Cinque anni dopo Lehman - Il re è sempre nudo

Oggi su stampa e Tv si parla delle “inondazioni” di liquidità che hanno quasi sommerso il mondo: fino a poco tempo fa, invece, si piangeva sulla scarsa liquidità che avrebbe originato la crisi agli inizi del 2000.

Proprio cinque anni fa, 15 settembre 2008, la Banca d’affari americana Lehman Brothers falliva e le scosse di un terremoto finanziario di proporzioni gigantesche si moltiplicarono nelle settimane successive. Già nel luglio 2007 e nel settore immobiliare erano cominciati i crolli di… fittizie costruzioni finanziarie; le agenzie governative Fannie Mae e Freddie Mac furono travolte una settimana prima del caso Lehman, il quale fu lasciato precipitare fino al totale collasso poiché risultava che Banche e investitori europei fossero i detentori degli enormi passivi. Le autorità Usa corsero invece al salvataggio di altre Banche e Casse di Risparmio (Aig, Itc, ecc.). In totale 1765 milioni di dollari… Non solo la Fed ma di seguito anche la Bce pomparono liquidità, imitate dalla Banca d’Inghilterra e del Giappone. La Bce effettua ancora oggi operazioni di rifinanziamento bancario all’interesse dello 0,5%.

Sono dunque trascorsi 5 anni e tutto si presenta, più o meno, come prima; il “punto nodale” della crisi (spacciato come tale anche se la realtà è ben diversa) si è aggrovigliato, con i derivati famosi che guidano sarabande finanziarie da capogiro. Negli Usa la riforma Dodd-Frank (legge del 2010) si è praticamente arenata fra le manovre delle lobby finanziarie (specie per quanto riguarda i favolosi compensi dei top manager bancari!).

E’ vero che le maggiori Banche hanno aumentato i loro capitali ma il rapporto fra le attività e il capitale azionario di ciascuna banca (Leverage ratio) è tuttora un mistero e assolutamente non in grado di assorbire eventuali perdite le quali verrebbero così scaricate sul “pubblico”. Basilea 3 aveva proposto un minimo del 3% di capitalizzazione, ma in realtà si tratterebbe di decine e decine di miliardi di dollari che i colossi bancari americani non hanno alcuna intenzione di mettere sul tavolo. Approfittano del fatto che un loro fallimento avrebbe conseguenze destabilizzanti per tutti, e in qualità di Banche “too big to fail” sono sicure di ottenere i salvataggi pubblici in caso di forti perdite.

Intanto si continuano ad impachettare (o se preferite ad “insaccare” come salsicciotti maleodoranti) titoli basati su debiti in mano ad altri, mentre chi aveva titoli tossici nel portafoglio ancora non li ha venduti evitando così di contabilizzare le perdite.

Come è noto fra gli “esperti”, i derivati traggono il loro fittizio valore da tassi, valute, indici, ecc. essendo contratti tra parti: c’è chi vende rischio e chi lo compra, coprendosi a sua volta con altri appositi strumenti. I principali rischi sarebbero quelli rappresentanti dalle variazioni del cambio, del prezzo delle materie prime, dei valori dei titoli e dal sommarsi dei rischi di default.

La caduta del saggio medio di profitto, tendenzialmente in atto da tempo con brevi riprese pagate a caro prezzo dal proletariato, ha scatenato la stregoneria finanziaria attorno all’uso di strumenti tanto sofisticati quanto fraudolenti. Il gioco non solo si presenta a somma zero, ma provoca shoch finanziari da brivido.

Ancora oggi circolano dati terrificanti: secondo la Banca dei Regolamenti internazionali sarebbe pari a 632,7 migliaia di miliardi di dollari il valore nozionale (1) dei derivati in circolazione (in stragrande maggioranza derivati sui tassi di interesse), pari ad oltre 9 volte il Pil dell’intero pianeta. Più precisamente: 8,8 dollari di derivati per ogni dollaro di Pil! (fonte: World Economic Outlook/FMI, aprile 3013).

Nel 2007 il valore era di 596 mila miliardi, quando cioè furono considerati ufficialmente come la con-causa della crisi. Nel 2012, il costo di riscatto dei contratti, ai prezzi correnti di mercato, risultava essere di circa 20 migliaia di miliardi di dollari. Le Banche con le maggiori esposizioni sono quelle americane, con in testa J P Morgan seguita dalla onniprensente Goldman Sachs.

Non rimane che l’arrampicata, sempre più spericolata e senza alcuna corda o chiodo di salvataggio, su montagne di carta da macero, crediti inesigibili, buoni del Tesoro, mutui. Debiti che creano ondate di eccessi di liquidità e improvvise restrizioni, con l’alternarsi di prezzi azionari in aumento e poi in caduta libera. Il capitale-denaro non può rallentare né tanto meno fermare il proprio folle movimento. Deve cercare di sopravvivere abbattendo qualsiasi ostacolo che al momento possa minacciare e frenare sia lo sviluppo delle forze produttive (la ricerca della maggiore produttività di merci glielo impone per proseguire l’accumulazione di capitale) sia la dilatazione artificiale dei bisogni. Ma l’uno e l’altra gli si ritorcono contro, poiché occorre sempre meno lavoro vivo per produrre merci e quindi la disoccupazione dilaga e sul mercato si affacciano sempre meno acquirenti solvibili. Il suono delle campane a morto si diffonde mentre nubi nere di tempesta spuntano all’orizzonte.

DC

(1) Il valore nozionale sarebbe quello della posizione di debito sottostante al derivato.

Venerdì, September 13, 2013