Lavoratori, non fatevi ingannare dal nuovo governo dei padroni!

Lavoratori, precari, disoccupati, esodati, licenziati, cassintegrati, pensionati, giovani senza futuro,

l’ennesima faccia nuova con la quale la borghesia oggi vi si presenta (quella del giovane e gagliardo “sindaco rottamatore”) avanza l’ennesima stucchevole promessa, sperando che abbocchiate anche stavolta! Magari anche dietro l’abbaglio di qualche “strabiliante” regalino…

Cambiare le facce…

Cambiare le facce dei loro fedeli servitori istituzionali, per i veri padroni, per i ricchi borghesi, oggi è talmente diventata una necessità che si costruiscono ormai a cadenza annuale governi identici l'uno all'altro (nel programma e persino nella stessa, solo in apparenza rissosa, compagine partitica che li sostiene): una disgustosa gara tra chi è più bravo, fra i maggiordomi politici dei padroni, ad ingannare, col suo bel fraseggiare e il suo giovanile ammiccare, chi lo ascolta perché abbocchi del tutto inebetito all'ennesima "promessa".

Ma chissà quanto ancora può continuare questo gioco, perché intanto la crisi assume giorno dopo giorno le dimensioni e la profondità di una catastrofe sociale, di un abisso di miseria e disperazione per un numero sempre crescente di persone, purtroppo destinato ad aumentare drammaticamente.

Cambiare quelle facce sembra insomma essere rimasta l’ultima carta da giocare nelle loro mani, nel costante tentativo di svolgere e condurre a termine diligentemente il loro unico compito: quello di garantire ad ogni costo la sopravvivenza del fallimentare sistema del quale sono espressione e dei cui vantaggi e privilegi essi interamente godono. Senza avvertire alcun morso della crisi né per sé né per il loro spavaldo gozzovigliare, le loro disgustose manfrine e lo spasmodico accrescimento delle loro ricchezze, essi persistono pure nell’ostentare la più sfrontata e altezzosa arroganza, quotidianamente documentata dai talk show di mezzo Paese.

Un compito, il loro, imposto “non” dall’Europa – come ben sottolinea Renzi – ma dagli interessi dell’italica “nazione” che essi rappresentano (leggi: quelli della classe padronale italiana e non solo: anche gli investitori esteri sono i benvenuti a sfruttare le “nostre” maestranze!).

L’ennesima promessa…

Ed eccola l’ennesima promessa:

«Ridurremo il cuneo fiscale e faremo in modo che da tale riduzione venga fuori anche qualche briciolina per voi lavoratori, perché i vostri consumi possano aumentare!» Ovazione!

Perché – vi si dice correttamente – se io prima vi affamo, non vi faccio arrivare neanche a metà mese convincendovi a subire di tutto, mantenendovi sotto ricatto, e vi ho pure già eroso tutti gli eventuali risparmi che voi eventualmente foste riusciti a mettere da parte, con anni di sacrifici, “per tutte le evenienze”, come si dice, e poi benevolmente vi concedo l’elemosina di “qualche decina di euro in più in busta paga” (ma in busta paga di chi?!), è chiaro che … mica li potrete risparmiare: no, no, li spenderete tutti e – come per miracolo – l’economia riprenderà fiato! Altra plateale ovazione!

Peccato che non ci dicano che a fronte di quelle poche decine di euro in più in busta paga – ammesso che arrivino! – saremo costretti a pagare tasse ancora triplicate: dirette e indirette, rigorosamente imposte - e riscosse pure - “a livello locale” anche per conto dello Stato centrale! Altro che abbassamento delle tasse!

Del resto l’incubo dei 50 miliardi annui previsti dal famigerato “piano di rientro dal debito” per i prossimi decenni non è ancora iniziato, ma sta tutto lì, scritto e sottoscritto, nero su bianco: inizierà molto presto e non è affatto uno scherzo!

