Problemi della propaganda e dell'agitazione comunista

Per una attività complessiva di rilancio del metodo, del lavoro e della organizzazione rivoluzionaria

Sono trascorsi sette anni dalla prematura scomparsa del nostro indimenticabile compagno Mauro Stefanini. Sempre ricordandolo, riprendiamo di seguito, e in parte sintetizziamo, i punti salienti contenuti in sue due note editoriali pubblicate sui n. 2 (1991) e n. 3 (1992) di Prometeo serie V. Sono oggi attuali nell'indirizzare al meglio, consolidandolo, un lavoro intrapreso in prima persona dallo stesso Mauro e da noi proseguito anche in questi anni nei quali la sua mancata presenza è pur stata per noi tutti profondamente sentita.

Siamo al 1991 quando, dopo il crollo della tragica esperienza del “socialismo in un solo Paese”, Stefanini rilevava come conseguenza di tale fallimento il tentativo borghese di

negare la classe, la sua esistenza, per annegare il tutto nel magma indistinto della cittadinanza borghese e della relativa politica (ovvero della amministrazione della società così come essa si presenta). Per ora il tentativo è parzialmente riuscito, visto che i pretesi comunisti di cui sopra, e ancora desiderosi di rimanere in attività, sembrano considerare più presente e importante, ai fini del cambiamento dello stato di cose presenti, il movimento femminista e/o ambientalista, che la classe operaia. Cercano così di salvare capra e cavoli: da una parte dichiarano finita un'esperienza, evitando peraltro di rinnegarla attraverso una sua seria revisione critica, dall'altra si riciclano su terreni per loro inesplorati e presunti fertili di nuove carriere.

E quando si fa riferimento al marxismo, esso

resta così solo puramente formale, come a una generica dottrina di "liberazione" e di uguaglianza, sospesa nell'aria e di cui non vale la pena indagare e conoscere il metodo e i contenuti. Ecco come i promotori di una delle associazioni in oggetto (il Laboratorio critico marxista di Milano) presentano il comunismo: “Siamo certi che il comunismo è una filosofia complessa, intrecciata di idee e teorie, pensatori e avvenimenti storici... Viene spontaneo il parallelo con altri pensieri come il cattolicesimo, che non si estrinseca solo nelle Crociate o nella Inquisizione o le idee liberal-democratiche o qualunque altro pensiero teorico. Ognuno di questi deve essere affrontato nella sua complessità e nelle sue varie articolazioni, pertanto ribadiamo che nei nostri 150 anni di storia vi è la stessa complessità di pensiero intrecciata con i grandi momenti storici”. Ecco mistificata così la natura del comunismo: non più scienza della emancipazione di classe, arma critica per la preparazione della critica delle armi verso la formazione borghese della società, ma una religione come il cattolicesimo. Come l'Inquisizione è espressione del cattolicesimo ma non lo esaurisce perché è sua espressione anche il gesuita Pintacuda, così lo stalinismo rimane espressione del comunismo, pur senza esaurirlo, perché ci sta anche Gramsci in forzata compagnia della Luxemburg. Così viene liquidata la necessità di ridiscutere tutto sulla base di una riappropriazione del metodo marxista: tutto va bene, nulla è esaustivo.

Ma, aggiungeva Stefanini:

1) la classe esiste; 2) le sue condizioni di vita peggiorano; 3) il comunismo è altro, capace di vera critica dell'esistente e di prospettare il vero cambiamento.
Oggi è forse più possibile di ieri dimostrare tutti e tre i punti e ridare così fiato all'internazionalismo, per lo meno fra gli strati di classe più avvertiti e attivi. Si tratta di riprendere il lavoro quasi daccapo, non certo nel senso di cancellare o dimenticare gli sviluppi raggiunti dalla elaborazione marxista, che anzi devono avanzare, ma tornando, soprattutto nella propaganda e nella agitazione, a quei principi elementari che bisogna, appunto, daccapo dimostrare.

