8 Marzo: giornata internazionale della donna proletaria

Volantino distribuito a Roma

In questa società le feste hanno perso ogni valore, ogni ritualità, e vengono appiattite al fine unico di favorire la circolazione e il consumo delle merci. La festa della donna ne è l’ennesimo tragico esempio.

Alla fine del mese di marzo del 1911 a New York, 146 operaie della fabbrica tessile Triangle Shirtwaist Company (di cui molte italiane) rimasero tragicamente uccise in un incendio. Al momento dell’incendio i pro­prietari della fabbrica, che si trovavano al decimo piano, si misero in salvo. Non furono così fortunate le operaie. Infatti i loro padroni erano soliti chiuderle a chiave mentre lavoravano per evitare che rubassero (dicevano i padroni) o facessero troppe pause. Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 445$ per ogni operaia morta: il risarcimento alle famiglie fu di 75$.

Quell’incendio segna una data importante anche se non è da esso, come erroneamente riportato da alcune fon­ti, che trae origine la Giornata della donna. Tuttavia qualcosa è rimasto… Infatti la leggenda narra che sulla tomba delle operaie morte fossero fiorite poco dopo la loro sepoltura delle mimose! Insomma quel gesto ro­mantico propagandato dai media per la gioia dei fiorai, ha in realtà un'origine macabra e triste, un'origine pro­letaria che hanno pensato bene di far dimenticare a tutti in nome del dio denaro.

La vera e propria ricorrenza dell’8 marzo nasce ufficialmente per ricordare la prima manifestazione delle ope­raie di Vyborg (Pietrogrado) dell’8 marzo 1917. Le operaie entrano spontaneamente in sciopero e chiedono agli operai metallurgici il loro appoggio: in breve si arriva a 90’000 scioperanti, che danno vita a manifestazioni, comizi e violentissimi scontri con la polizia. Nel giugno 1921 la seconda Conferenza Internazionale delle donne comuniste, che si tenne a Mosca nell’ambito della Terza Internazionale, adottò formalmente quella data come Giornata Internazionale dell’Operaia. Giornata che le istituzioni borghesi hanno pensato bene di rinominare Giornata Internazionale della donna.

Questa festa, che ha origini proletarie, ora è solo la festa dei fiorai, venditori di dolciumi e commercianti vari. Bisogna la­vorare per restituire a questa festa la dignità e l’identità classista che merita con i mezzi della propaganda.

Noi riteniamo che l’oggettivo incremento delle violenze sulle donne sia dovuto anche alla crescente decadenza di costu­mi e abitudini, riflesso della crisi economica, e alla sopravvivenza culturale di tradizioni patriarcali nel pensiero comune, tradizioni che saranno superate solo con l’avvento della società comunista. Tuttavia questa reazione irrazionale, questa tradizione oppressiva quanto la società che l’ha generata, va condannata ma soprattutto combattuta. Combattuta con i mezzi della propaganda per la costruzione di un'organizzazione rivoluzionaria internazionalista, per il superamento del capitalismo. Ma soprattutto va combattuta dalle donne proletarie che ne sono le vittime, assieme a tutto il resto del proletariato.

Le donne proletarie devono lottare, assieme ai loro compagni di classe, per la propria sicurezza, dando vita ad organismi di classe indipen­denti da partiti istituzionali, associazioni borghesi-cattolico-caritatevoli e governi. Basti pensare anche agli ultimi episodi… come ad esempio allo stupro avvenuto in caserma pochi giorni fa: come può uno Stato che stu­pra garantire qualcosa? Le donne proletarie, assieme a tutto il proletariato, devono resistere innanzitutto contro la violenza di classe oltre che combattere contro le forme di violenza di genere e l’ideologia che le alimenta. Allo stesso tempo bisogna lottare per diffondere la prospettiva comunista, unica a poter cancellare la violenza di classe e le forme ideologiche che ancora alimentano la violenza di genere.

Bisogna condannare inoltre il femminismo istituzionale e borghese, femminismo che vuole di­menticare il carattere classista della lotta proletaria femminile, ossia della lotta contro il capitalismo, e il carat­tere patriarcale che esso emana. Non ha senso, inoltre, combattere il capitalismo senza conseguentemente combattere per il superamento di questo, ossia per la società comunista, unica società in cui la donna sarà libera dal lavoro domestico e da quell’istituzione egoistica qual è la famiglia. Bisogna rilanciare l’orgoglio proleta­rio anche a partire da questa festa degenerata nell’interclassismo borghese.

Sezione Arnaldo Silva, Roma