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Home ›Solidarietà ai braccianti di Rosarno, contro sprangate e serrata padronale
Dopo due giorni di scontri a Rosarno si contano 66 persone medicate in ospedale: 17 residenti, 19 poliziotti, 30 immigrati. Due di loro sono stati colpiti a sprangate nella notte tra il 7 e l'8 gennaio da sconosciuti, e sono ora in gravi condizioni. Altri sono stati investiti. Questa è stata la risposta alla rabbia esplosa improvvisa il giorno prima, dopo il ferimento di alcuni extracomunitari, colpiti da alcuni codardi con un'arma ad aria compressa. La rabbia cieca degli immigrati, che si sono riversati in centinaia nella strada statale che attraversa la cittadina, non ha risparmiato niente sul suo cammino, lasciando una scia di auto danneggiate - alcune anche con persone a bordo - oppure date alle fiamme, cassonetti rovesciati. Le immagini delle proteste hanno trovato ampio spazio sui media (1).
La rivolta in realtà era inevitabile. Un video della BBC dello scorso febbraio (2) mostra le condizioni di vita allucinanti di questi fratelli proletari. Lo spettatore, come lo stesso giornalista, non può che rimanere incredulo di fronte ad una realtà che forse molti potevano immaginare solo in regioni distanti, ma difficilmente nel cuore della “civilissima” Europa. Per quei disgraziati che in una certa giornata hanno la “fortuna” di essere scelti dai caporali, la paga non supera i 20 euro, per 12 ore di duro lavoro al freddo, a raccogliere agrumi e ortaggi. Le condizioni sono da schiavitù, anzi per certi versi molti schiavi vivevano in condizioni migliori. Risale a maggio 2008 l'arresto di tre imprenditori, sempre a Rosarno, per “riduzione in schiavitù” di alcuni braccianti. Marco Rovelli, autore del libro “Schiavi”, descrive così l'ex cartiera di via Spinoza, dove erano ammassati fino all'anno scorso gli immigrati:
Un posto che il miglior scenografo hollywoodiano saprebbe difficilmente restituire in tutto il suo scenario apocalittico, entri e ti trovi in mezzo a una cortina di fumo, e l'abbaglio di fuochi in mezzo a questo lucore tagliato da fasci di luce che entrano dalle feritoie del tetto coperte da plastica gialla ondulata, come fosse una cattedrale della desolazione, questa è la vera, realissima wasteland che nessuno spettacolo illumina, fuochi per cucinare accanto alle baracche di assi di legno inchiodate, con pareti di cartone e plastica e ancora cartoni a far da tetto, fissati da scarpe, sassi e stivali. Cumuli di terra. Rifiuti. Ethernit. Detriti. Laterizi.
Negli altri edifici tuttora occupati, la situazione è identica. Bastava una scintilla per far esplodere la rabbia accumulata da anni, e la scintilla puntualmente è arrivata. Ai “rivoltosi”, a questi nostri fratelli proletari, diamo tutta la nostra solidarietà. Sarebbe auspicabile che tutti i compagni e i proletari (in Calabria, in particolare) dessero loro tutto il sostegno possibile, immediatamente, con picchetti, volantinaggi, manifestazioni. Purtroppo il livello di disorganizzazione e scoramento della classe, anche e soprattutto al Meridione, non lascia prevedere una discesa in campo significativa, ma nondimeno è necessario sostenere e difendere questi compagni che hanno finalmente mostrato che ribellarsi alle infamie del capitale è possibile. Questo è il momento della solidarietà, concreta; non è il momento di rimanere attoniti o farsi spaventare.
Le condizioni di vita del proletariato meridionale sono tra le più difficili e soprattutto senza alcuna prospettiva di miglioramento, in un contesto che è un vero e proprio deserto economico e sociale. Ne abbiamo scritto anche recentemente (3). La “desertificazione” produttiva della Calabria ha oggettivamente indebolito ancor più le possibilità di una risposta efficace - come, per esempio, lo sciopero. Inoltre il veleno del razzismo, inoculato in dosi massicce in questi anni, ha cominciato a fare i suoi effetti. Esemplare e del tutto scontata, in questo senso, la dichiarazione del ministro Maroni, che ha ovviamente incolpato gli immigrati degli scontri e - capolavoro di ribaltamento della realtà - delle miserrime condizioni in cui vivono, dello sfruttamento che subiscono a opera della borghesia locale, che in Calabria in gran parte si chiama ‘ndrangheta, sorvolando bellamente sul fatto che, se sono costretti a subire tutto ciò, a vivere in sottospecie di porcili, è anche “merito” della legge congegnata dal suo capo e dal “democratico” Fini.