E dunque il taglio della spesa pubblica avanzerà inesorabile e di pari passo, come il “buon” Renzi si è affrettato a precisare. Taglio che ovviamente – come il “buon” Renzi si è invece ben guardato dal precisare - sarà interamente concentrato sul capitolo “spesa sociale” (sanità, scuola pubblica, trasporti, servizi, assistenza) – come già avvenuto in Grecia, in Spagna, in Portogallo e altrove: tagli e ancora tagli che si rivolgeranno come un boomerang sui salari malamente “risollevati” da quella ridicola manciata di euro – poche decine -, e che si tradurranno in ovvie maggior spese reali per i lavoratori che quei servizi, se li vorranno, dovranno acquistarli privatamente o pagarli di tasca propria e molto più a caro prezzo di quanto non facciano già adesso. Ma…

«Il tempo delle vacche grasse è finito!» – ci dicono – «avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità!» e dunque addio welfare: il bel sogno è finito, andato in fumo, puff!!! La bella carrozza sulla quale ci avevano illusi di stare tutti è tornata ad essere una zucca, e per di più pure marcia!

Insomma: nelle tasche entrano – se entrano – 100 ed escono – se ci andrà bene - 300!

Devono averci scambiati per emeriti fessi. Ci chiediamo: ma non è che, per caso, gliene abbiamo dato l’occasione, il motivo?

La falsa neutralità dello Stato…

Lavoratori, precari, disoccupati, pensionati, giovani, compagni,

non lasciatevi ingannare ancora!

Nessuno può “costringere le imprese, i padroni, a non de localizzare”, nessuno può “impedire che i piccoli imprenditori rimangano (come sono…) schiacciati” - nella sempre più feroce competizione globale - dalla (pre)potenza dei sempre più concentrati grandi colossi multinazionali; nessuno Stato potrà “salvare le piccole imprese” che chiudono e “garantirvi” il posto di lavoro (se ancora avete il privilegio di avercelo, quel posto!) o addirittura un “reddito di cittadinanza” senza neanche muovere un dito, come qualcuno vi promette. Il paese dei balocchi lasciatelo immaginare pure a Pinocchio e Lucignolo!

Lo Stato cosiddetto “neutrale” di cui vi hanno sempre parlato è quello che da decenni (mica un giorno!) ha fatto e fa gli interessi dei padroni attraverso le sue leggi: miliardi e miliardi di agevolazioni, incentivi, enormi privilegi e sconti fiscali, finanziamenti a fondo perduto regalati alle imprese.

È lo stesso Stato cosiddetto “neutrale” che con le sue leggi – e grazie alla piena e preziosa collaborazione dei vostri “falsi amici” sindacati d’ogni ordine e grado – ha regolamentato il mondo del lavoro e smantellato una ad una ogni “tutela”, “certezza” e “garanzia” per i lavoratori: ha introdotto il precariato, incrementato la flessibilità in entrata e in uscita dal mondo del lavoro, eliminato l’articolo 18 e smantellato lo Statuto dei Lavoratori (timido argine contro lo strapotere padronale e, allo stesso tempo, sonnifero per la classe operaia), ridotte le pensioni (il vostro salario futuro differito) e ingigantito i tempi per arrivare a percepirle, eliminato la scala mobile, trasformato in esodati migliaia e migliaia di lavoratori per lunghi anni a venire, condannato i nostri figli ad anni di precarietà con lavori saltuari e a breve scadenza, contratti di apprendistato senza tutele e rigorosamente sottopagati.

A questa offensiva che va avanti a tappe forzate ormai da 40 anni, sin dagli accordi sottoscritti dalla CGIL di Lama (la famigerata “svolta dell’EUR” del 1977) che inaugurarono la politica della cosiddetta “moderazione salariale”, si è aggiunto il peggioramento progressivo delle condizioni di vita all’interno dei luoghi di lavoro con:

  • la riduzione degli organici
  • l’aumento dei ritmi
  • l’aumento dello straordinario, del lavoro notturno, del lavoro nei sabati, ecc.
  • la riduzione delle spese per la sicurezza sul lavoro e la sicurezza degli impianti, nonché di quelle per la tutela della salute stessa dei lavoratori e delle loro famiglie.

