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Per una “inversione” delle attuali politiche economiche…
In un suo breve articolo dal titolo “Per una inversione delle politiche economiche”, R. Achilli prende di mira l’ossessione del debito che affligge l’Italia e l’UE e indica agli attuali gestori del capitale (scusate: della “economia nazionale”) quello che dovrebbe essere il “cosa fare” per portare il Paese fuori dalla crisi. Si badi bene: Achilli è uno “stimato” economista, esperto di analisi socio-economica e di statistica, nonché – ed è questo che, come vedremo, ci lascia… sbalorditi – coordinatore redazionale niente meno che del sito di Bandiera Rossa (trotschisti vari & C).
L’Achilli si presenta citando un Marx il quale ci “segnala chiaramente che il debito è il modo normale con cui funziona un'economia capitalista”. Non solo, ma sempre Marx, nel Terzo Libro del Capitale, non ha forse scritto che “un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita”? Già, ma cosi, aggiungeva Marx, dice la «dottrina moderna», e noi sappiamo bene chi l’ha formulata…. E continuava:
Il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria: come con un colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall’investimento industriale e anche da quello usurario.
Ed ecco la conclusione che invece fa comodo all’Achilli: ma allora chi si scaglia contro il debito, ebbene, sarebbe lui rivoluzionario e non noi che invece il debito lo sosteniamo! Il lettore si faccia coraggio: non vi è dubbio che il mantenere un buon controllo ideologico e politico sia più che necessario per conservare il “presente stato di cose”. E l’Achilli sembra proprio – come vedremo – lì per quel compito.
Visto che per Marx il debito è fondamentale per potenziare fino al massimo delle sue capacità il processo di accumulazione del capitale, Achilli lo prende alla lettera sorvolando sulla spiegazione di ciò che Marx intendeva realmente sostenere in modo di per sé più che evidente. Un Marx, infatti, che aggiungeva:
Il debito pubblico ha fatto nascere le società per azioni, il commercio di effetti negoziabili di ogni specie, l’aggiotaggio: in una parola, ha fatto nascere il giuoco di Borsa e la bancocrazia moderna.
Achilli, imperturbabile, trae invece la sua conclusione: se capitalismo e debito sono inscindibili fra loro, si deve dedurre che contro il debito non si deve condurre “una guerra santa fatta di austerità”. Questa sarebbe “una posizione ideologica” inaccettabile pr un… materialista come l’Achilli; semmai basterebbe evitare “sprechi, spese clientelistiche o consociative”. E si apre il quadernetto dei consigli utili per i capitalisti, i quali più che altro dovrebbero – sempre secondo l’Achilli – preoccuparsi non del debito pubblico bensì del disavanzo primario (cioè della differenza fra spese ed entrate dello Stato al netto del pagamento degli interessi sul debito). Lo dovrebbero fare controllando in modo razionale la spesa corrente, eliminando “sprechi e inefficienze” tipiche del nostro Bel Paese e una troppo estesa area dell'evasione/elusione fiscale e contributiva.
Con l’intento di perseguire “ragionevoli obiettivi tecnici” (per chi non l’avesse notato, gli occhiali con i quali si guarderebbe avanti sono quelli, al solito, forniti dal negozio di ottica keynesiana), l’Achilli con malcelata soddisfazione ci tiene a precisare che, dopo tutto, anche la “spesa pubblica corrente di funzionamento” dello Stato (la spesa per stipendi dei funzionari della P.A. e per consumi intermedi necessari al funzionamento del settore pubblico) sta scendendo quasi al 18% del Pil. Grazie – ci voleva! – all’“inasprimento del blocco del turnover, alla riduzione progressiva di numerose spese per acquisti intermedi e al passaggio automatico alle centrali uniche di acquisto”. Non solo, ma di certo – ci rassicura l’Achilli – “diminuirà ancora”. E bravi! Con la raccomandazione, però, di evitare misure eccessive che scatenerebbero “una guerra sociale”, come magari accadrebbe con un altro ritocco alle spese previdenziali: state attenti a non toccare le pensioni perché si potrebbe “scatenare una rivoluzione”,. E questo – fa intendere l’Achilli – sarebbe un guaio per la pace sociale…
Neppure si può “toccare ulteriormente la spesa in conto capitale”, poiché porterebbe alla “rinuncia definitiva a qualsiasi speranza di ripresa della crescita”, a base di “investimenti produttivi”. Quanto alle entrate, in verità poco si può concretamente recuperare dalle evasioni fiscali (solo “qualche miliardo di spiccioli”, conteggia l’Achilli)) mentre una “stretta sui capitali illecitamente portati all'estero” non darebbe che “risultati molto aleatori e piuttosto differiti nel tempo”. Chiaramente: non si può fare dall’oggi al domani una rivoluzione! E poi, chi la dovrebbe fare?
