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Contro il capitale, occorrono lotta e partito di classe
Sono passati sette anni dallo scoppio della bolla finanziaria di subprime, ma il sistema capitalistico continua a essere preda di una crisi profonda. Non può essere diversamente, in quanto il saggio del profitto – la cui caduta aveva chiuso l'epoca del boom economico postbellico – non è stato ristabilito a un livello tale da far ripartire un nuovo ciclo di accumulazione su scala mondiale. Il ristagno e persino la diminuzione degli investimenti nei settori produttivi sono un sintomo evidente che la borghesia si aspetta profitti per lo più insoddisfacenti; per questo, da decenni ha imboccato essenzialmente due vie: l'aggressione permanente alle condizioni di esistenza della classe lavoratrice e lo sviluppo abnorme della speculazione finanziaria. Si tratta di due facce della stessa medaglia: l'intensificazione dello sfruttamento deve sostenere il profitto industriale e il parassitismo finanziario, a cui è subordinata l'economia internazionale.
La rivoluzione del microprocessore, la riduzione – e persino la scomparsa – delle grandi concentrazioni operaie (in “Occidente”), la delocalizzazione, accelerata anche dalla caduta delle barriere politiche che ostacolavano l'unificazione del mercato mondiale della forza lavoro, hanno sconvolto e rimodellato la precedente composizione di classe. Il lavoro salariato è stato messo in concorrenza verso il basso a livello internazionale, ai metodi di sfruttamento più moderni si sono affiancati massicciamente quelli considerati Ottocenteschi (mai scomparsi, per altro): l'allungamento dell'orario e della vita lavorativa, l'abbassamento del salario, oltre che l'aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro, con tutto quello che ne consegue per la salute.
Le trasformazioni nei processi produttivi, il saggio del profitto inadeguato, la formazione, come s'è detto, di un unico mercato della forza lavoro hanno creato un vastissimo “esercito industriale di riserva”, cioè un'area enorme di disoccupazione, che indebolisce oggettivamente le capacità di lotta degli occupati.
A rendere ancora più drammatico il quadro, si aggiunge la precarietà, in molti paesi diventata la principale forma di assunzione, per i giovani, in particolare, ma non solo. Lavoro a termine, part-time imposto, contratto a zero ore, finto lavoro autonomo: sono solamente alcuni esempi della “creatività” borghese per rendere il proletariato – ma anche settori di piccola borghesia impoverita e declassata – sempre più schiavo del capitale. In questo modo, non solo la spinta all'abbassamento del salario al di sotto del valore della forza lavoro (non si arriva a fine mese) riceve un aiuto potente, ma si accentua la frammentazione della classe e si rafforzano gli strumenti di intidimidazione-ricatto del padronato.
Tuttavia, alla borghesia la predazione del salario diretto non basta: per mantenere in vita un sistema economico in debito d'ossigeno (il plusvalore), si getta sulla predazione del salario indiretto e differito, cioè del cosiddetto stato sociale, di quello che ne rimane là dove esiste. Gli “aiuti” del Fondo Monetario Internazionale, i piani di “aggiustamento” dei conti pubblici nell'Unione Europea – per citare alcuni esempi – prevedono tagli spietati agli stipendi degli statali, alla sanità, alla scuola, alle pensioni, ai servizi sociali in genere, con ricadute pesantissime sulla stragrande maggioranza della popolazione. In Europa, il proletariato greco – e parte della piccola borghesia – è quello che, finora, sta pagando il prezzo più alto, ma la povertà (se non la miseria vera e propria) avanza a passi da gigante dappertutto. I ricchi diventano sempre più ricchi, il proletariato, il cosiddetto ceto medio (che per la sociologia borghese comprende gran parte del lavoro salariato “garantito”), i poveri in genere, sempre più poveri e più numerosi.
Nessuno nega che di fronte a un attacco capitalistico di questa portata, le condizioni per rispondere e contrattaccare si complichino di molto, ma non possono essere prese come scusanti dai sindacati, ai quali spetta un ruolo di primo piano nella predisposizione dello scenario delineato.