Cioè verificandoli nel confronto coi movimenti reali che storicamente si possono constatare:

E' infatti da queste verifiche che le forze rivoluzionarie trovano l'alimento migliore per la propria crescita in seno alla classe, sino a riuscire a costituire quel polo di riferimento distinto e solido di cui tanto si sente la necessità. Sia perché attraverso di esse si dimostra presso i marxisti la validità di un metodo e di un corpo di tesi, sia perché è con le verifiche concrete, anche a livelli per noi "inferiori", che il comunismo, nella sua originaria accezione internazionalista, può riprender fiato nella classe. Le nostre certezze, infatti, non bastano se non si riesce a rompere il muro di falsa coscienza che la formazione sociale e politica della borghesia e i suoi difensori hanno costruito attorno a quelle che potrebbero invece essere avanguardie militanti della classe.

Aggiungiamo, sicuri di interpretare il pensiero di Mauro, che non è stata e non è nostra intenzione fare cultura marxista o semplice evangelismo, dando al marxismo stesso una patente ideologica, laddove - a parte il suo postulato fondamentalmente materialista - l'unità fra teoria e prassi costituisce il punto essenziale del marxismo stesso, della sua concezione di metodo critico del presente stato di cose (società capitalista e borghese) e strumento politico per il suo superamento.

Lo sviluppo di una coscienza di classe nel proletariato e il risultato di una attività tanto di analisi teorica quanto di impegno politico-organizzativo. Produrre analisi e critica teorica e fornire indicazioni politiche è compito prioritario del partito che nei suoi periodi storici di maggior presenza e attività non è mai venuto meno a questa esigenza, posta anche a base della formazione dei quadri militanti. Nel passato è stato prodotto in tal senso molto materiale (soprattutto nei momenti migliori della Seconda e della Terza Internazionale) con pubblicazioni di riviste, libri, documenti, eccetera.

Con l'avvento dello stalinismo abbiamo assistito non solo ad una deformazione della teoria marxista (e della sua applicazione pratica) ma anche ad una generale riduzione sia delle elaborazioni teoriche sia di selezionate raccolte di quanto fino ad oggi può costituire un patrimonio importante per la ripresa di un filo rosso, nel tempo aggrovigliatosi in una matassa confusa di mitologiche, velleitarie, eclettiche combinazioni ideologiche che poco o nulla avevano ed hanno a che fare col marxismo (o, come si usa dire, col “pensiero” di Marx). Queste deformazioni solo in parte sono state corrette (anche ad opera di qualche contributo estraneo alla nostra corrente e al nostro partito); in buona parte sono diventate luoghi comuni diffusi anche in frange “antagoniste” al capitalismo.

Occorre impegnarsi con tutti i mezzi e le forze disponibili per avviare un lavoro di riproposizione e trasmissione alle nuove generazioni proletarie del patrimonio teorico e politico che si è accumulato nel tempo, naturalmente ancora una volta depurato dalle molte infiltrazioni devastatrici operate dallo stalinismo, e non soltanto da esso. Devastazioni tanto teoriche quanto politiche che, come risultato finale, hanno portato molti proletari ad un rifiuto del partito quale organizzazione politica di classe, cadendo nelle braccia di un volontarismo e di un movimentismo fini a se stessi.

L'ideologia e la prassi politica borghese rispondono al

tentativo di negare la classe, la sua esistenza, per annegare il tutto nel magma indistinto della cittadinanza borghese e della relativa politica (ovvero della amministrazione della società così come essa si presenta).

D'altra parte, chi invece si propone con un vago riferimento al marxismo, lo fa in modo

puramente formale, come a una generica dottrina di “liberazione” e di uguaglianza, sospesa nell'aria e di cui non vale la pena indagare e conoscere il metodo e i contenuti.