Nello stesso tempo, anche la pressione fiscale non si può mantenere così alta; è diventata “assolutamente insostenibile, soprattutto per un tessuto di imprese soffocato da una crisi economica di dimensioni incredibili”. Ma allora dove trovare “spazi” per migliorare la situazione del bilancio statale? Ecco, signori, l’uovo di Colombo (anzi di Achilli): “la dismissione di asset immobiliari e mobiliari in mano allo Stato: la vendita di immobili o beni demaniali e di quote azionarie in aziende partecipate dallo Stato”.
C’è però un grosso “ma” – precisa il nostro – poiché si dovrebbero raccogliere almeno 10-15 miliardi all'anno di introiti da dismissioni, naturalmente senza toccare il demanio storico, artistico e naturale poiché altrimenti – annuncia l’Achilli – “andrei a incatenarmi davanti a viale XX Settembre”… Inoltre, il mercato immobiliare risentirebbe in negativo da una massiccia immissione di abitazioni di proprietà dello Stato. Sarebbe criminale “dare il colpo di grazia finale ad un mercato che agonizza per eccesso di offerta”! Non parliamo poi di privatizzazioni che farebbero perdere “la quota statale nell'ENEL ed in Finmeccanica, di tutto il capitale di Poste Italiane, e scendere sotto la quota di controllo in ENI, oltre che cedere un bel pacchetto di azioni di Trenitalia”. Signori, stiamo attenti, ammonisce l’Achilli: qui c’è in gioco “il controllo strategico di imprese di interesse nazionale”! Senza contare poi che o si vende a prezzi da saldo oppure non è così facile trovare i compratori (i quali vogliono in seguito ricavare profitti sicuri e abbondanti! – aggiungiamo noi).
Dunque, per chi se la sente di proseguire fra queste immondizie ideologiche, siamo ancora di fronte al problema dei problemi, alla cui soluzione noi proletari saremmo chiamati in aiuto al capitalismo. E poiché con le uscite e le entrate correnti c’è poco da fare, ecco che si ripropone la direzione di marcia elaborata dal pensiero di certi “esperti”: bisogna fare “politiche che alimentino la crescita economica”, nonostante si crei, inizialmente, maggior debito, e ricorrendo a iniezioni di capitale (nuove risorse) per rilanciare la domanda aggregata, anche senza copertura. Basta con gli artifizi contabili e coi pannicelli caldi assolutamente insufficienti! I consumi (di merci) vanno sostenuti (magari a credito…) affinché il Pil possa crescere (e le “bolle finanziarie” si gonfino!).
Certo, va anche creata occupazione (lavoro salariato) e qui si dovrebbe ricorrere ad investimenti pubblici con un alto uso di manodopera. Keynes è con noi e ci benedice! E ci ha indicato con quali cerotti e tisane si possa mistificare sia la diagnosi sia la “cura” della crisi del capitalismo: un bel programma nazionale di lavori sul territorio in sfacelo (per Keynes si potevano magari scavare buche per poi riempirle nuovamente di sassi e terra…), infrastrutture di collegamento, energie rinnovabili, eccetera.
