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Home ›La loro morale e la nostra - Sul fango maleodorante del cosiddetto Istituto Onorato Damen
Rieccoci, siamo costretti per l’ennesima volta - e nostro malgrado - a difenderci dal lavoro diffamatorio proposto dall’Istituto catanzarese. È da tre anni che subiamo questa sporca attività, siamo veramente stufi, il disgusto è tanto, il lettore comprenderà quindi che, nello stendere questa nota, non sempre siamo riusciti ad adoperare uno stile “contenuto”.
Da quando è nato, l'Istituto O. Damen non ha mai smesso la sua attività principale: denigrare, infamare, falsificare le prese di posizione e le attività del Partito Comunista Internazionalista (vedi i documenti e gli articoli che già abbiamo dovuto produrre): evidentemente a qualcuno, ai promotori di quella specie di circolo intellettualoide sotto mentite spoglie comuniste, ancora brucia il fallimento del tentativo di impadronirsi del partito per trasformarlo in una sorta di ritrovo per vecchi gentiluomini (?) che osservano con distacco e sufficienza le convulsioni del mondo reale. Altro non sanno fare, tant'è vero che ad una loro assemblea pubblica tenuta a Roma nel mese di maggio scorso, la loro attività principale è stata ancora (a tre anni dalla nascita dell’Istituto) quella di distorcere le nostre posizioni e attaccare irosamente sul piano personale alcuni nostri militanti, mentre ai nostri compagni là presenti, che dal pubblico facevano domande relative all'attività dell'Istituto (tra cui: cosa ha da dire di nuovo l'istituto?), rispondevano con un “stiamo studiando... stiamo scrivendo... non vogliamo anticipare nulla...”, manco si trattasse di un'anteprima cinematografica e non di politica rivoluzionaria! Probabilmente, prima o poi quei personaggi faranno uscire un documento in cui spiegheranno all'universo mondo ciò che nessuno finora ha (o, meglio, avrebbe) capito. Con probabilità ancora maggiore conterrà ovvietà, luoghi comuni o insulsaggini vere e proprie, come quelle che caratterizzano i loro documenti, per esempio, sulla transizione, dove, una volta di più, non si dice niente di nuovo, a cominciare dai soliti attacchi nei nostri confronti, poiché saremmo rimasti, come tutto il mondo della “defunta” Sinistra comunista, appiccicati a idee ottocentesche o, quando va bene, primo-novecentesche.
La calunnia e la falsificazione quindi sono state e sono l'attività più importante per lor signori, anche perché a fronte di enormi problemi da tutti, dentro il partito, ritenuti di importanza fondamentale – l'analisi di eventuali errori originari della sinistra comunista, la necessità di comprendere il mondo e i cambiamenti intervenuti nella classe dopo l'89 - non hanno prodotto una riga che possa essere utile al serio lavoro politico rivoluzionario. Invece, non si sono e non ci hanno mai fatto mancare boria e arroganza.
Ne è un esempio lampante la farneticazione che un “istitutore” ha eruttato su di un'esperienza a lui sconosciuta, talmente sconosciuta da scambiarla anzi per un'altra esperienza morta e defunta, quella sì, da alcuni anni. Stiamo parlando dell'Assemblea proletaria di Bologna, oggetto di un articolo sull'ultimo numero di Programma comunista, a cui l'istitutore medesimo si è abbeverato, visto che mai, né lui né altri istitutori hanno messo piede in una riunione dell'Assemblea bolognese. Anzi, come si diceva, l'estensore dell'articolo di critica (Sulla rottura della sedicente assemblea proletaria di Bologna, di Lorenzo Procopio, 3 agosto 2012) è talmente accecato e stordito – come i suoi compari – dal pregiudizio, da sprofondare nel ridicolo, dato che spaccia un documento apparso sui numeri 7/8-9 del 2005 di Battaglia comunista - da sempre sul nostro sito - come “inedito”. Questa è solo una delle balle di cui è infarcito il “pezzo” in questione. Le altre, non meno grossolane, riguardano, per esempio, il nostro presunto anarco-sindacalismo associato, “naturalmente”, al rigetto della necessità del partito rivoluzionario, e così via. Ma su cosa basa, l'Istituto, i suoi capi d'imputazione, su quali documenti, su quali azioni da noi prodotte? Inutile cercare riscontri alle calunnie dell'Istituto, che non siano frasi estrapolate dal loro contesto e messe assieme secondo la tecnica luridetta del collage disonesto. Con questa tecnica, “i compagni di Battaglia Comunista auto-organizzandosi negano la necessità del partito politico e quindi nei fatti abbandonano la via maestra del marxismo rivoluzionario per approdare all'anarco-sindacalismo”. Inutile ribadire che mai abbiamo detto, né tanto meno pensato, una simile sciocchezza, e che per noi (e, un tempo, anche per i membri dell'Istituto,) “auto-organizzazione” significa lotta dal basso, autonoma dal sindacato, se non contro il sindacato medesimo; ma che importa? Ciò che importa, per i compagni di merende del suddetto circolo para-intellettuale, non è la realtà, ma i loro deliri astiosi, la loro logica formale, dove tutto torna, se si trascura però il fatto che le premesse da cui partono sono sbagliate. Ancora, con faccia tosta da primato, ci attribuiscono il loro atteggiamento caratterizzante, accusandoci, noi!, di chiuderci nei nostri circoli: “Nel rimanere chiusi nel proprio circolo si corre il rischio di perdere il senso della