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Home ›Le bugie del leghismo funzionali al super sfruttamento del proletariato immigrato
I pregiudizi e i luoghi comuni hanno la pelle coriacea, perché, in genere, sono l'espressione irrazionale di stati d'animo forti, quali l'inquietudine di fronte al nuovo o, adesso, la paura originata da una crisi economica tra le più gravi della storia del capitalismo. Se poi il pregiudizio è sapientemente alimentato dagli invasivi mezzi di comunicazione di cui dispone la borghesia per stordire le coscienze e deviare su falsi bersagli il malessere sociale, allora si può star sicuri che le bugie più strampalate avranno una forza di gran lunga superiore alle verità più evidenti.
È il caso della propaganda sugli e contro gli immigrati, che fa da tempo la fortuna di gente che, in altro contesto storico, avrebbe ben poca considerazione. Si parla della Lega Nord, naturalmente, sempre prontissima a difendere i poveri padani (?) dalle orde di immigrati, particolarmente famelici e diabolicamente astuti nel rubare posti di lavoro ai padani (?) suddetti, in primis, e poi, a scalare, al resto degli italiani. Lo ha ribadito non tanto tempo fa in una delle buffonate di massa simil-celtiche (poveri celti!) l'ex ministro Zaia, che coi suoi capelli impomatati ricorda più i bellimbusti da balera di gucciniana memoria che un quadro dirigente della quinta o settima borghesia mondiale. Ma tant'è, ogni borghesia esprime il personale politico che si merita. Insomma, il nuovo “governatore” del Veneto ha ribadito ancora una volta che, di fronte alla disoccupazione crescente, occorre pensare prima di tutto ai lavoratori italiani (avrebbe voluto dire “padani”, ma il politically correct...) e, dunque, di fatto, bisogna rimandare a casa loro i vari “negher” (non di rado, biondissimi) insinuatisi nelle aziende del patrio suolo.
La forza dello schiocchezzaio lagaiolo sta anche e non da ultimo nello spararle grosse, anzi, più sono grosse (le balle) e più facilmente vengono credute, proprio perché l'elettore medio della Lega “ragiona” secondo pregiudizi - originati in continuazione dalla struttura classista della società - secondo le pulsioni irrazionali che gli si agitano negli strati profondi della (in)coscienza. Oggi, infatti, rimandare ai loro paesi d'origine i lavoratori immigrati vorrebbe dire creare enormi problemi all'economia italiana, persino la paralisi, com'è ben documentato nel libro, molto interessante, di Riccardo Staglianò “Grazie” (1). Il testo è diviso in ventiquattro capitoli, tanti quante le ore del giorno, e a ogni ora/capitolo corrisponde un determinato settore dell'economia , sia produttiva che dei servizi. Una volta di più vengono sbugiardati i luoghi comuni imperanti sui TG e nei bar, riguardanti gli immigrati e i presunti privilegi di cui godrebbero grazie a impropri favori elargiti loro da stato ed enti locali compiacenti. Parlare di privilegi per i migranti ha dell'assurdo, ma se consideriamo che un presidente del consiglio pluriindagato (e prescritto o condonato) per corruzione e misfatti vari si erge a paladino della rettitudine pubblica, allora l'assurdità ci fa meno effetto, per così dire.
Ma andiamo al dunque. Il libro, dalle prime pagine, mette in rilievo il fatto che, mediamente, un lavoratore dipendente immigrato guadagna il trenta per cento in meno di un italiano; ma i vantaggi, per i padroni, offerti da questo settore della forza lavoro, non si fermano alla busta paga, sono infatti molteplici, com'è noto. Si va dalla disponibilità a coprire quelle mansioni tendenzialmente disertate dagli italiani, alla forte flessibilità nei tempi e nei modi di lavoro, il che, tradotto, significa ricattabilità e accettazione forzata delle peggiori forme di lavoro nero (ammesso che ce ne siano di migliori). Come attestano gli studi di organismi notoriamente bolscevichi, quali la Banca d'Italia e la Caritas, l'immigrato, in genere, non “ruba” nessun posto ai proletari/e italiani, anzi, fa sì che molte donne possano lavorare fuori dalle mura domestiche. È il caso, per esempio, delle badanti - oltre il 70% straniere - che per due euro all'ora sostituiscono uno stato sociale ampiamente picconato da governi di qualunque colore. Come osserva Staglianò,
le badanti non sono un lusso per i ricchi, che possono premettersi le cliniche private, ma una manna per i poveri.
