionale per sostenere “il mercato, le privatizzazioni, la riforma delle leggi sul lavoro e meno tasse su individui e imprese”.
In pieno interclassismo, bisogna prendere atto che ciò che conta in questi tempi è l’individualismo: ognuno si deve impegnare a cogliere le occasioni a lui più favorevoli. E chi ha saputo costruirsi un solido patrimonio, perché mai lo si dovrebbe penalizzare con tassazioni a quel punto fuori luogo? Se il 10% dei cittadini ha saputo arricchirsi fino ad accumulare metà della ricchezza nazionale, sarebbe persino controproducente metterlo in difficoltà. Sarebbe pericoloso per l’interesse nazionale!
Dopotutto, in una intervista al Foglio (8 giugno 2012). Renzi aveva dichiarato (da poco reduce da un incontro ad Arcore col Cavaliere): “Dimostreremo che non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore”. (1)
I deboli confini che – dietro i feticci della democrazia e della dittatura, entrambe al servizio del capitale e degli interessi borghesi – sembravano separare la destra dalla “sinistra” (quella borghese, a volte persino con la maschera “operaista”), si sono completamente dissolti. L’era delle contrapposte ideologie (?) sarebbe finita: tra guerra calda e fredda è costata – e costa ancora al proletariato e alle masse relegate ai confini del mondo cosiddetto “civile” – decine e decine di milioni di morti, sofferenze bestiali distruzioni e miseria per altri milioni di esseri umani coinvolti in una serie infinita di guerre locali. Mentre scriviamo, sono 36 le guerre in corso sul pianeta. Dietro le ideologiche coperture si affrontano gli interessi imperialistici.
Ciò che oggi sopravvive trionfante sarebbe un “pensiero unico”, magari con qualche zona grigia da rischiarare con un po’ di razionalità, sempre sorretta e… stipendiata dal capitale; a distinguere – fra gli addetti ai lavori – le une dalle altre le compagini politiche che dettano leggi nazionali e internazionali, sono i legami sotterranei con questo o quel gruppo industriale e finanziario-bancario.
Ed ecco il Jobs Act lanciato da quel simpaticone rottamatore di un Renzi, cresciuto negli ambienti del cattolicesimo fiorentino a fianco di Alfano; ex giovane democristiano portaborse, segretario provinciale (1999) del Partito Popolare e nel 2001 coordinatore e poi segretario provinciale della Margherita; nel PD si propone quale aspirante Padre della Patria. Addirittura con l’aspetto e i contenuti caratteristici ad un clone del personaggio Berlusconi in giovane età, oggi interdetto dai pubblici uffici e ormai prossino all’uso del pannolone per raggiunti limiti d’età.
Con legami presso il Vaticano e contatti con ambienti economico-finanziari degli Usa (così si dice) oltre che della City londinese, Renzi non trascura di curare gli interessi sia delle multinazionali sia del nostrano capitale industriale e finanziario. In attesa di una presentazione ufficiale del Jobs Act forse a metà marzo (già doveva essere varato entro gennaio.. ), la preoccupazione di Renzi è quella di sostenere l’accumulazione capitalistica, proponendo un ulteriore intensificazione di randellate sui lavoratori salariati, quelli che ancora hanno la “fortuna” di esserlo A cominciare dall’ormai “fu” Statuto dei lavoratori: lo si potrebbe “rottamare” del tutto entro otto mesi… Segue la riduzione delle troppe forme di contratto di lavoro ancora esistenti: se ne introdurrebbe una nuova, il contratto di inserimento a tempo indeterminato e a tutela crescente, sì, ma con tre anni di prova discrezionale da parte del “datore di lavoro”. Di sicuro col risultato di una estensione del lavoro precario (per i tre anni di prova) mentre verranno licenziati gli operai nel passato protetti (se pur relativamente) dall’articolo 18 il quale, oggi, praticamente non esiste più.