Il sindacalismo “ufficiale” ovunque si rende complice del padronato e dei governi, firmando, sempre, accordi peggiorativi, soffocando ogni espressione della lotta di classe che minacci di scavalcare le compatibilità economiche, confermando in tal modo di essere la cinghia di trasmissione degli interessi borghesi dentro la classe lavoratrice. Il sindacalismo cosiddetto alternativo, si è dimostrato impotente a condurre un'azione di contrasto efficace nei confronti degli attacchi del capitale, rincorrendo un riformismo radicale incompatibile – dunque illusorio – con la struttura del capitalismo attuale e, in particolare, con la fase di crisi strutturale da cui è preso. I sindacati dei paesi “in via di sviluppo”, spesso perseguitati come nell'Europa dell'Ottocento, benché a volte alla testa di di lotte generose, non superano l'orizzonte economico borghese, coerentemente con la natura del sindacalismo stesso di mediatore (di parte operaia, in origine) della vendita della merce forza lavoro su mercato.
All'azione paralizzante del sindacalismo – e dei partiti della sinistra borghese – si aggiunge un altro elemento, non secondario, che intossica e devia le coscienze proletarie: il nazionalismo. Privata della speranza in un'alternativa al capitalismo con il crollo del falso “socialismo reale” (in realtà capitalismo di stato), la classe operaia non di rado cade nella trappola di chi vuol far credere che padroni e operai, sfruttatori e sfruttati abbiano gli stessi interessi, in nome della patria. E' un vecchio e sporco trucco, ma che continua a funzionare se e quando il proletariato perde la propria identità, accetta la divisione in classi della società come una cosa normale e, dunque, non spera né tanto meno è disposto a lottare per un mondo diverso, diventando così massa di manovra e carne da macello degli scontri scatenati dagli opposti interessi borghesi.
La reazione della nostra classe, di fronte agli attacchi sempre più violenti del capitale, è stata finora molto debole, soprattutto nei paesi “avanzati”; in quelli “emergenti”, dove sono cresciute grandi concentrazioni operaie, si sono avute grandi lotte che, nonostante la – scontata – violenza repressiva delle forze dell'ordine borghese, hanno talvolta potuto raggiungere qualche risultato sul piano salariale. Tuttavia, il capitale anche in quelle zone comincia a rispondere non solo con la repressione, ma con la delocalizzazione verso luoghi in cui il costo della forza lavoro è ancora più basso.
E' l'ennesima dimostrazione di come gli spazi per le lotte rivendicative sia siano ristretti fortemente, con l'avanzare della crisi e del parassitismo finanziario, in particolare nella “metropoli” del capitale. Questo, però, non vuol dire che non abbia senso lottare, al contrario! Bisogna farlo, per strappare quello che è possibile strappare, per cominciare a rispondere, rallentandola, all'aggressione del capitale, ritessendo l'unità della classe oltre le divisioni di categoria – obiettivo fondamentale – a partire sì dal terreno “economico” (tra altro, da qui, in genere, la classe comincia a muoversi), per portarlo sul piano politico di attacco contro la borghesia. E' un salto di qualità necessario sempre, più che mai nella crisi capitalistica. Non è un passo semplice e in ogni caso impossibile, in mancanza dello strumento politico della lotta di classe: il partito rivoluzionario.
Tanto nella “metropoli” quanto nei paesi “in via di sviluppo”, emerge in maniera drammatica l'assenza di un punto di riferimento classista che possa aggregare le punte più avanzate del proletariato, sulla base di un programma coerentemente anticapitalista. Manca, in poche parole, l'avanguardia politica internazionale e internazionalista che sappia captare e dirigere l'energia sprigionata dalla classe proletaria all'attacco non di questo o quell'aspetto dell'oppressione capitalistica, ma dell'intero sistema.
L'aumento dello sfruttamento, la devastazione ambientale fino alla compromissione della vita del pianeta, la violenza e la guerra sono quello che può offrirci la borghesia, se il suo modo di produzione non viene buttato tra i rottami della storia. La Tendenza Comunista Internazionalista, di cui il PCInternazionalista è parte, ha questo obiettivo: unisciti a noi!
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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