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Chi produce la zuppa merita di mangiarla: chi “produce” e chi “possiede”
Se tutti i possessori di capitale scomparissero il mondo rimarrebbe esattamente lo stesso: si avrebbero le stesse fattorie, le stesse fabbriche. Ma se tutti i lavoratori sparissero, allora tutti morirebbero di fame…
Paul Mattick jr – La crisi economica: realtà e finzione
Produttività borghese e produttività socialista: dipende tutto dalle finalità
Disponiamo oggi - e da lungo tempo - di un enorme apparato produttivo con un’altrettanto enorme capacità produttiva: con sempre meno tempo di lavoro tale capacità ci consentirebbe di produrre, senza alcuno spreco né distruzione ambientale, tutto quanto ci occorre (e di più). Per tutti, nessuno escluso sul faccia dell’intero pianeta.
Disponiamo di un mondo pieno di edifici, uffici, scuole, fabbriche, fattorie e tecnologia. E non esiste assolutamente ragione alcuna perché la gente non dovrebbe semplicemente prendere questa roba e cominciare ad usarla. Ciò che li trattiene è che, da una parte, 1) non viene loro in mente che possono farlo e, dall’altra, 2) che la polizia, l’esercito – un apparato enorme – impedisce loro di farlo.
Paul Mattick jr, La crisi economica: realtà e finzione - sinistrainrete.info
Il modo in cui gli individui sono educati rende loro molto difficile pensare che si possa prendere tutto ciò, che questo ti appartiene. (…)
“Chi produce la zuppa merita di mangiarla”. Dice che è tutto molto semplice: se tutti i possessori di capitale scomparissero il mondo rimarrebbe esattamente lo stesso - si avrebbero le stesse fattorie, le stesse fabbriche – ma se tutti i lavoratori sparissero allora tutti morirebbero di fame. (…)
Il problema è che la gente è così “abituata” all’esistenza del capitalismo, sono così abituati all’idea che è necessario lavorare per qualcun altro, che non vedono che possono prendere il loro posto.
Cosa potrà spingere la gente a compiere questo passo? Penso che sia necessaria una esperienza traumatica per indurre la gente a cambiare il loro normale modo di comportarsi.
La crisi mette a nudo l’illusione e smaschera l’ideologia dominante
Questa “esperienza traumatica” si chiama crisi economica la quale, potenzialmente, crea anche le condizioni per un risveglio di classe; anche se il legame tra crisi e reazione di classe non è, come vediamo, meccanico. Essa, oltre ai “traumi”, lascerà milioni di vittime sulla sua strada: vittime di una guerra - solo per ora “non guerreggiata” – per la ri-spartizione di profitti, rendite e territori. Quando la “torta” si restringe, occorre o ridurre le fette o ridurre i commensali alla tavola. Ecco, esattamente ciò che sta accadendo.
L’ideologia dominante è subdola e agisce in profondità: o la si subisce passivamente e inconsapevolmente, o se ne comprende la potenza e la si combatte. Tertium non datur: perché non c’è nulla che sia compatibile tra gli interessi dei produttori della ricchezza (i lavoratori) e gli interessi dei possessori della ricchezza (i padroni).
Ma perché ciò possa avvenire i dominati devono iniziare a lottare, ad unirsi ed organizzarsi per essere più forti. Ma soprattutto essi devono dotarsi di una loro avanguardia politica - il partito rivoluzionario di classe - che sia per loro:
- memoria storica delle secolari lotte dei loro padri, e – a partire da quelle esperienze storiche e dagli errori commessi e da non ripetere - elaborazione di un programma politico rivoluzionario;
- avanguardia concreta di lotta politica;
- strumento per comprendere che la questione è “politica” e non meramente economica (di difesa dai padroni o di mera rivendicazione di miglioramenti salariali) e che per risolverla occorre mandare in frantumi l’intero sistema capitalistico (i suoi rapporti sociali, le sue dinamiche e i suoi imperativi, le sue finalità esclusive di profitto) e sostituirlo con un sistema produttivo gestito dai produttori stessi liberamente associati (i lavoratori) secondo regole nuove: quella programmazione della produzione sociale che - liberatasi finalmente dalla necessità di dover accrescere di un profitto il capitale investito e sulla base dei bisogni reali (primari e secondari) della società mondiale - è l’unica che potrà consentire quella distribuzione non sperequata della ricchezza che tanto ci si illude di poter ottenere all’interno del capitalismo.