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Ma in tutto il settore dei “servizi alla persona” la forza lavoro immigrata è in espansione, indispensabile e spesso gestita da banditesche cooperative in cui regnano le più brutali forme di sfruttamento e persino la violenza aperta. Lo stesso vale per le altrettanto sedicenti cooperative della logistica (facchinaggio) e delle pulizie, che vincono gli appalti con gli enti pubblici grazie al ribasso dei salari, al taglio dei tempi e, dunque, del personale. Tagli e ribassi imposti, se così si può dire, dalle accettate ai finanziamenti spettanti agli enti locali fatte dai governi: chissà se qualche giovane amico o parente di Zaia sarebbe disposto a pulire bagni o a tirare pavimenti per poche centinaia di euro, a velocità supersonica, dal tramonto all'alba. Se è così, un posto lo trova senz'altro.
Come si diceva, non c'è categoria che non veda la presenza degli immigrati. In molti reparti di tante fabbriche sono la maggioranza, a volte la totalità o quasi, come nelle concerie o nelle fonderie, dove, compreso, l'indotto, la forza lavoro immigrata raggiunge globalmente il 40-50%. Che dire, poi, del parmigiano-reggiano, della mozzarella di bufala o delle grigliate di pesce tanto di moda? Che senza gli immigrati dovremmo, se non scordarcele, quasi, visto che costituiscono la colonna portante dell'occupazione in quelli e in altri settori dell'agro-alimentare, come la drammatica vicenda di Rosarno ha mostrato.
Stesso discorso vale per i trasporti, dove le liberalizzazioni - figlie della più generale caduta del saggio del profitto - hanno, ovviamente, favorito le grandi imprese, stretto un cappio la collo dei padroncini e aperto la strada del più selvaggio Far West per le condizioni di lavoro degli autisti. Non a caso, Roman Baran, l'autista polacco il cui camion, sbandando per la rottura di un pezzo meccanico, provocò la sua morte e quella di altre persone, l'8 agosto 2008 sull'autostrada A4, stava lavorando ininterrottamente da quarantaquattro giorni, con un automezzo dalle gomme “bollite”. Anche quella strage è una gloria del just in time, cioè del deciso ridimensionamento del magazzino, a vantaggio, si fa per dire, del traffico stradale e della spietata concorrenza tra autotrasportatori, che trovano negli immigrati la manodopera “disposta” a orari di lavoro pazzeschi.
Non si può tacere dell'edilizia, dove il lavoro nero furoreggia sulla pelle di una forza lavoro per la metà, almeno, immigrata: il settore immobiliare, che ha avuto un ruolo non secondario nel gonfiare le illusioni sepolte in seguito sotto le macerie dei crolli avviati dai titoli subprime, si è fondato (e continua fondarsi) sull'ipersfruttamento dei muratori in gran parte immigrati.
Insomma, per l'ennesima volta, dalle fabbriche metalmeccaniche alle panetterie, la componente immigrata è ormai indispensabile, anche là dove è minoranza. Con essa, l'estorsione del plusvalore assoluto e la svalorizzazione della forza lavoro evidenziano il ruolo tuttora non marginale che ricoprono nel processo di accumulazione del capitale.
In chiusura di questa nota, è doveroso accennare a uno o due dati che dimostrano scientificamente l'inconsistenza di quello che, forse, è il principale cavallo di battaglia del leghismo-berlusconismo (e, sempre meno raramente, del centro-sinistrismo), tenace luogo comune nelle conversazioni da bar e da sala d'aspetto. Benché due tra le menti più rappresentative del centro-destra, quali Borghezio e Gasparri, ne mettano in dubbio la veridicità, secondo stime della Banca d'Italia e della Caritas, quando gli immigrati erano quattro milioni (quattro-cinque anni fa)
pagavano tasse per 5,8 miliardi di euro e usufruivano di servizi pubblici per circa 700 milioni di euro; [allo stesso tempo ...] a fronte di due milioni di lavoratori stranieri che versano contributi all'INPS, solo 6000 ne percepiscono una [di pensione - ndr].
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A questo bisogna aggiungere che molti immigrati, quando e se torneranno nei loro paesi d'origine, perderanno i contributi versati, che contribuiranno a pagare la pensione anche ai pensionati leghisti.
La crisi ha complicato sotto ogni aspetto la vita degli immigrati, sia perché, assieme ai giovani, sono stati i primi a essere licenziati, sia perché, se hanno conservato il posto, hanno dovuto ingoiare peggioramenti che la forza lavoro italiana accetta con più fatica e per tale motivo, a volte, le sono stati preferiti. È su quest'ultimo aspetto che la propaganda nazistoide del leghismo fa leva, nonostante si tratti, finora, di episodi poco numerosi e tali sono forse destinati a restare, nonostante un possibile incremento. Mai come in questi casi sarebbe, anzi, è necessaria la presenza nella classe di un'organizzazione coerentemente comunista per disinnescare potenziali e catastrofici conflitti fratricidi.
CB(1) Riccardo Staglianò, Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti, Chiarelettere, marzo 2010, €14,60.
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