In estrema sintesi:

  • precarietà
  • disoccupazione dilagante
  • proletarizzazione crescente dei ceti medi
  • lavoro nero e lavoro sottopagato
  • aumento della tassazione diretta e indiretta
  • riduzione dei livelli salariali reali a fronte di un inasprimento dei ritmi lavorativi e di un peggioramento generale delle condizioni stesse del lavoro e della sua sicurezza (1)

Voi siete rimasti in silenzio, vi siete fidati e affidati ai vostri “sindacati”, complici di tutto questo, avete deposto le armi, li avete delegati a distruggervi, vi siete fatti ingannare: li avete lasciati fare indisturbati e loro… hanno fatto di tutto e di più! Cosa credevate?

Quello stesso Stato cosiddetto “neutrale” oggi – dulcis in fundo – non farà altro che completare la grande opera: introdurre, con il tanto osannato jobs acts, la possibilità per le imprese di sfruttare i lavoratori alla “massima” flessibilità possibile per il minor salario possibile, fino a quel limite di 1 euro l’ora previsto dai famigerati “one-euro jobs” introdotti in Germania dal socialdemocratico Schoeder già nei tardi anni Novanta (eccolo uno dei motivi del successo della cosiddetta “locomotiva tedesca”!!!). Con in più l’ulteriore ricatto di non poter rifiutare qualsiasi tipo di lavoro, e a qualunque condizione, vi venga “offerto”: pena il non poter usufruire delle poche decine di euro sbandierate e rubriacate alla eventuale voce “reddito di cittadinanza” o “sussidio di disoccupazione”.

Dov’è finito il vostro coraggio, la vostra unità, la vostra solidarietà?

Avete forse dimenticato tutto questo?!

Sono persino riusciti a togliervi, oltre la memoria, quel coraggio e quella solidarietà e unità che, se volete, siete capaci – eccome! - di esprimere, ma che sembrate aver dimenticato e che ormai da decenni essi calpestano mantenendovi divisi, ciascuno chiuso nella sua prigione aziendale o categoriale, e tenendovi sotto il ricatto sempre più stringente del «o così, zitti e buoni, o noi imprenditori si va via, eh?!».

Ennesima minaccia fondata sulla paura: oggi, però, le imprese, via ci vanno lo stesso, in barba ai sacrifici che vi hanno costretti a fare, ai ricatti che vi hanno costretti a subire, alle sciocche promesse che vi siete bevuti in un unico sorso!

Ieri è toccato ai vostri compagni della Fiat, e voi avete tirato una boccata d’aria: stavolta siamo salvi! Ciascuno è meglio che pensi ai problemi di casa sua, della “sua” azienda: solidarietà a parole, certo (ci mancherebbe!) ma per il resto meglio restare zitti e buoni, sopportare di tutto pur di non perdere il lavoro.

Poi è toccato ai vostri compagni delle aziende dell’indotto Fiat costrette una ad una, per la “migrazione” dell’azienda-committente, a chiudere o al più a delocalizzare così come ha fatto la ditta “appaltatrice dei loro affari”. E voi giù, altra boccata d’aria: salvi anche stavolta!

Oggi tocca ai vostri compagni di Electrolux, e di innumerevoli altre piccole, medie e grandi aziende (italiane come estere) operanti in Italia.

Domani e ogni giorno a venire spetterà ad altre migliaia di voi e alle vostre famiglie. Il baratro sociale inghiotte intere aree produttive del paese, gettando sul lastrico migliaia e migliaia di famiglie. E quello dei lavoratori gettati nella miseria e nella disperazione diventa ogni giorno di più un esercito sì, ma di sconfitti e di rassegnati, di cui se non tutti, certamente tanti, tantissimi prima o poi entreranno a far parte. Credere ancora di potersi salvare significa solo rinviare l’ora del patibolo.