Ma Renzi figura ancora come qualificato politicante della “sinistra”: ritornerebbe quindi l’assegno per chi perde il lavoro, dopo che Cassa Integrazione e mobilità in deroga si restringono sotto i colpi di appositi decreti. Infine, affinché i capitalisti (gli imprenditori invitati ad essere onesti…) creino posti di lavoro, si riduce l’IRAP del 10%: chi riempirà i buchi nelle Entrate statali?
Entriamo più specificatamente nel pensiero di Renzi e ritorniamo alla scomparsa della contrapposizione tra “blocchi sociali”. Ma perché allora esisterebbe ancora una fantomatica “sinistra”, visto che non ci si può più appellare a un determinato gruppo o aggregazione sociale che si trovi in condizioni, diciamo, insoddisfacenti? La risposta di Renzi a questa domanda sarebbe la seguente: in un clima di socialità dinamica, vi sono ancora degli ultimi e degli esclusi, sì, ma se questi lo sono la colpa sarebbe di quel blocco sociale che ora non esisterebbe più, avendo però fatto al suo interno troppe discriminazioni e salvaguardato troppi privilegi. Questo perché se sono rimaste delle differenze, delle ineguaglianze, ciò dipenderebbe dal fatto che sono rimasti troppi i “protetti” a spese di altri che non lo sarebbero. Entriamo nel merito: rispetto a giovani senza lavoro, precari e pensionati alla fame, vi sono troppi cittadini (lavoratori e dipendenti pubblici col “posto sicuro”…) che godono e pretendono di conservare all’infinito alcuni formali diritti (fra cui quell’ormai ectoplasma che sarebbe l’art. 18). Diritti da cui altri sono esclusi e che comunque non possono più essere mantenuti come tali per nessuno.
Per uno come Renzi questa situazione è inaccettabile: si tolga quanto più si può ai vecchi “garantiti” e si dia qualche briciola ai giovani precari. Nelle fabulazioni culturali e sociali di Renzi il punto forte è appunto la divisione tra “il vecchio e il nuovo”. Si cominci perciò ad eliminare i contratti a tempi indeterminato per far posto ad una protezione tuttalpiù progressiva nel tempo, affinché siano eliminate garanzie immediate e troppo rigide. Inoltre, è tempo di avere maggiori differenzazioni meritocratiche nelle retribuzioni, e carriere non automatiche specie nella pubblica amministrazione.
Ma veniamo alla questione “soldi”. Si potrebbero persino “gonfiare” le buste paga mensili (al di sotto di 2000 euro netti) magari fino a 100 euro, poi ridimensionati alla metà, grazie ad un “alleggerimento” fiscale sul lavoro… Il famoso “cuneo fiscale” potrebbe alleggerirsi di 30 miliardi di euro all’anno (subito corretti in 10…). Già, l’operazione costerebbe però al sistema parecchi miliardi di euro all’anno (e il sistema ha le sue ferree leggi di entrata ed uscita…) che forse – per la serie “grandi idee” – potrebbero essere coperti dalle vendite di appartamenti delle Case popolari agli inquilini… Lo avrebbe voluto fare anche il Governo Monti che nel 2012 sperava di vendere immobili pubblici per 15 miliardi. I soldi avrebbero però dovuto andare al contenimento del debito pubblico…. Renzi pensa forse di aumentarlo?
Quanto alle pensioni d’oro, da queste Renzi preleverebbe un contributo pari a circa una media del 12/13%. Ha scoperto che 450mila pensionati ricevono un assegno mensile netto di 2.000 euro (un altro migliaio di euro, come minimo, su ogni assegno se li incassa lo Stato con tassazioni varie). Così facendo, il “contributo straordinario” assommerebbe a circa 4 miliardi, secondo calcoli del Sole24Ore, e sempre se quei pensionati se ne staranno buoni buoni, passivi e ubbidienti. Rimangono ancora ai massimi livelli (sopra i 15/20mila euro lordi mensili) complessivamente circa 1500 super-pensionati, dai quali poi in definitiva si potrebbe ottenere una cifra di pochi milioni di euro. Sempre ammesso e non concesso che gli interessati si lascino “democraticamente” alleggerire i loro piccoli malloppi!