realtà e scambiare un circolo di discussione politica per un'Assemblea Proletaria”. Né prima né dopo la comune militanza nella stessa organizzazione, non è certo a noi che si può dirigere l'appunto di non muovere il culo (ci scusiamo per la volgarità), né di non guardarci attorno per cercare di capire come stia andando il mondo e, in primis, la lotta di classe. Che dire, dunque? Che gli istitutori mentono sapendo di mentire oppure che le loro contorsioni mentali rappresentano un caso interessante per la psicoanalisi... o l'uno e l'altro assieme. Ma i nostri lettori abituali conoscono bene quei figuri e i loro metodi balordi, che li porta a fare strame, non solo della verità, ma anche delle più elementari regole della “morale” rivoluzionaria. Si chiamano Istituto Onorato Damen (richiamandosi cioè a uno dei maggiori esponenti della sinistra comunista) ma per dichiarare l'esperienza della sinistra comunista fallimentare - dalla fondazione del Partito Comunista Internazionalista ad oggi – quando invece, al tempo dei contrasti interni, pretendevano di essere i veri custodi dell'ortodossia della sinistra comunista, minacciata da fantomatici eretici. Trattavano con sufficienza (per usare un eufemismo) i gruppi e i compagni/e prodotti dalle varie diaspore o espulsioni avvenute dentro la sinistra comunista internazionale, facendo resistenza passiva verso le “esplorazioni” da noi compiute nei confronti di quei compagni/e e di quell'ambiente, mentre ora ostentano un'apertura persino leziosa verso gli ambienti che un tempo fulminavano (e non sempre a torto, per altro). Infine, per così dire, non esitano, col cinismo tipico del borghese o dello stalinista (il che, nella sostanza, è la stessa cosa), a strumentalizzare la memoria dei compagni più cari, pur di accreditarsi come gli eredi legittimi di quei compagni. Per esempio, dedicano il loro libro-collage sulla crisi a Mauro Stefanini, definito “nostro compagno”, per demolire (e denigrare) tutto ciò che il compagno Mauro in vita ha contribuito tanto generosamente a costruire, senza contare che è molto difficile attribuire a chi – purtroppo – non c'è più questo o quell'altro comportamento, anche se ci permettiamo di dubitare che Mauro (così come Onorato) sarebbe salito sul pallone gonfiato chiamato Istituto. Sicuramente, Mauro, che maneggiava “discretamente” la critica dell'economia politica, in merito alla caduta del saggio del profitto - uno dei principali motivi di contrasto che i catanzaresi usarono come una clava contro i presunti somari - scrisse cose esattamente opposte a quanto i sodali dell'Istituto sostenevano prima e dopo di essere buttati fuori. Nella fattispecie, Mauro, nel solco del Capitale di Marx, sosteneva correttamente che è lo sviluppo della produttività sociale del lavoro a provocare, alla lunga, la caduta del saggio del profitto e non il contrario, come sostengono invece gli istitutori, che, evidentemente, sono rimasti a cavalcioni di quel pons asini (ponte dell'asino) citato da Marx in una lettera a Engels relativa al saggio del profitto (30 aprile 1868).
Riassumendo il tratto caratterizzante dell'Istituto: criticare a sproposito ogni nostra attività al solo fine di nascondere la pochezza e l'inutilità teorica e pratica dell'Istituto stesso ai fini della battaglia rivoluzionaria; da qui l'agitarsi in maniera scomposta, inveendo a destra e sinistra per nascondere la completa inconsistenza dei suoi motivi fondanti.
Nonostante la deriva intellettualoide e le smanie napoleoniche che avevano preso gli ex compagni – ex compagni in ogni senso – pensavamo però che producessero ugualmente qualcosa di interessante per la causa, ma così non è stato. Quei piccoli Vishinsky (1) di provincia non riescono a produrre altro che mucchietti di sterco bilioso contro di noi - sia apertamente che tra le righe in diversi articoli da loro... partoriti - tanto che ora, tirati a più riprese per i capelli, abbiamo deciso di non ricevere più in silenzio queste badilate di materiale puzzolente. Non occuperemo spazio sul giornale, ma sul sito sì; speriamo solo che "persa un'altra buona occasione per tacere" non debba diventare una rubrica fissa della nostra pagina web. Conoscendo i produttori del sunnominato materiale, non escludiamo che ritornino alla carica, ma promettiamo a chi ci legge che cercheremo di limitarci al massimo nel richiamare in qualche mondo in vita chi è morto alla lotta rivoluzionaria.
A differenza degli istitutori, non amiamo perderci nelle sterili polemiche ma ovviamente, alla luce dell’articolo prodotto da Programma Comunista e dalle distorsioni dell’Istituto stesso, ritorneremo sull’argomento Assemblea proletaria di Bologna per le dovute precisazioni.
(1) Vishinsky era il pubblico ministero che durante gli infami processi staliniani di Mosca, tra il 1936 e il 1938, condusse l'accusa contro i vecchi bolscevichi sopravvissuti, imbastendo contro di loro accuse assurde, per giustificarne lo sterminio. Quei compagni bolscevichi della prima ora vennero accusati, tra le altre cose, di aver complottato contro Lenin fino al punto di progettarne l'assassinio, di essere agenti della Germania nazista, del Giappone fascista nonché, naturalmente, del “mostro” per eccellenza, cioè Lev Trotsky.
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