La stessa 'ndrangheta potrebbe non essere estranea o contraria alla decisione di trasferire altrove i braccianti, in vari centri anche fuori dalla regione. Con l'assenso o meno dei contadini, ormai la raccolta potrebbe essere terminata, in una sorta di serrata (5). Dalle dichiarazioni anonime rilasciate all'Unità (4), come anche da quelle del Kollettivo Onda Rossa di Cinque Frondi (6), sembra infatti che gli immigrati siano andati a toccare personaggi e interessi scomodi, rompendo consolidate gerarchie sociali. Bene! Era ora che qualcuno lo facesse! Anche Roberto Saviano - che propone un percorso interclassista e legalitario, e per questo contraddittorio e sterile - coglie tuttavia un punto importante della situazione, quando afferma:
Gli immigrati sembrano avere un coraggio contro le mafie che gli italiani hanno perso poiché per loro contrastare le organizzazioni criminali è questione di vita o di morte. E qualunque sia la nostra opinione sulle modalità della rivolta è necessario comprendere che ad essersi ribellata è la parte sana della comunità africana che non accetta compromessi con la 'ndrangheta... Mi piace sottolineare, a questo proposito, ancora una volta, che gli africani vengono in Italia a fare lavori che gli italiani non vogliono più fare e a difendere diritti che gli italiani non vogliono più difendere.
Proprio il legame tra il proletariato italiano e quello immigrato è la questione essenziale. Un legame tutto da costruire, ma assolutamente necessario per la difesa degli interessi immediati e storici della classe lavoratrice. Al momento attuale, quel che emerge è invece una disastrosa, sadica e stupida ricerca del capro espiatorio, del razzismo come valvola di sfogo per una situazione che pare senza prospettive.
Lo sport più praticato dai giovani di Rosarno è la caccia al nero. Dove “nero” non designa un subasahariano, ma indica indistintamente - senza discriminazione - un africano: di pelle scura o chiara è lo stesso... Ci sono delle tecniche, per linciare un nero. Anzitutto, evidentemente, essere in gruppo. Poi appostarsi nei luoghi strategici, dove sei obbligato a passare se vuoi andare da un punto all'altro del paese.
La descrizione di Rovelli trova riscontro negli articoli recenti degli inviati nella zona, che riportano lo slogan martellante ripetuto da molti rosarnesi: “a casa 'sti niri”. Anche gli spari non sono una novità. Più o meno un anno fa si verificò un episodio simile a quello di oggi: da un'auto due giovani spararono alcuni colpi di pistola contro due ragazzi africani che tornavano dai campi. Anche allora ci fu una protesta di massa dei braccianti.
Emerge, una volta di più, la drammatica assenza di un saldo punto di riferimento rivoluzionario, cioè il partito di classe, che sappia collegare e convogliare le esplosioni di rabbia di alcuni settori proletari nella più generale lotta della classe, contro il sistema capitalistico. Oggi, (e da tanto, troppo tempo) il proletariato subisce o, al massimo, manifesta la sua rabbia e opposizione a questa società con episodi isolati, oppure con esplosioni di rabbia che però, finora, non rimettono in moto il grosso del lavoro dipendente e del proletariato in generale; dunque, o vengono repressi, o spariscono come acqua nella sabbia (almeno, così pare, benché sia difficile sapere con esattezza cosa si muove sotto la superficie).
La mattina dell'8 gennaio le proteste degli immigrati, comunque, sono riprese. Un corteo folto e combattivo si è presentato fin davanti al municipio, individuando nel potere politico borghese una delle cause del disastro sociale (tra l’altro, la giunta risulta commissariata per infiltrazioni mafiose). Anche in questo caso, si tratta di una iniziativa spontanea, da salutare con soddisfazione. Ma dal potere borghese non abbiamo da aspettarci niente. La politica dobbiamo cominciare a farla noi proletari, anziché subirla. Il potere spetta alla classe lavoratrice, unita.
Compagni, proletari calabresi, uniamoci alle proteste degli immigrati. Una classe, una lotta!
(5) Dei circa 2000 braccianti immigrati presenti nella zona tra Rosarno e Gioia Tauro, più di 1200 sono stati trasferiti dalle autorità entro il 10 gennaio, centinaia di altri si sono allontanati con mezzi diversi. ilsole24ore.com
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