Finchè crederete ancora si possa trattare di un problema da risolversi ciascuno a casa propria?!

L’unica possibile soluzione della crisi secondo i borghesi…

Lavoratori, precari, disoccupati, pensionati, giovani, compagni,

smettiamola di farci prendere in giro!

Nessuno può o intende costringere le imprese, i padroni, a non delocalizzare, nessuno Stato potrà salvare il vostro posto di lavoro, se questo contrasta con gli interessi del padrone!

L'unico modo che i padroni hanno per fronteggiare la loro crisi - nella giungla di una competizione mondiale sempre più agguerrita - è abbassare il costo del lavoro (una delle principali componenti – e in ogni caso, quella su cui è più facile agire - dei loro costi di produzione), per ridare fiato ai loro profitti e per acquisire quella competitività necessaria delle loro aziende e poter così vendere le loro merci ad un prezzo inferiore rispetto ai concorrenti mondiali. Questo si è fatto in Germania alla fine degli anni Novanta, questo si fa oggi in Grecia, in Spagna, in Francia, negli States, OVUNQUE! E questo si farà anche in Italia... e lo si sta già facendo.

C’è solo un modo con cui lo Stato "convincerà" i padroni a rimanere sul patrio suolo a sfruttare i loro, di operai, anziché i vostri compagni polacchi o serbi o rumeni: ridurre i salari degli operai italiani allo stesso livello di quello degli operai polacchi o serbi! Del resto l’enorme numero di disoccupati e di disperati senza lavoro gioca come sempre il suo fondamentale ruolo di “esercito di riserva”: un immenso serbatoio di disperati da cui il padrone può attingere in qualunque momento davanti al vostro eventuale rifiuto di abbassare ulteriormente i salari: «Se non ti va bene – vi risponderanno – al tuo posto ne trovo quanti ne voglio disposti ad accontentarsi!».

L’altro strumento di “convincimento a restare” sarà agevolare e detassare le imprese ancor più di quanto non si sia già fatto, mettendo ancora una volta a carico della collettività (ossia di noi lavoratori) il costo di questo ennesimo “regalo”: facile comprendere come quella grossa parte di spesa sanitaria coperta oggi proprio dal gettito “Irap” (che si richiede di ridurre) necessiterà di nuove coperture o, come è prevedibile, di ulteriori drammatici tagli alle prestazioni. Eccola lo sostanza del mitico jobs act di Renzi!

Presunzione, la nostra?!

A tanti coi quali parliamo, la nostra capacità di prevedere quanto avverrà, a breve, sulla scorta di quanto accade già da decenni, appare “presunzione”.

A costoro rispondiamo che la nostra memoria non è cancellabile e che in realtà, lungi dall’essere effetto del possesso di particolari sfere di cristallo, tale capacità ci deriva semplicemente dell'aver compreso da lungo tempo - per averlo analizzato da altrettanto lungo tempo e su scala planetaria oltre che storica - come funziona il capitalismo (allo stesso identico modo in ogni parte del pianeta, vi assicuriamo!) e la reale origine delle sue crisi strutturali che a distanza di più o meno pochi decenni esplodono inesorabili e inevitabili, rendendo del tutto vane, fino ad azzerarle, tutte le labili "conquiste" ottenute con le battaglie condotte nel passato per i “diritti”, le “garanzie”, le “tutele” e quel falso benessere spacciato come acquisito definitivamente (e che acquisito, come vediamo, non è affatto!). Ora è giunto il momento che a comprenderlo siate anche voi, compagni e compagne.

Ogni risparmio, ogni risorsa, tutto ci verrà tolto, senza alcuna pietà, cambierà solo il metodo: per ora (e finché si potrà) lo si fa "democraticamente" e attraverso il gioco delle “facce nuove” che ci convincono d’essere tutti sulla stessa barca (già, ma tutto sta a capire chi sta al timone e chi nelle luride stive…) e che ci implorano di “collaborare” in nome del sacrosanto interesse e orgoglio della nazione; domani, si ricorrerà alla repressione sociale più brutale, alla violenza più diffusa, se tutto quello non basta.

