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Home ›Val di Susa: un treno chiamato capitale
Solidarietà alla lotta anti-TAV
Com'era previsto, lo stato borghese ha ovviamente messo a disposizione dei suoi mandanti la forza, caricando gli oppositori di una delle più spudorate inutili “grandi opere”: il TAV in Val di Susa. Il ministro Maroni, difensore di “comunità” locali - purché non intralcino il business di amici e circonvicini (sono molteplici le infiltrazioni delle mafie nel nord Italia, interessate, non da ultimo, alle opere “pubbliche” e all'edilizia in generale) - stavolta se n'è appunto fottuto delle “genti del Nord” e ha scatenato le sue truppe, elogiandole, in seguito, per la “missione compiuta”? E' davvero compiuta? La popolazione valsusina, almeno quella contraria a un’opera costosissima, inutile per la società, devastante per l’ambiente e molto pericolosa per la salute - vista la presenza di uranio e amianto nel sottosuolo - sembra invece determinata a non far passare l'ennesima predazione, del territorio a favore di pochi, ma molto forti, gruppi borghesi (legali o illegali, secondo la stessa legge borghese). La speculazione finanziaria e immobiliare, il saccheggio, la devastazione del territorio fanno parte del DNA del capitalismo, ma vengono esasperati nelle epoche, come questa, di crisi profonda del modo di produzione capitalistico
La situazione in Val di Susa è emblematica sotto vari aspetti. Innanzitutto dimostra che la mobilitazione sociale di massa è possibile anche quando i principali referenti politici e sindacali non si muovono e, anzi, si trovano dall’altra parte della barricata. Se infatti è vero che c’è stata l’adesione di molti sindaci valligiani, è anche vero che solo la FIOM e i partiti minori dell’opposizione si sono schierati col fronte anti-TAV (partiti che però, quando erano loro al governo, l’avevano sostenuta…), mentre la Cgil è rimasta - come sempre - fedele al PD.
È una protesta che si pone schiettamente sul terreno interclassista, che dimostra però come lo scollamento fra la più larga parte della popolazione e il mondo politico borghese alla prova dei fatti, ossia degli interessi concreti, sia lampante e irreversibile. Ma la situazione è emblematica anche perché dimostra che gli interessi del capitale, in questo caso la rapida circolazione delle merci (per altro in calo tendenziale, negli ultimi anni, in quella tratta) e gli affari miliardari legati agli appalti della grande opera, passano come un rullo compressore su tutto e tutti, indipendentemente dalle proteste, anche unitarie, della cittadinanza.
Ma la cocciutaggine dei montanari è proverbiale, e così, nonostante la militarizzazione della valle, nonostante le forti pressioni per dividere e spegnere così il fronte di lotta, la resistenza anti-TAV continua. L’importante è riuscire a essere più cocciuti del capitale, questo treno impazzito che, fino a quando la lotta di classe non intreccerà i binari su cui viaggia, continuerà ad accelerare sulla via del disastro…
Nel ribadire la nostra solidarietà alla lotta in Val di Susa contro il TAV, ci sembra doveroso sottolineare alcune questioni:
Ancora una volta, la borghesia e il suo stato hanno gettato la maschera dimostrando che il sistema del profitto è più che disposto a schiacciare con la forza chiunque osi ostacolarlo.
Ancora una volta, la generosa determinazione dei valligiani ci dimostra che qualsiasi movimento di massa è destinato ad essere riassorbito dal sistema (anche in caso di vittoria sulla questione specifica) o a naufragare sugli scogli dell’impotenza, se non si innesta sulla lotta di classe proletaria.
Ancora una volta, emerge con drammaticità la debolezza delle sparute forze anticapitaliste, cioè del partito rivoluzionario, le uniche che posso indirizzare le lotte, spostandole dal ribellismo interclassista – per quanto generoso e combattivo - alla prospettiva di un coerente anticapitalismo. I compagni singoli e sparsi, che pure esistono, dovrebbero trovare un motivo in più per rimboccarsi le maniche e dare il proprio attivo contributo allo sviluppo dell’organizzazione di classe.
L’inarrestabilità della crisi capitalista, il conseguente deterioramento delle condizioni di vita dei proletari e il sempre più ricorrente uso del manganello quale risposta al profondo malessere sociale, dovrebbero essere motivi più che sufficienti per superare esitazioni e incertezze. Bisogna allargare le lotte agli altri settori del proletariato e dissolvere le ingenue illusioni sulla “democrazia” borghese, anticamera sicura delle mattanze e della sconfitta.
Da Torino alla Val di Susa, dal Piemonte al mondo intero, la parola d’ordine è lotta di classe e partito rivoluzionario!
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