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Home ›Fame, sudore e lacrime, aspettando la ripresa che (forse) verrà...
Se fossimo dei moralisti, diremmo che c'è qualcosa di osceno nello spettacolo che quotidianamente ci offrono politicanti e borghesi di ogni risma.
Lotta all'ultimo sangue, tra bande appartenenti allo stesso partito, per conquistare la leadership o, più semplicemente, per non perdere le accoglienti poltrone offerte dalle istituzioni della democrazia borghese, dalle quali orchestrare la predazione del “bene comune” (le varie forme in cui si materializza il plusvalore estorto alla classe operaia e al lavoro dipendente) a favore del “bene” proprio, dei parassiti pullulanti sul corpo della cosiddetta società civile, della borghesia in genere, a cominciare dai settori più forti.
Un “vecchio malvissuto” che, dopo aver accumulato miliardi calpestando quella legalità di cui si proclama estremo difensore, scatena le sue orde di servi, lautamente remunerati, per rimandare a data da destinarsi l'esecuzione di una condanna che un povero cristo qualunque avrebbe già scontato da un pezzo. Una ministra che, per ragioni umanitarie, naturalmente, si prodiga affinché una donna venga tirata fuori dalla galera, dove rischiava la salute e forse la pelle; ben fatto, solo che la signora in questione appartiene a una delle famiglie più ricche d'Italia, con la quale la ministra ha stretti rapporti di amicizia, cosa che non possono vantare migliaia di carcerati – per reati meno gravi e spesso in attesa di giudizio – che popolano l'inferno carcerario italiano. Istantanee di un personale politico borghese che, mentre sgomita spudoratamente per difendere i propri privilegi di “casta”, non esita a mettere in atto i decreti dittatoriali provenienti dall'«Europa» e dai «mercati»: in breve, dalla borghesia domiciliata dentro e fuori il “Paese”, ma sempre e comunque sulle spalle del proletariato. Lo spettacolo dà il voltastomaco, ma non siamo moralisti e non ci sorprendiamo, perché sappiamo che tutto rientra perfettamente nel mondo che la classe dominante si è e ci ha costruito, anzi, più le crisi (inevitabili) del processo di accumulazione capitalistico si inaspriscono, più il proletariato e gli strati sociali ad esso vicino sono chiamati a pagare un conto che non smette di allungarsi, fatto di fame, sudore e lacrime. Esagerazioni dei soliti comunisti? Mica tanto: sono enti pubblici e privati a dirlo. Il numero dei poveri assoluti in pochissimi anni si è raddoppiato, arrivando a quattro milioni e ottocentomila individui; la cosiddetta area del disagio occupazionale (disoccupati, scoraggiati, cassintegrati, precari ecc.) coinvolge dieci milioni circa di persone; le spese, tranne che per gli “aggeggi” elettronici e poco altro, calano inesorabilmente, a cominciare dalle automobili (-50% dal 2007), per arrivare a quella alimentare, ritornata al livello degli anni Sessanta, infatti, nel 1971, per il cibo si spendeva e si consumava di più: lo certifica un rapporto della Coop (L. Fazio, il manifesto, 6 – 09 – '13), che di consumi dovrebbe intendersene.
Il sudore, per chi ha la “fortuna” di spremerlo, scorre a fiumi nelle fabbriche “marchionnizzate”, nei magazzini della logistica, nei posti di lavoro in genere, dove il comando padronale celebra le sue orge su di una forza lavoro annichilita dal ricatto del “giù la testa, zitti e buoni o lì è la porta!”, disorientata, confusa, tradita mille volte da sindacati compiacenti (verso il padrone) e partiti “di sinistra”, impegnati a tenere ferma la classe operaia (intesa in senso lato) mentre viene caricata di catene.
Le lacrime (e la rabbia), di chi dispera di trovare o ritrovare un impiego pur che sia, di chi, malato, disabile, bisognoso di un'assistenza speciale, vede tagliare “al piede” i fondi necessari, inesorabilmente, governo dopo governo, legge di stabilità dopo legge di stabilità.
A parte l'arroganza spudorata, l'impresentabilità di questo o quel figurante dell'avanspettacolo parlamentare, i governi di ogni sfumatura, nella sostanza, mettono in atto le medesime politiche, e non può essere diversamente: come si diceva, è l'Europa, sono i mercati, è il capitale, insomma, a chiederlo e a imporlo. Ai politicanti eseguire, e con piacere.
Tutti parlano di rilanciare i consumi per uscire dalla crisi; sorvolando sulla validità di questa teoria economica (il solito keynesismo...) che accomuna “destri” e “sinistri”, verrebbe da chiedersi perché, allora, che ne ha il potere, invece di tagliarli, non aumenti salari, stipendi e redditi dei tanti lavoratori autonomi per finta. Non lo fa la grande distribuzione, Coop compresa, che anzi manda sistematicamente la polizia a manganellare i facchini in lotta per salari più alti e condizioni di lavoro meno schiavistiche; non lo fa nessun “datore di lavoro”, nemmeno lo stato. Anzi, ancora una volta, la legge di stabilità finanziaria prevede, per gli statali, il congelamento degli stipendi e degli scatti di anzianità, quello dell'indennità di vacanza contrattuale, il differimento della (eventuale) stabilizzazione di oltre centomila precari, addirittura la corresponsione in due anni della liquidazione. Secondo alcuni calcoli, il prolungamento del blocco della contrattazione fino al 2014 “impone ai dipendenti pubblici un sacrificio pari al 10,5% dell'attuale stipendio di riferimento e il costo salirà al 14,6% se la macchina dei contratti non dovesse ripartire fino al 2017”; per le qualifiche più basse si parla di quattromila euro circa (dal 2010 a oggi). Ora, i mancati aumenti non saranno più recuperati, per legge, e se si tiene conto che il blocco “tra statali e famiglie riguarda 6-7 milioni di persone”(per le due citazioni, G. Trovati, ilSole24ore, 16-10-'13), è facile capire che i consumi, ovviamente, continueranno a risentirne. E pensare che il “vecchio” di cui sopra, quando regnava tra Olgettine e stallieri, aveva intasato le televisioni con lo spot cretino (uno dei tanti) del tizio che, girando con la busta della spesa ricolma, era sommerso dai ringraziamenti dei passanti, perché vedevano, nel tizio medesimo, il motore dell'economia in persona (“Fai girare l'economia: spendi e compra”!). Miseria dell'ideologia borghese, che dalle cattedre universitarie alla tivù spazzatura è percorsa dalla stessa incapacità di capire la malattia che periodicamente colpisce il suo sistema, alla quale può opporre la medicina di sempre: più sfruttamento, più guerra. Fin che dura...
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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