La “realtà” dell’inferno capitalistico e la prospettiva socialista nel concreto
In concreto, con due o tre ore di lavoro al giorno per tutti (disabili, anziani e bambini esclusi) si potrebbe usufruire - nessuno escluso! - della ricchezza prodotta grazie alla collaborazione di tutti al lavoro sociale _necessario_ (quello cioè strettamente necessario a produrre non solo le cose che ci servono, ma “nella quantità” che ci serve!), così da poter finalmente disporre socialmente sia dei prodotti da distribuire, sia di un adeguato e ben più lungo _tempo di vita giornaliero_ (finalmente sottratto al “tempo di lavoro” oggi imposto dai capitalisti a sempre più pochi e a ritmi massacranti) in grado di consentirci il pieno sviluppo delle nostre innumerevoli capacità, attitudini, passioni, aspirazioni.
Questo il capitalismo non lo ha mai consentito, né mai potrà consentirlo: se non ad una parte ristrettissima e privilegiata della società: i capitalisti, i loro “maggiordomi istituzionali” (politici, sindacalisti), coloro che vivono di rendita parassitaria e la cd. aristocrazia operaia (ossia i lavoratori “incaricati” di controllare, dirigere, dettare e vigilare sui ritmi di lavoro, denunciare ai padroni gli altri lavoratori, ecc ecc).
Al resto, la stragrande e immensa maggioranza di individui, restano solo le “briciole”, abilmente distribuite in modo “differenziato” proprio per alimentare la divisione, l’invidia sociale, la rivalità, la competizione fra presunti “meriti”: in una parola, la guerra tra poveri fessi. E per disgregare la coscienza collettiva dell’essere un’unica classe sfruttata mondiale, i cui interessi sono del tutto inconciliabili con quelli dei padroni, come la realtà dell’ennesima crisi capitalistica sta ampiamente dimostrandoci.
Questa disgregazione viene perseguita a livello aziendale, territoriale, nazionale ma anche internazionale: un’eterna guerra tra poveri viene continuamente alimentata perché i “sottomessi al lavoro salariato” non si rendano conto di essere il più grande e forte esercito di classe, unico in grado di sconfiggere l’esercito di classe della borghesia e del suo apparato statale di contenimento e repressione delle lotte.
Un’eterna guerra tra poveri che mira a dividerli tra italiani e stranieri, lavoratori locali e lavoratori immigrati, giovani “precarizzati” e anziani “privilegiati”, bianchi e neri, dell’ovest e dell’est, del nord e del sud: uno contro l’altro.
Superare le logiche e i meccanismi del capitalismo resta l’unica via d’uscita
L’edificazione del socialismo prima (come necessaria fase di transizione), del comunismo poi – quello vero! - resta non solo all’ordine del giorno, ma diventa sempre più indispensabile ed impellente, alle soglie (come già siamo) di una prossima, l’ennesima, poco evitabile carneficina mondiale.
Il falso socialismo di cui non parliamo
Ovviamente il socialismo e il comunismo di cui parliamo – quello di Marx – nulla _ha a che vedere con quanto per decenni è stato spacciato per “socialismo realizzato”_ (in Urss come in Cina o altrove) per poi poterne decretare il “misero fallimento”: tutti, in realtà, capitalismi di stato – tutti! – ossia capitalismi a gestione rigidamente centralizzata e pianificata, oltre che autoritaria, da parte dello Stato.
Capitalismo a tutti gli effetti, dunque, il quale - dopo l’annientamento delle conquiste rivoluzionarie dell’Ottobre (dovuto all’isolamento in cui esse restarono per il non deflagrare di un analogo processo rivoluzionario nella più avanzata e vicina Europa capitalistica) – fu avviato e consolidato attraverso una mera statalizzazione dei settori industriali strategici: lo Stato così, di fatto, non fece che sostituirsi al padrone borghese, ma governando l’economia secondo gli stessi criteri di sfruttamento del padrone borghese. Nulla di fatto, insomma, sulla strada del socialismo! Il padrone – insomma – resta indisturbato al suo posto!
La statalizzazione di una produzione - condotta perciò con metodi in tutto e per tutto capitalistici - nulla ha a che fare, infatti, con la socializzazione (ossia il possesso e la gestione collettiva) dei mezzi di produzione e distribuzione della ricchezza sociale che nel comunismo si realizzerà appieno.