Nel governo Renzi, aperto a “larghe intese”, i Ministeri chiave dello Sviluppo economico, del Lavoro e dell’Economia, hanno rapporti con più o meno scoperti centri di potere e gruppi di pressione. Ecco un Padoan, già consigliere di D’Alema e di Amato, direttore di Italiani Europei, capoeconomista prima del FMI e poi dell’Ocse e infine all’Istat. Quanto alla Guidi, chi meglio di lei per occuparsi di crisi aziendali, di frequenze tv del digitale terrestre (Mediaset?), di scorporo della Telecom, di riorganizzazione della rete dei distributori di carburanti e della riforma del mercato dell’Rc auto? C’è poi l’azienda famigliare e i suoi rapporti con i settori controllati dal ministero dello Sviluppo (energia elettrica, eolico, meccanica di precisione, elettronica), oltre a rifornire di prodotti i gruppi pubblici, attraverso il ministero del Tesoro, di Enel, Poste, Ferrovie dello Stato.
Che dire della nomina di Poletti al ministero del Lavoro, fervente sostenitore dell’autoimprenditorialità e di un sfruttamento della leva del servizio civile per favorire “molti sbocchi professionali”? Si tratta del presidente della Lega delle Cooperative, dove alcune imprese si spartiscono l’assegnazione degli appalti pubblici e para-pubblici, “grandi opere” comprese, con costi e profitti esorbitanti.
In conclusione, per Renzi – lo ha detto in una delle sue convention alla Leopolda – “non esiste una finanza buona e una cattiva ma esiste la politica autorevole che non è subalterna alla finanza”. Diciamo pure che finanza e politica (la loro) camminano insieme, altrimenti la società borghese esploderebbe! Dopo di che si possono ben capire le simpatie e i finanziamenti di alcuni personaggi addirittura condannati – in primo grado o in appello – per corruzione, turbativa d’asta, aggiotaggio informativo… Qualche nome che appare sulla stampa di lor signori: l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo (Isvafim Spa) con i suoi lucrosi appalti in lavori pubblici; F. G. Stevens (Simon Fiduciaria). E fra quelli “buoni”, al massimo frequentatori di “paradisi fiscali”: D. Serra (fondo Algebris) e organizzatore di cene con Renzi e la comunità finanziaria; l’imprenditore chimico G. Ghisolfi; il Consigliere di Banca Leonardo e figlio del finanziere Micheli; C. Testa (società Eva Energie) ed ex presidente Enel; O. Farinetti (imprenditore di Eataly), eccetera. Nel complesso un considerevole blocco di interessi, dove convivono rendite finanziarie e immobiliari, Banche, piccole e grandi imprese. E nelle prossime settimane si procederà a circa 50 nomine dei vertici delle grandi aziende pubbliche, fra cui Enel, Eni e Poste. Insomma, se gli interessi e gli affari in corso sono tanti, uno solo è il grido di dolore che si alza da destra a sinistra: aiutiamo il capitalismo a riprendersi quello sviluppo che solo lui ci può dare!
DC(1) Renzi non nasconde le sue “simpatie” per Pietro Ichino, senatore di Scelta Civica, e per Tony Blair, ora consigliere dei governi di Albania, Kazakistan, Colombia. Viene poi l’economista Zingales: laureato alla Bocconi, ha frequentato il Massachusetts Institute of Technology ed è membro di alcuni centri di ricerca americani ed europei. Fa parte come amministratore indipendente del consiglio di Telecom Italia; editorialista per il Sole 24 Ore; nel 2011 ha partecipato alla "tre giorni" della Leopolda di Firenze (Big Bang). Con O. Giannino nel 2012 ha fondato il movimento politico Fermare il Declino (FID): ha partecipato alla campagna elettorale del 2013, senza però candidarsi e poi abbandonando il tutto per le false credenziali accademiche vantate da Oscar Giannino… Infine, sarebbe stato riconosciuto, oltre a Draghi, fra i “100 pensatori più influenti al mondo”.
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