La nostra unica forza…

Lavoratori, precari, disoccupati, pensionati, giovani, compagni,

la nostra forza è non cedere oltre al ricatto e alla paura: averlo fatto sinora ci ha solo divisi, inebetiti, indeboliti oltre ogni limite, condotti ad abbandonare quella solidarietà nella lotta che deriva dal nostro essere un’unica classe dal triste destino e dagli interessi davvero comuni: condotti ad abbandonare quella solidarietà e quell'unità che, sole, possono renderci forti e vincenti, che nei migliori anni delle nostre lotte sono state il migliore strumento avessimo in mano e la nostra unica grande forza!

La nostra lotta, unitaria, organizzata, è l’unica strada che uniti e compatti dobbiamo percorrere insieme. Perché il triste destino dell’uno è purtroppo lo stesso triste destino dell’altro: è solo questione di tempo, lo abbiamo visto!

Ma si tratta di una lotta che deve finalmente uscire del tutto dai limiti angusti non solo della paura e del ricatto, ma anche della delega e dell’illusione di poter ancora “contrattare” qualcosa (magari piegando ancora un po’ la testa e la schiena, come ci chiedono) e di poter così ottenere dai padroni l’ennesima briciola che ci consenta di non morire di stenti.

Lo abbiamo forse dimenticato?!

Siamo noi a produrre la ricchezza sociale: siamo noi a dover gestire, organizzare, pianificare la produzione e la distribuzione di questa ricchezza!

Per far questo dobbiamo però liberarci del “parassita sociale” che ci impedisce di ridurre la fatica del nostro lavoro a poche ore giornaliere, distribuendolo fra tutti, per ottenere per l’intera società il massimo benessere col minimo sforzo: tutto ciò che ci occorre e molto di più.

Eccola la finalità del nostro modello di organizzazione economica e sociale che qualcuno spaccia per “utopia”: la piena soddisfazione dei bisogni sociali di ciascuno, nessuno escluso. È l’enorme potenziale produttivo di cui disponiamo in tecnologie e tecniche produttive che lo rende possibile da subito e niente affatto una chimera!

Quel parassita sociale si chiama “capitalista” e la sua unica finalità – del tutto contrapposta e inconciliabile con la nostra – è il profitto. Ciò che garantisce e perpetua il suo parassitismo è il suo sistema, il suo mercato, le leggi ingovernabili (persino da parte dei loro migliori economisti e dei loro migliori governi!) della sua giungla fatta di anarchia produttiva e di competizione selvaggia all’ultimo sangue.

L’impresa capitalistica mira “solo” al profitto: esso è il solo cibo, il solo guadagno di questo parassita sociale. Questo guadagno, però, non proviene affatto dal suo lavoro ma dal nostro: da quella parte del nostro lavoro quotidiano che il capitalista non ci remunera e che si intasca interamente per sè.

La società nel suo complesso viene così depredata di quella enorme ricchezza che è frutto del lavoro sociale collettivo, di quella ricchezza che noi produciamo col nostro sudore e che il capitalista mette in tasca utilizzando il nostro lavoro salariato (fatica, competenze, abilità nostre!), e per di più spacciandosi per il vero “motore” dello sviluppo, che è invece interamente e unicamente il risultato e merito del nostro lavoro.

La competizione capitalista non può che essere “selvaggia” e in nessun modo “addomesticabile” come vogliono farvi credere, perché ogni padrone, ogni impresa, pensa a perseguire il suo profitto: è un continuo scontro che lascia in piedi solo le belve più forti!

La ricchezza sociale prodotta cresce ma a noi – che pur producendola dobbiamo poi “acquistarla” sotto forma di merce – non è più consentito consumarla, perché i nostri salari non valgono più nulla!

