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Home ›Ostellino e l'utopia egualitaria
Ammesso (non concesso per noi, ma non certo per P. Ostellino che citiamo dal Corsera del 18 settembre, pag. 57) che nell’“Occidente democratico” vi sia un “paese normale” che possa essere preso ad esempio al posto dell’Italia, leggiamo che un “certo uomo politico” andrebbe comunque rispettato dai “cittadini elettori” al di là di sue eventuali vicende giudiziarie. (Al contrario, oltre le Alpi, si ritiene quella italiana una vicenda politica anomala, che non avrebbe paragoni o equivalenti in altre democrazie le quali non l’avrebbero tollerata fin dai suoi inizi…).
Ma quel rispetto – continua l’autore dell’articolo – non avviene nella “Repubblica italiana, laica, democratica, antifascista e nata dalla Resistenza”, dove una parte dell’elettorato vorrebbe invece quel personaggio in carcere e “ridotto in miseria”, senza una “difesa legale e legittima”. Poco importa se il soggetto, “l’uomo politico in questione” (indovinate chi è...) non abbia mai visitato un carcere (ben diversi sono i luoghi da lui frequentati), non conosca minimamente cosa possa essere la miseria, né mai sia stato privo di una difesa legale a stipendio fisso e persino seduta al suo fianco in Parlamento! A parte tutto ciò, l’Ostellino si indigna e ricorda ai lettori che siamo pur sempre in uno stato di diritto e quindi anche ad un criminale spettano garanzie, “certezza del diritto, imparzialità del processo e del giudizio”.
E l’Ostellino – ritenendo (non lo dice ma lo fa capire) che Berlusconi nonostante i suoi eclatanti casi giudiziari si batte per lo stato di diritto e per le garanzie (che nel suo caso non sarebbero state rispettate, anzi il contrario) – si avventura sul terreno costituzionale, e cita il II° comma dell’art. 3 della Costituzione per recriminare su una “utopica convinzione” (e forse su questo potremmo perfino concordare!). Quella di poter “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica , economica e sociale del Paese”.
A questo punto, l’Ostellino cita persino Lenin il quale diceva: i fatti sono ostinati, hanno la testa dura. E lo fa pur considerando “generosa” l’enunciazione costituzionale da lui sopra riportata (che noi invece riteniamo profondamente ipocrita e mistificante la realtà tremendamente discriminante del “presente stato di cose”), la quale non sarebbe stata, per l’appunto, che una “utopica convinzione” dei nazional-comunisti dell’epoca, se non addirittura una “assoluta idiozia” per le conseguenze che essa può generare. E salendo in cattedra, bacchetta chi la pensa da lui diversamente: come sarebbe mai possibile “realizzare l’eguaglianza di fatto fra cittadini diversi per natura e per fortuna (il nostro pensiero va subito al povero Silvio! - ndr), fra chi è intelligente e chi lo è meno, fra chi è bello e chi non lo è affatto”, eccetera. Certo – ammette Ostellino – il “paradosso è duro”. Ma anche le repliche della storia sono dure e parlerebbero chiaro. Vedi “l’obiettivo razionalistico dei giacobini della Rivoluzione francese e quello politico dei bolscevichi della Rivoluzione d’Ottobre”. Precisa subito il nostro, per quest’ultima: “In realtà fu un golpe per evitare la trasformazione della Russia panslavista in un Paese democratico di tipo occidentale”… E se la prima sfociò nel Terrore e fallì (?) nei suoi obiettivi, l’altra progettò un “egualitarismo comunista approdato al fallimento e alla dissoluzione dell’Urss”. (Dimenticavamo di ricordare che l’Ostellino, laureato in scienze politiche e quindi politologo di fama, è stato direttore del Corriere, attuale editorialista e membro del Comitato scientifico di Società libera, quindi prestigioso frequentatore del mondo accademico e imprenditoriale.) In conclusione: “Nella migliore delle ipotesi l’utopia egualitaria rimane la base di una distruttiva invidia”; nella peggiore ipotesi, manifesterebbe “una certa inclinazione alla stupidità”.
L’idiozia di queste affermazioni ci preoccupa per le condizioni di pensiero dell’editorialista del Corriere. A parte infatti “il retaggio dell’egemonia esercitata dal Pci sulla cultura nazionale” approfittando della “credulità dei poveri di spirito, vittime di una stupidità sconfitta dalla storia”, ci rimane l’impressione, fra tanta stupidità attribuita ad altri, che anche il nostro politologo, anticomunista vecchia maniera, ne sia stato travolto. Il tutto nonostante il contributo di “ricchezza spirituale” che da parte sua l’Ostellino offre per “far crescere il Paese”, e per questo reclamando il diritto dell’eccezione, qui valido come trattamento particolare per un pregiudicato che – in fondo, e questo è vero – nell’ambiente della partitocrazia borghese si colloca perfettamente a suo agio come soggetto politico a tutti gli effetti ben legittimato. Al servizio del Paese, naturalmente, e dei conti bancari di chi è diverso per natura, fortuna, intelligenza e bellezza….. Gli altri, esclusi dal ricco banchetto e dai forzieri della finanza, lecita e illecita, lo rispettino e lo onorino!
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