E' una necessità imprescindibile - per chi voglia contribuire in qualche modo a una futura ripresa rivoluzionaria - il contrapporre alla retorica populista l'abc del marxismo e dei principi classisti. Alla critica generale, in qualche modo teorica, degli avversari palesi e nascosti del punto di vista di classe, deve accompagnarsi un'attività complessiva di rilancio del metodo, del lavoro e della organizzazione rivoluzionaria. Questo rilancio passa attraverso:
* la presentazione dei risultati cui giunge l'applicazione della critica dell'economia politica presente;
* la traduzione di questi risultati in termini di prospettive aperte al rapporto fra le classi;
* la individuazione, in questa prospettiva, delle linee da seguire nel processo di ricomposizione della classe;
* il lavoro politico-organizzativo in seno alla classe stessa e all'intera società perché i rapporti di forza mutino in favore del proletariato e delle sue proprie prospettive rivoluzionarie.

Dalla consequenzialità formale delle attività "di partito" non discende una loro scansione nel tempo, indipendentemente dalla battaglia politica reale. E' nella battaglia politica stessa, che si realizza pienamente l'unità del lavoro di partito. E' nel lavoro politico-organizzativo nella classe, per esempio, che emergono gli oggetti del lavoro teorico più adeguati, non nella mente di qualcuno che, stando fuori dalla realtà della vita politica di classe, fissa le sue priorità, narcisisticamente credendole "i veri problemi". Basta questo a mostrare come si debba necessariamente parlare di lavoro di partito, quando si tratta di rilancio del lavoro rivoluzionario: non una o due persone dedicate o questo o quell'aspetto del lavoro, di per sé inconcludente, ma una pluralità di apporti, di capacità e di esperienze che si coordinano a comporre l'insieme di teoria, pratica e organizzazione rivoluzionarie.

La dinamica del lavoro politico è contemporaneamente di omogeneizzazione e di decantazione, di coesione e di selezione. Ciò che conta è la condivisione del punto di vista di classe e delle linee guida, metodologiche e di sostanza, nella sua adozione. E tanto più ciò vale quando si tratta del lavoro “teorico” di applicazione della critica dell'economia politica.

Novembre 1992, la classe operaia italiana sta subendo una serie di attacchi senza precedenti dal secondo conflitto mondiale

In Prometeo n. 4 - Novembre 1992, nell'editoriale "Una fase di passaggio" Mauro Stefanini tracciava uno schizzo della situazione riguardante i primi attacchi a quello Stato sociale che oggi la borghesia sta smantellando colpo su colpo. E già allora leggevamo - in una analisi che pur nella sua concisione potrebbe essere scritta oggi - di quale portata era l'attacco che cominciava ad essere portato contro il proletariato da un capitale.

È sotto gli occhi di tutti che lo "stato sociale conquistato in quarant'anni di lotte del movimento operaio", sta subendo lo smantellamento sistematico. Ma c'è di più: il salario viene decurtato e tutto il fronte borghese sta lavorando alla radicale modifica della sua struttura.

La manovra sul salario ha due obiettivi. Il primo è di comprimerne l'ammontare complessivo, sociale, per recuperare su quel fronte quanto il capitale perde dalla caduta del saggio di profitto per effetto dell'aumento della sua composizione organica. In sostanza i capitalisti, guadagnando meno in rapporto al capitale investito, cercano di difendere i propri saggi di profitto erodendo direttamente il salario operaio.

Il secondo obiettivo è quello di adeguare la struttura del salario alla nuova organizzazione del lavoro comprato con il salario stesso. La rivoluzione del microprocessore ha mutato radicalmente il processo lavorativo, rispetto ai modi (fasi e procedure) in cui si presentava fino a ora. La organizzazione scientifica (tayloristica) del lavoro deve essere sostituita con le nuove forme di organizzazione sostanzialmente adeguate alla flessibilità del processo produttivo oggi richiesta.

La manovra assume le caratteristiche dell'attacco brutale perché è attuata senza alcun ammortizzatore, senza paracadute, con la precipitazione del si salvi chi può.

Non è una scelta del capitale, dei padroni e del loro stato: è una loro vitale necessità.

Qui va chiarito un punto. È vero che lo stato sociale, o welfare state, è stato strappato da quaranta anni di lotte del movimento operaio. Ma è anche vero che al fianco del movimento operaio, su quel terreno, c'era anche la borghesia illuminata, l'intellighenzia keynesiana. In termini più classici: quelle conquiste non erano realmente tali, rispondendo bensì agli interessi del capitale nella fase espansiva del suo ciclo di accumulazione. Lo "stato sociale" era lo stato ideale delle metropoli avanzate del capitale. La Svezia lo aveva, ben più sviluppato ed efficiente che da noi, senza la Cgil, senza il Pci e senza grandi tornate di scioperi.