E poiché il capitale privato deve pur essere valorizzato, si “riattivi” il suo investimento “facendolo compartecipare ai programmi di investimento pubblico, laddove siano generatori di entrate”!!! Ergo, si emettano “mini-bond a garanzia pubblica su progetti di investimento strategico” e si ricorra alla Cassa Depositi e Prestiti (ah, quanti miliardi “inattivi”!), in grado di raccogliere sul mercato liquidità tramite l'emissione di bond garantiti dalla raccolta postale dell'Istituto, o tramite i prestiti della Bce a tasso quasi nullo (dopotutto la Bce si qualifica come operatore bancario), per investire il tutto in progetti strategici di sviluppo, naturalmente che “rendano”… Stupendo! Questo sì che è sano capitalismo!
In aggiunta si dovrebbe favorire la formazione di cooperative di lavoratori che intendono rilevare la propria azienda o il proprio stabilimento abbandonato dalla “precedente proprietà”, oppure varare progetti di cooperative per fabbisogni sociali locali, per l’industrializzazione di zone abbandonate, eccetera.
Così – conclude l’Achilli – con un buon avanzo primario, continueremo a “razionalizzare la spesa corrente, a ridurre le sacche di spesa pubblica improduttiva con l’obiettivo costante di una sana gestione delle finanze pubbliche”. E soprattutto, condizione sine qua non, puntando all’uscita dalla “fase recessiva” per entrare in una “fase di crescita” di quel meraviglioso sistema economico che è il capitalismo. Ecco come si esce da un “ciclo negativo” del capitalismo per entrare nuovamente in un suo “ciclo positivo”. Si tratta di una “vera politica di stop and go”. Basterà farsi coraggio e sfidare i mercati finanziari, alzando la spesa pubblica e incrementando il debito pubblico pur di favorire la crescita economica (e naturalmente i profitti del capitale, privato e pubblico). Ribelliamoci perciò ai diktat dei mercati finanziari e difendiamoci con “ammortizzatori” quali le comunità locali, l’autoproduzione, l’autoconsumo e il mutualismo locale…
Riguardo poi alla necessaria (per forza di cose!) competitività di prezzo delle merci, e visto che il costo della forza-lavoro in Italia è già inferiore a quello di altri Paesi, si affronti seriamente il problema della produttività. I mercati lo esigono, altrimenti dove andremo a vendere le nostre merci e come si farà ad alzare il “reddito” dei cittadini?
In questo modo, vantandosi di seguire un ragionamento da lui ritenuto “non idiota” come altri farebbero, Achilli non intende di certo mettere a repentaglio il capitalismo e neppure l’intera area-euro. Abbiamo a che fare con un individuo altamente responsabile, che diamine! Il quale vuole la “crescita” dell’economia capitalista per recuperare sbocchi di mercato importanti. Quindi, la Germania, nostro concorrente, sappia che poiché anche per lei “la festa sta per finire (…) occorre osare per avere l'Europa che meritiamo. Osare, morire o scappare, magari rispolverando la valigia di cartone dell'emigrante”.
E qui giriamo pagina, lasciando l’Achilli alle sue mistificazioni ideologiche della realtà, quella di un capitalismo in crisi strutturale senza soluzioni, costretto a fare appello a intellettuali ed economisti che, anche se indossano una camicia che spacciano di “sinistra”, non riescono neppure ad accendere un lumino in fondo al buio tunnel senza sbocchi di questa società dominata dal capitale. Costretti a… pensare con un minimo comune denominatore ben preciso: far accettare alle masse di sfruttati e oppressi (non si potrebbero più nemmeno definire come proletari né tanto meno come classe, dopo averli convinti, con le buone e con le cattive, di far parte della“cittadinanza”!) questo loro “baro destino”.
Il fatto che fra questi signori vi siano apparenti discordanze sull’immediato cosa fare, dipende unicamente dal fatto che – proprio dovendo rispettare quel minimo comun denominatore – annaspano nel vuoto pneumatico delle loro ideologiche astrazioni, tutte obbligate al servizio di precisi interessi. Astrazioni che la drammatica realtà che ci circonda si incarica di dissolvere nel globale collasso in cui sta precipitando il capitalismo e la società borghese.
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