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Home ›Siria, la tragedia continua
Per il momento la crisi siriana ha prodotto centomila morti, quattro milioni di profughi e messo in fibrillazione gli antagonismi imperialistici di tutto il mondo.
Obama stava per intervenire nonostante che la sua stessa opinione pubblica avesse delle serie difficoltà a seguirlo. Sarebbe stato un “intervento mirato e breve ”, ha detto ufficialmente, giusto per dare un avvertimento al reprobo Assad. Putin rifiutava qualsiasi opzione militare contro la Siria proponendo una soluzione negoziale che rendesse inefficace le minacce di Obama e che salvasse il suo alleato. Gli Usa assicuravano di avere le prove dell'uso delle armi chimiche da parte del governo siriano mentre la Russia esibiva le sue che raccontavano esattamente il contrario. Dietro gli Usa l'Arabia Saudita, gli Emirati e la Francia, debitrice nei confronti di Obama, per aver avuto mano libera in Libia e in Mali. Dall'altra parte Russia, Iran e Cina. In mezzo più di centomila morti di cui almeno un migliaio gassificati con il Sarin. Al solito, le questioni interne di un paese diventano di spessore internazionale, così come i confronti imperialistici internazionali condizionano quelle interne di un paese se gli obiettivi economici e strategici sono di vitale importanza, quali le questioni del controllo degli spazi legati ai percorsi energetici internazionali, come nel caso della Siria.
Agli imperialismi di turno l'uso delle armi chimiche interessa molto poco, praticamente zero. Che le abbia usate il governo di Assad o gli oppositori qaedisti non fa molta differenza, l'importante è impugnare la questione per giustificare un intervento, una minaccia o soltanto un monito a chi di dovere. D'altra parte, verrebbe da dire, da che pulpito viene la predica. Gli Usa da sempre sono produttori e venditori di armi chimiche, le hanno usate in Viet Nam (napalm e defolianti), più recentemente in Iraq (fosforo bianco), per citare gli episodi più conosciuti. La Russia di Putin non ha lesinato l'impiego di gas contro i ribelli ceceni. Al fondo della questione c'è che entrambi i contendenti internazionali hanno sulla Siria interessi da conquistare e da difendere che prescindono da qualsiasi ipocrita giustificazione. Per Obama, in perfetta sintonia con i predecessori Bush senior e junior, ovvero in linea con le perpetue necessità dell'imperialismo americano, eliminare il governo di Damasco significa togliere alla Russia l'agibilità dei porti militari e commerciali di Tartus e Latakia, e impedire che la Siria diventi una possibile alternativa alla Turchia come terminale energetico nel Mediterraneo. Il che indebolirebbe il ruolo della Russia quale maggiore esportatore di gas e petrolio verso l'Europa. In seconda battuta, Obama rafforzerebbe i suoi rapporti di amicizia e di alleanza con l'Arabia saudita e gli Emirati arabi uniti in chiave anti iraniana e per la soddisfazione anche dell'altro alleato Israele.
Per la Russia valgono gli stessi obiettivi letti al contrario. Difendere Assad significa mantenere lo “status quo” ovvero l'agibilità navale nel Mediterraneo e la eventuale possibilità di usufruire della Siria come terminale del petrolio centro-asiatico. Significa mantenere un suo alleato in un'area strategica di primaria importanza che, oltretutto, è l'ultimo di una serie che si è progressivamente estinta.
Gli inevitabili effetti collaterali sono l'esasperazione della guerra civile in Siria, la possibile estensione delle tensioni nel Libano e nella Giordania, con, oltretutto, un Egitto ancora nel bel mezzo di un evento catastrofico, anche se non nei termini di vittime e di devastazione come in Siria.
Altre guerre civili e tensioni internazionali sono oggi latenti, domani probabili, con lo spauracchio delle distruzioni belliche e della barbarie umana che inevitabilmente ne derivano sotto l'egida degli interessi imperialistici sempre più famelici e aggressivi. Crisi, gas, petrolio, controllo delle vie di commercializzazione sono alla base delle convulsioni sociali di molti paesi di quest'area, come le acquisizioni di spazi strategici sono vitali per la sopravvivenza di questo o di quell'imperialismo.
Governi ufficiali controllati ed armati sin quando fa comodo (Egitto), in caso contrario i soldi e le armi vanno ai ribelli (Siria) in un gioco infernale che aumenta la violenza nelle zone di intervento imperialistico e che la rende “necessaria” per un regolamento di conti a livello internazionale. L'imperialismo suona le sue campane a morto e propone a ritmo continuo le sue menzogne giustificatorie. Cambiano gli attori, ma il copione rimane sempre lo stesso. Per le popolazioni, per milioni di proletari dell'area che ne subiscono le conseguenze o, peggio ancora, per quelli che vengono trascinati all'interno di questo infernale meccanismo, non c'è possibilità scampo. O con il dittatore “laico” Bashar el Assad o con i ribelli jihadisti. O con l'imperialismo americano e i suoi alleati di area, o con l'imperialismo russo. O con l'integralismo dell'Arabia saudita o con quello iraniano di Kamenei. Da sempre, ma mai come in questa fase di vita del capitalismo internazionale, dove i venti di guerra sibilano sinistramente da ogni angolo, si impone la necessità che il proletariato dei teatri di guerra civile in atto e di quelli passibili di diventarlo, nonché di quelli di tutta l'area, inizino il cammino che li distacchi dall'essere carne da macello degli interessi di questa o di quella borghesia nazionale, di questo o di quell'imperialismo. L'imperativo è quello di imboccare la strada dell'autonomia di classe contro le une e gli altri. Altrimenti, per la classe subalterna non ci saranno mai orizzonti di pace, di alternativa sociale ma solo scenari di violenza, sfruttamento, guerra e miseria. L'unica guerra che deve essere combattuta dal proletariato è quella contro la guerra stessa, contro il capitale che la genera, per una società senza classi, senza la barbarie dello sfruttamento, della miseria e senza la necessità dell'uso della violenza quale insopprimibile condizione per il soddisfacimento degli interessi imperialistici comunque contrabbandati.
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