Ora la fase del ciclo di accumulazione non è più espansiva, ma è quella di crisi o di chiusura. Il capitale, dunque, attacca senza disporre di margini di manovra: se attacca il welfare state, è perché non può farne a meno; e non si torna indietro. E questo vale in Italia, come in Svezia, in Gran Bretagna come negli Stati Uniti.

Questo, che è per noi una ovvietà, è invece il nodo di fondo che tutti qui si affannano a nascondere. E quando diciamo tutti ci riferiamo anche a quelli che si presentano come progressisti, innovatori o addirittura rivoluzionari, all'interno - e non solo - delle istituzioni borghesi: sindacati e Rifondazione comunista, per intenderci.

Il dramma storico è che il loro sforzo è in parte premiato: la classe operaia ancora cede all'illusione che si possa tornare indietro, che comunque si possa mitigare la portata degli attacchi, che si possano salvaguardare... "le conquiste di quaranta anni di lotta".

Chi, e non manca, non crede più alle possibilità di difesa sul terreno che vedeva unita la classe operaia (per noi, da sempre, riformista e sostanzialmente perdente, ma tant'é), cede invece alla disperazione e cerca sul mercato delle idee quelle che gli sembrano più originali, di rottura. Non conta che non stiano in piedi sul piano teorico né che non siano poi tanto originali, perché ripescate invece dalle pieghe più oscure del passato. Quel che conta è che siano appunto... di rottura. Tanto più successo tali idee avranno, se a sostenerle ci sono strati consistenti di borghesia, con la dovizia di mezzi necessari a farle circolare e a dare loro magari sostanza organizzativa. Un esempio è il leghismo…

Il crollo dell'Unione Sovietica e dei miti che l'hanno accompagnata, ha significato anche il crollo delle idealità che hanno tenuto insieme la classe operaia quantunque su un terreno che non era il suo. Il risultato è che la parola comunismo non esercita più il fascino che esercitava sulle masse operaie, sebbene fosse riferita a realtà che erano la negazione del comunismo. È morto il falso mito del "comunismo reale", e non è rimasto nulla. D'altra parte l'ideologia "comunista reale" aveva cancellato proprio il significato vero di quella parola, di quella idea.

La classe operaia non trova più alcun punto di riferimento e rimane in balia dei marosi ideologici di una borghesia, anch'essa allo sbando. E

la classe operaia ha subito, d'altra parte, un processo di scomposizione reale, che ha naturalmente accompagnato la ristrutturazione/rivoluzione tecnologica. Le linee di ricomposizione materiale della classe si stanno definendo. Lo sforzo della avanguardie è teso a riconoscerle e inserirsi in esse per fare concrescere il punto di riferimento, per dare una prospettiva, nuova, quantunque formulata da lungo tempo.

La lotta di difesa degli operai si scontra con il muro delle compatibilità capitalistiche. Di fronte a tale muro si fermano tutte le forze che non hanno mai osato pensare a ciò che stava dietro. Noi dobbiamo ridare conto di quel che ci può essere dietro, ridare la forza di guardare oltre e lo slancio per abbattere il muro.

La classe riparte da zero, ma le sue avanguardie hanno - o possono avere - il patrimonio di elaborazione, di lotta e di esperienza politica di un secolo e mezzo di storia del movimento rivoluzionario.

Si riparte daccapo, ma ricapitolando le acquisizioni delle battaglie e delle sconfitte passate. La classe necessita del suo partito e noi siamo impegnati a ricostruirlo. Ne compendiamo qui le basi fondanti Ma ricordiamo che c'è bisogno di uomini, della loro volontà e della loro organizzazione, perché il partito possa procedere e affermarsi nella classe.

Mauro jr. Stefanini
Giovedì, May 3, 2012