Essa si accumula così nelle tasche di sempre più pochi lasciando ai più le briciole (quando ci sono): si trasforma in lusso e in immani proprietà immobiliari e finanziarie “per sempre più pochi”, in miseria, fame e disperazione “per intere moltitudini di disperati”. Ciò avviene sull’intero pianeta da secoli, sotto i nostri occhi di occidentali distratti o disinteressati a tutto ciò che avviene fuori dal nostro mitico mondo sviluppato e tecnologico; ma oggi questa realtà è arrivata anche in quei nostri lindi cortiletti di casa nei quali ci siamo beatamente rinchiusi per decenni e che fino a pochi anni fa ci sembravano immuni da ogni pericolo, inespugnabili.

Il parassita sociale e la sua preda…

Non si può “convincere” in alcun modo un parassita a mollare la sua preda, perché da essa egli trae il suo nutrimento, e il suo distacco provocherebbe la sua morte. Sarebbe come pretendere che di sua iniziativa esso si suicidi.

Esso ne va dunque separato a forza, e con esso va scardinato radicalmente il sistema economico che lo alimenta e che si traduce in un infernale e sempre più asfissiante e violento dominio sociale che affama sempre di più la maggioranza per dar da godere sempre di più ad una minoranza.

Quel “sistema” è il capitalismo: un sistema che si fonda sulla necessità di far denaro ad ogni costo perché il capitale finale realizzato sia maggiore di quello inizialmente investito, perché alla fine vi sia un “guadagno”: è questa l’unica molla che mette in moto il cosiddetto “motore” della produzione capitalistica e che, per far questo, usa le macchine e le tecnologie più sofisticate e produttive invece che per liberarci dalla fatica e dal tempo del lavoro subordinato, salariato, per accrescere quella fatica oltre misura e, invece di distribuirla, la concentra da un lato sulle spalle già esauste di sempre più sfruttati sull’intero pianeta, dall’altro - nelle luccicanti metropoli dell’occidente - espelle milioni di lavoratori rendendo di fatto dei “privilegiati” coloro ai quali è concesso ancora il diritto di … lavorare come bestie da soma.

A chi serve invertire le cause con gli effetti?

Per liberarci dal parassita sociale e dello Stato che lo difende e tutela, occorre la nostra unione, la nostra organizzazione e la nostra lotta decisa, intransigente e radicale, in prima persona, senza delegare nessuno: da protagonisti!

Una lotta contro tutto questo sistema che è la vera causa di tutto ciò, e non contro i suoi effetti: contro per distruggerlo.

Quelli che infatti, ad arte, ci vengono appositamente additate come le cause delle nostre disgrazie sono in realtà solo gli effetti del sistema: indicarceli “come cause” serve loro soltanto a distrarci, a farci credere che basti abolire quelli che ogni nostro problema sarebbe risolto.

E allora giù con ogni sorta di fumo ideologico: “le cause – ci dicono – sono la casta, la corruzione, la cattiveria e l’avidità umana, l’immoralità, la speculazione!”: in realtà sempre esistiti ovunque vi siano potere e ricchezza da spartire.

O ancora: “i colpevoli sono l’euro, la sovranità perduta, la democrazia calpestata!” : in realtà strumenti necessari ad una parte della borghesia mondiale contro l’altra per far fronte alla crisi (e non cause della crisi!).

Infine la cosiddetta guerra tra poveri: “è il lavoratore straniero che 'ti ruba' il lavoro perché si contenta di un salario più basso del tuo!”. Ma chi di noi – vi chiediamo - sotto il ricatto della fame e della disoccupazione (oggi giunto persino nelle nostre “belle“ metropoli dell’avanzato Occidente ) potrebbe giurare di non piegarsi a qualunque sacrificio sul proprio salario pur di sopravvivere e campar famiglia? Non è forse quello che molti di noi hanno fatto per decenni e ancora di più fanno oggi?