E assolutamente _nulla il socialismo e il comunismo di cui parliamo_ – quello di Marx - ha a che vedere con i sedicenti paesi che oggi si dichiarano essere sulla presunta “via di Damasco dell’evoluzione al socialismo” : realtà come Cuba, il Venezuela, piuttosto che il Brasile o persino – in un delirio senza precedenti - persino i piccoli quanto dittatoriali imperialismi locali mediorientali come Libia, o Siria, o Iraq. Tutti imperialismi che – a detta dei falsi comunisti - andrebbero difesi (?!) contro il più arrogante e potente (quando addirittura non unico) imperialismo del pianeta (quello a stelle e strisce!).
Il tempo delle chimere è finito: la miseria e la disperazione approdano nel mondo “sviluppato”
Il tempo è “scaduto”, ci auguriamo che finisca presto anche la pazienza e che crollino presto tutte le illusioni degli sfruttati di tutto il pianeta: il capitalismo ha dimostrato, in oltre tre secoli di vita (non certo un decennio!), di non poter affatto garantire quella giusta distribuzione della ricchezza sociale prodotta dal lavoro collettivo e, anche in periodi di ciclo economico positivo, di averla potuta “riservare” solo (e per brevi periodi) ad un’area ristrettissima del pianeta (il cd. occidente sviluppato), mantenendo da secoli (per lo più militarmente o con regimi autoritari dittatoriali) la stragrande maggioranza dell’altra altra parte del pianeta in condizioni di fame, miseria cronica, sottosviluppo, depredamento e spreco delle risorse, ipersfruttamento del lavoro, distruzione dell’ambiente e della qualità della vita. Tutto questo per milioni di esseri umani.
“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, dice un vecchio detto popolare. Un po’ di elemosina, qualche missionario volenteroso o medico coraggioso “senza frontiere”, qualche adozione a distanza, qualche preghiera in chiesa e la coscienza dell’opulento Occidente è stata ripulita per decenni. Ora quella miseria e la disperazione che ne consegue supera i dorati confini delle sue metropoli, e approda qui: non solo sui barconi provenienti dall’Africa affamata in guerra, ma sotto gli occhi esterrefatti o attoniti di chi vede il proprio vicino di casa rovistare tra i rifiuti di un cassonetto o di un mercato rionale. «Domani potrebbe accadere anche a me o a qualcuno della mia famiglia?» – inizia a chiedersi l’esterrefatto. E fa bene a chiederselo. Intere famiglie proletarie gettate, ogni giorno che passa, sul lastrico e nella disperazione da un sistema che “dà lavoro” (e dunque da vivere) solo se e quando quel lavoro produce guadagno nelle tasche di qualcuno.
Attraverso le lotte materiali i lavoratori potranno ritrovare la propria consapevolezza di essere classe, la loro unità ed organizzazione che sole possono trasformarsi in forza ma solo grazie alla guida politica del partito rivoluzionario di classe (sino al suo necessario rafforzamento e consolidamento internazionale), i lavoratori, gli sfruttati, potranno dotarsi di una prospettiva risolutiva, di un programma politico rivoluzionario che finalmente spazzi via l’inferno capitalistico e apra la strada all’edificazione comune della società degli “uomini”, soppiantando quella degli “individui”, delle rivalità, della competizione, dell’avidità, del sopruso, della divisione in classi sociali.
Per far questo occorre disporre del potere politico, per poter schiacciare le resistenze più che ovvie che a tale distruzione ed edificazione i capitalisti e il loro Stato opporranno.
E il potere politico significa il superamento dello Stato attuale, ossia smantellamento dei suoi attuali apparati istituzionali e repressivi e sua sostituzione con organi di potere proletario, organi di potere collettivo: i Consigli dei lavoratori, strumenti di comando politico ed economico – intrecciati dialetticamente alla direzione politica del partito rivoluzionario. In questo nuovo apparato statale proletario i capitalisti resteranno esclusi dal comando (con buona pace degli amanti della “democrazia” borghese!) e andranno a lavorare come tutti gli altri.
Chi da sempre “conduce la baracca” – i lavoratori – finalmente al potere; chi fino ad ora ha gestito il loro sfruttamento planetario finalmente a lavorare, privati di quella proprietà privata che i comunisti vogliono abolire: la proprietà privata dei mezzi di produzione, del prodotto del lavoro sociale, del denaro, del capitale. Ossia la possibilità di asservire e sfruttare lavoro altrui per l’arricchimento di pochi e la miseria di troppi.
Questa è la sostanza del programma politico ed economico del Partito Comunista Internazionalista-Battaglia Comunista, che, con le altre sezioni della TCI, porta avanti il lavoro per costruire e rafforzare il partito internazionale del proletariato, perché il socialismo o è internazionale o non è.
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