Difendere la nostra condizione, la nostra classe, la nostra causa

Da Amici di Spartaco 21 - Ottobre-novembre 2010

Come è ben noto a tutti, i comunisti sostengono la necessità dell’abbattimento del capitalismo. Niente di più giusto! Il capitalismo attacca in continuazione e senza tregua le nostre condizioni di vita e di lavoro in modo praticamente crescente. Come orientarsi di fronte ad attacchi tanto violenti, come fare a difendersi e come attaccare senza cadere nelle trappole del riformismo o dell’individualismo, a forme di protesta disorganizzate o manifestazioni asettiche? Partiamo da alcune considerazioni.

Il capitalismo, non avendo una soluzione pacifica per la soluzioni delle sue contraddizioni interne, attacca e indebolisce i lavoratori proletari attraverso la distruzione sistematica di tutte le forme di tutela che i lavoratori, con un insieme di lotte senza direzione né programma, si sono conquistati all’interno del sistema sociale borghese negli ultimi 50 anni. È ben inteso che dal punto di vista della produzione quelli erano tempi più floridi e tranquilli per la borghesia, ancora “libera” di elargire (ma senza mai regalare niente!) “caramelle” e sanità per diversi settori del proletariato. Ora invece, vista la crisi, il sistema fa quadrato e non solo sono state smantellate tutte le previdenze sociali, ma le imposizioni del padronato sono diventate ancora più pressanti, spingendoli a tagliare direttamente sui salari di chi sfruttato lavora.

La Borghesia infatti, si è definitivamente spinta verso modalità di sfruttamento inasprite rispetto a tutte le passate linee di condotta, con un processo di rincorsa al profitto senza regole e limiti. Oggi si ritrova a dover gestire una moltitudine di lavoratori inferociti e super sfruttati che, grazie agli assetti “democratici”, sono ormai incapaci di intendere cosa sia la rottura della pace sociale. Questo soprattutto “Grazie ai sindacati, con sentiti applausi” aggiungerebbe senz’altro il Sig. Marchionne; perché sappiamo benissimo, diciamo noi, che dietro lo smarrimento della coscienza proletaria si nasconde l’attenta trama del sindacato, che in ogni vertenza, in ogni stabilimento, cantiere navale o scuola, concerta con i proprietari e le istituzioni la nostra forza-lavoro e il nostro stesso futuro di lavoratori. In tal modo il sindacato mantiene salda la sua posizione nel sistema, svolgendo un ruolo di mediazione con la galassia degli sfruttati, legittimandosi così all’interno del sistema economico come agenzia di propaganda borghese e boia delle lotte operaie al contempo.

I modi per tagliare salario o gambe ai lavoratori sono un’infinità e tutti strettamente collegati tra di loro, strutturati in modo da dilatare il più possibile i tempi necessari per arrivare a conquistare con il sangue e i denti un posto di lavoro approssimativamente sicuro: lunghissimi periodi di prova per farsi assumere, poi un lavoro in nero o a chiamata, la precarietà dilagante altrimenti l’apprendistato, la divisione in categorie e sottocategorie e contratti bidone già pronti per ognuna di esse, poi ristrutturazione degli organici, con possibili delocalizzazioni del posto di lavoro o di interi stabilimenti industriali in posti dove la mano d’opera ha così poco valore da far venire i brividi su quali saranno le nostre prospettive future. Segue il filo della crisi appunto la cassa integrazione ed un licenziamento quasi certo.

Restare impassibili davanti a questo scenario non solo significa subire la crisi al posto di farla pagare al padrone, vuole anche dire farsi trascinare nel baratro dalla malattia degenerativa del loro decadente sistema di produzione e relazioni, lasciando di fatto inalterati gli equilibri di classe che ci opprimono.

È per questo che gli Internazionalisti esortano tutti i proletari, giovani e non, ad organizzarsi a livello permanente sulla base di un programma politico di classe anticapitalista e rivoluzionario. In primo luogo per non assecondare i giochetti e i vincoli, burocratici legali o sindacali che siano, che ogni volta sul posto di lavoro si frappongono tra la sete di profitto del padrone ed una vita dignitosa. In secondo luogo, se non vogliamo dipendere per il resto della nostra vita dagli odiati padroni, tale organizzazione ci servirà per ribaltare questa società infame e rimpiazzarla con un’altra, priva di divisioni di classe, di discriminazioni e privilegi.

È chiaro quindi che le lotte dei lavoratori debbano iniziare ad allontanarsi dalle logiche concertative che favoriscono il profitto dei padroni. Devono essere i lavoratori in prima persona ad iniziare ad autorganizzare le proprie lotte, fuori e contro (se necessario) il sindacato, formando assemblee sovrane dei lavoratori che decidano come organizzare le lotte dall’inizio alla fine, con i propri punti e problemi, scavalcando tutte le categorie e le diversità che dividono i lavoratori proletari l’uno dall’altro.

Bisogna iniziare a formare sui di posti lavoro comitati di lotta e di sciopero che rompano con le logiche riformistiche e stimolino i lavoratori alla lotta.

È arrivato il momento di smetterla di schierarsi dietro le bandiere delle sempre più numerose parrocchie e sigle sindacali; non possiamo permettere che i nostri problemi siano rappresentati da chi è allineato sugli interessi del nemico.

Basta deleghe, basta sacrifici, difendiamo con intransigenza le nostre condizioni, la crisi devono iniziare a pagarla i padroni e se non lo fanno gliela facciamo pagare noi! Organizziamo le lotte, supportiamo e uniamo i lavoratori sul territorio, facciamo fronte alla precarietà, ai licenziamenti, alla cassa integrazione e alle delocalizzazioni, solidarizziamo con gli operai degli stabilimenti all’estero delle fabbriche presenti in Italia.

La nostra parola d’ordine deve essere blocco della produzione e sciopero generale! Come in Grecia! Come in Francia! Solo la lotta paga!

Amici di Spartaco (FI)
Nemici del Capitale