E dunque: chi è il nostro vero nemico, il ricattato o il ricattatore?!

Riformare o abbattere questo sistema?

Per liberarci dal parassita sociale ci occorre che gli elementi tra noi maggiormente preparati e politicamente coscienti della necessità di abbattere finalmente questo inferno, senza se e senza ma, diano corpo, sostanza e organizzazione all’avanguardia politica (il partito di classe). Essa sarà la direzione politica organizzata indispensabile affinché la nostra lotta possa assumere il carattere di cui necessita per poter essere realmente efficace: quello politico rivoluzionario.

Quasi tre secoli ormai trascorsi dall’affermazione del capitalismo, e centinaia e centinaia di progetti riformatori d’ogni genere, tutti miseramente falliti (non saremmo a questo punto sennò!) hanno dimostrato abbastanza che la via riformatrice è impercorribile e perdente: che è essa la vera utopia!

Mai nessuna classe sociale dominante, nella storia, ha rinunciato democraticamente al suo potere o volontariamente e con le buone maniere al proprio dominio sociale! Ecco perché – non certo per un nostro capriccio - la presa del potere è non solo necessaria per poter abbattere questo inferno, ma sarà possibile soltanto per via rivoluzionaria.

L’abbattimento dell’attuale Stato al servizio dei borghesi (che quest’inferno difende a spada tratta) e la sua sostituzione con gli organismi di potere dei lavoratori è una necessità prioritaria!

Lo Stato borghese e le sue istituzioni sono per noi strumenti inutilizzabili, così come tutte le leggi da esso emanate e che andranno rese non più operative: saremo noi a riscrivere le nostre leggi, quelle ad esclusivo vantaggio della trasformazione rivoluzionaria, della società dei lavoratori e non di quella dei padroni borghesi. Entrambi (istituzioni statali e leggi borghesi) sono una gabbia dalla quale non è concesso uscire se non spezzandone le sbarre. Persino la borghesia rivoluzionaria fu costretta a fare lo stesso nei confronti del precedente Stato feudale (in mano alla nobiltà) e delle sue leggi.

Solo dando vita al nostro Stato (strumento che si estinguerà mano a mano che i rapporti capitalistici deperiranno), formato dai nostri organismi di potere, finalmente potremo disporre dello strumento adeguato ad esercitare il vero potere dei lavoratori - dal quale sarà necessario escludere i padroni: questa è la sola condizione per poter finalmente smantellare questo sistema, come è solo nostro interesse e vantaggio che avvenga.

La necessità del partito di classe…

Tutto ciò richiede la presenza attiva un’avanguardia politica, un partito rivoluzionario di classe che si ponga alla direzione di questo processo, che ne sia guida e sostegno. I borghesi sono organizzatissimi contro di noi: hanno governi, eserciti, magistrati, galere, forze dell’”ordine”… tutti bracci operativi al loro servizio per schiacciarci ogni qual volta osiamo alzare troppo la testa. E persino quando – come oggi – non la solleviamo nemmeno.

Non possiamo pensare di contrapporci a tanta organizzazione con azioni istintive e non coordinate e organizzate: saremmo come Don Chisciotte contro i mulini a vento.

Noi non contempliamo alcuna delega ed escludiamo ogni “sostituzione” del partito al vero ed unico soggetto rivoluzionario, che per noi è e resta la classe dei lavoratori (compresa la sua “parte-avanguardia cosciente”, cioè il suo partito): ossia l’insieme dei lavoratori che – tramite i propri nuovi organismi di potere - sarà la sola in grado di emanciparsi definitivamente dall’attuale società divisa in classi, interamente fondata sulla moderna schiavitù del lavoro salariato e del denaro.

Ecco di quale partito rivoluzionario vi parliamo: di un partito che è “la parte cosciente della classe nella classe”, e non un apparato di “burocrati” o “intellettuali” ad essa estraneo.

