La lotta per la scuola, la scuola della lotta

Volantino per le manifestazioni del 12 marzo

Ci risiamo. L'inqualificabile presidente del consiglio, con la solita faccia tosta, si è lanciato in un ennesimo, sguaiato attacco contro la scuola “pubblica”, per farsi perdonare i peccatucci dalla gerarchia ecclesiastica, rilanciando il ruolo, cioè i finanziamenti, alle scuole private (cattoliche, per lo più). Giustissimo, dunque, indignarsi e protestare, ma la sguaiataggine berlusconiana ha anche un altro obiettivo: distogliere, come d'abitudine, l'attenzione dai gravissimi attacchi cui è oggetto il mondo della scuola e non solo.

La dura realtà della crisi e della “riforma”. L’attacco alla scuola pubblica, e a chi vi lavora, è uno dei fronti principali attraverso il quale il padronato italiano vuole far pagare i costi della sua crisi ai lavoratori.

Come Brunetta taglia entro il 2013 300.000 posti nel pubblico impiego, e come il padronato è ovunque all’attacco, così il duo Gelmini-Tremonti nella pubblica istruzione non ne licenzia meno di 135.000 tra docenti e ATA, riducendo al contempo le ore di lezione, i pochi fondi residui, innalzando il numero minimo e massimo di alunni per classe ecc., il tutto mentre l’edilizia scolastica cade pericolosamente a pezzi, vengono tagliati del 25% (!) gli appalti per la pulizia dei locali e le condizioni di tutti quelli che vivono attorno alla scuola peggiorano rapidamente.

Insomma, la “riforma” Gelmini delinea le caratteristiche della scuola pubblica di domani: poco personale, nessuna risorsa in più, se non quelle reperibili attraverso l’elemosina dei privati e il “contributo volontario-obbligatorio” dei genitori (i quali, già pagano la scuola pubblica con le tasse), condizioni lavorative sempre peggiori e quindi sempre peggiori condizioni per i ragazzi. Certo, non tutti gli studenti sono colpiti allo stesso modo: chi proviene da famiglie abbienti e può scegliere le private, anche grazie ai contributi statali, invece la massa, composta da figli di lavoratori che scegliere non possono, dovrà accedere ad una scuola sempre più simile a un baby-parking

Il sindacalismo che fa? La CGIL ha avanzato una linea di “lotta” ritenuta dagli stessi iscritti ridicola: un’ora di sciopero ogni 15 giorni dal 1 ottobre al dicembre 2010. Ma, nelle assemblee sindacali, semina scoraggiamento e rassegnazione, nella messianica attesa di uno sciopero generale che - fra due mesi! - non sarà altro che opera di testimonianza e nessun danno apporterà concretamente ai padroni. Ci rimane il sindacalismo di base! I sindacati di base sono quasi una decina ed hanno tutti piattaforma, rivendicazioni, modalità di operare molto simili, ma non si uniscono tra di loro nemmeno per uno sciopero, né lo faranno mai! Perché non capiscono che se i lavoratori fossero uniti sarebbe già un passo avanti? Perché continuano a frammentarci e a dividerci? Perché ritengono più importante conquistare migliori posizioni per la propria struttura di appartenenza indicendo scioperi isolati, piuttosto che mettersi al servizio della lotta di classe, come un sindacato decente dovrebbe fare? La nostra risposta è una e definitiva: perché il sindacalismo ha fatto il suo tempo. Insomma, (salva restando la buona fede di moltissimi iscritti di base) i micro o macro apparati sindacali vivono e si legittimano grazie alla nostra frammentazione, grazie al fatto che auspicano di presentarsi ai dirigenti (o ai ministri) come strutture autenticamente capaci di gestire il conflitto. Insomma il sindacalismo difende ormai solo più sé stesso, i suoi interessi di struttura e ha da tempo abbandonato gli interessi dei lavoratori.

E allora? Se il sindacalismo è impotente o complice dei governi, allora bisogna guardare altrove. Il punto di partenza devono essere necessariamente comitati di agitazione, i quali raccolgano i lavoratori più combattivi, iscritti o non iscritti ai sindacati, anche di tipologie differenti (docenti, ATA, personale educativo, pulizie, genitori proletari ecc.). Sono questi comitati spontanei, che nascono sulla base di rivendicazioni specifiche, che devono decidere come, quando e per cosa lottare (chi conosce i problemi e le possibilità di mobilitazione meglio di chi è coinvolto direttamente?) e parallelamente devono uscire dalla perdente logica di categoria per coinvolgere tutti coloro che a scuola lavorano e i genitori, molti dei quali stanno anch’essi subendo le conseguenze della crisi.

Le assemblee trasversali lavoratori/studenti/genitori devono uscire dalla singola scuola, per coordinarsi a livello territoriale, fuori e contro la logica del compromesso e della delega propria del sindacalismo, rifiutando così le contrattazioni al ribasso che politicanti e sindacalisti ci proporranno; i sindacati interverranno a mediare, ma noi dovremo avere la forza di porli davanti alla scelta: o si rispettano le decisioni dell’assemblea o faremo definitivamente a meno anche di voi.

Nel frattempo, scioperiamo e lottiamo, come sempre, non per la difesa della Costituzione - cornice giuridica dell'ordine sociale borghese fondato sullo sfruttamento - non in difesa della scuola “pubblica” in sé, espressione di quell'ordine sociale, ma per difenderci nell'immediato contro il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro - tanto del personale che degli studenti proletari e degli strati sociali più deboli - e nella prospettiva di costruire un mondo diverso e migliore.