Il Partito Comunista Internazionalista – Battaglia Comunista è uno degli embrioni di quel partito. Non pretende di essere l’unico, assieme alle altre sezioni della Tendenza comunista internazionalista, porta avanti un serio lavoro finalizzato a costruire il partito rivoluzionario su scala internazionale. Esso vi chiama a militare nelle sue fila e a rafforzare così le sue attuali forze ed energie, perché la sua azione possa essere più efficace, incisiva e radicata possibile.

E’ fatto di persone come voi, che con voi condividono le stesse sorti ma soprattutto gli stessi interessi politici, quelli rivoluzionari, e che per quegli interessi intendono lottare.

Esso è convinto che i veri e unici protagonisti della propria emancipazione dallo sfruttamento borghese che produce le crisi sono gli sfruttati stessi, i lavoratori, ma solo se organizzati attorno alla loro avanguardia politica; e che la vera emancipazione si può ottenere solo sul terreno politico rivoluzionario. Questo è sempre stato vero, ma a maggior ragione lo è oggi, quando gli spazi della lotta rivendicativa si sono ristretti enormemente, ancor più “blindati” dalla fase di profonda crisi che il sistema sta attraversando. Questo non vuol dire che non si debba lottare sul terreno rivendicativo, al contrario: se non si comincia a difendersi dalle aggressioni del capitale, non si potrà mai contrattaccare; anzi, la difesa in sé è già una forma di contrattacco. Prendere atto del limite della nostra lotta rivendicativa non significa infatti rassegnarsi, significa prendere coscienza della necessità di andare oltre la lotta rivendicativa stessa, di lavorare politicamente per costruire l’alternativa comunista a questa società.

Quale comunismo?!

Il comunismo di cui vi parliamo non si è mai, finora, realizzato da nessuna parte.

Chi per decenni vi ha detto e convinto del contrario lo ha fatto per i suoi scopi: screditare ai vostri occhi il vero socialismo (che è l’unico, reale, terribile incubo dei borghesi!), facendovi credere che un regime dispotico e violento, interamente capitalistico - nel quale il gestore dello sfruttamento per conto del capitale e dei suoi interessi era lo Stato - fosse “socialismo”.

Lo scopo evidente era che voi prendeste atto del suo misero “fallimento” e finalmente rinunciaste persino all’idea di volerlo ancora realizzare; che voi lo sfuggiste come un morbo escludendolo da ogni vostra prospettiva di liberazione sociale; che voi finalmente vi rassegnaste all’idea che l’unico mondo possibile - malgrado i suoi difetti dichiarati a gran voce “pur sempre correggibili” (ma mai corretti!) – fosse il sacro e intoccabile capitalismo.

Annichilire, cancellare dunque, dalla vostra mente l’unica possibile e realissima alternativa all’inferno del dominio capitalistico: la società comunista, la società senza più classi. E si sa: chi è privo di alternative, si rassegna più facilmente a subire e ad accettare di tutto, visto che… di meglio non può esserci!

Il socialismo e il comunismo di cui noi parliamo da sempre è tutt’altra cosa. E’ il comunismo di cui Marx ci ha parlato come concretissima alternativa a questo inferno ormai da lungo tempo in putrefazione. Una società dove i mezzi di produzione e distribuzione siano socializzati e non gestiti in modo privato (o nazionalizzato…) da un pugno di borghesi, una società dove la produzione risponda al reale soddisfacimento dei bisogni di tutti e non al profitto di pochi. Davvero nulla a che vedere – come diciamo da oltre ottant’anni! – né con l’URSS, né con la Cina, la Corea, Cuba, il Venezuela!

Seguiamone insieme la traiettoria! Discutiamone insieme.

Venite a trovarci nelle nostre sedi. Militate nelle nostre fila. Abbonatevi e sostenete la nostra stampa. Visitate il nostro sito e contattateci: internazionalisti.it

Lavoratori del Partito comunista internazionalista – Battaglia Comunista.

(1) leftcom.org

Domenica, March 16, 2014