Gaza - Una strage imperialista

Volantino per la manifestazione del 17/01/2009 a Roma

L’operazione israeliana “Piombo fuso” ha provocato finora, tra morti e feriti, migliaia di vittime, molte delle quali civili. Una carneficina che ha pochi precedenti nell’interminabile scontro medio orientale.

La feroce reazione israeliana al lancio di missili Qassam e Katjusha da parte di Hamas - dopo 18 mesi di isolamento politico ed economico - è scattata inesorabile su tutto e su tutti. Il lancio di missili è stato preso a pretesto per un’azione da tempo preparata, condotta con la massima determinazione e con l’uso di armi nuove e sofisticate. Una reazione apparentemente sproposita ma che contiene una serie di vecchi e nuovi obiettivi.

  1. Con questa operazione il governo di Gerusalemme intende chiudere la partita con Hamas, il che significherebbe eliminare l’avversario più intransigente sul terreno del nazionalismo palestinese e, al contempo, indebolire l’operatività di Siria e Iran - i suoi più importanti nemici nell’area mediorientale (a Gaza, le ambizioni imperialiste regionali iraniane e siriane stanno dietro Hamas, che è finanziata e rifornita da Teheran e Damasco, quest’ultima spera in un’altra umiliazione israeliana come quella inflitta da Hezbollah, suo protetto, in Libano nel 2006).
    Con questa nuova crisi politica e diplomatica - che investe tutto il mondo arabo - Israele chiude ogni trattativa con la Siria per la restituzione delle alture del Golan, strategicamente fondamentali per il controllo dei confini con Siria e Libano; queste terre sono inoltre ricche di bacini idrici e di terreni coltivabili.
    Contemporaneamente, la crisi di Gaza rappresenta il tentativo di Gerusalemme di mettere di fronte al fatto compiuto il neo-presidente americano Obama che, peraltro, ha già dichiarato di essere dalla parte dello storico alleato. Il che la dice lunga sulla continuazione del ruolo imperialistico Usa nella importantissima area medio orientale da parte della nuova amministrazione e delle intenzioni di Israele di ribadire il suo ruolo strategico in chiave anti-Iran e Russia per quanto riguarda il Big Game che si sta consumando nel centro-Asia per il controllo e lo sfruttamento di gas e petrolio. A questo si aggiunge la prospettiva di sfruttamento dei giacimenti di metano situati nella zona di mare di fronte a Gaza.
  2. Della situazione ne sta approfittando l’Ue, e in particolare la Francia, per riproporsi diplomaticamente prima, economicamente poi, all’interno di quell’area dalla quale è stata estromessa da anni.
    La devastante crisi internazionale non può che accelerare e intensificare episodi come questi. La logica dello scontro armato, della guerra è all’ordine del giorno dal Libano ai Territori occupati, dalla Georgia alla Cecenia, dal Medio oriente al Caucaso. In gioco non sono solamente gli interessi nazionalisti locali, bensì la ridefinizione internazionale dei rapporti di forza tra grandi e piccoli imperialismi che la crisi mette in drammatica fibrillazione.

Intanto, la popolazione civile e il proletariato palestinesi ne pagano il prezzo. Finché le masse sono agganciate agli interessi dell'islam politico, alle strategie di piccoli e grandi imperialismi di riferimento, per loro non c’è altra prospettiva se non quella di fungere da capro espiatorio per fini che a tutto servono meno che alla difesa dei loro interessi. O le masse arabe - oggi tocca ai palestinesi domani a qualsiasi altro proletariato che abbia la sfortuna di essere al centro degli interessi imperialistici - cominciano ad incamminarsi sul percorso autonomo della lotta di classe contro classe, o episodi drammatici come questi sono destinati a ripetersi, ingigantiti dal peso della crisi mondiale.

Oggi, il proletariato israeliano, intossicato da un'ideologia borghese uguale e contraria, si lascia intruppare per conto dei “suoi” borghesi: la guerra contro la popolazione di Gaza serve anche per far dimenticare lo sfruttamento, la precarietà, i bassi salari, la crisi economica, per unire borghesi e proletari sotto un'unica bandiera nazionale.

Oggi più che mai il capitalismo agonizzante non può che produrre crisi, sacrifici per il mondo del lavoro, fame crescente, miserie sociali e guerre.

Il futuro del proletariato arabo, e non, passa per il rifiuto delle politiche dei sacrifici, per la lotta senza quartiere contro le rispettive borghesie indipendentemente dal vestito che indossano: laico, progressista, populista o religioso. Passa per il disfattismo rivoluzionario contro le guerre comunque vengano proposte e giustificate; passa per la ricostituzione del partito rivoluzionario internazionale e internazionalista. L’immane sacrificio dei proletari di Gaza indica la drammatica urgenza della necessità di costruire una prospettiva internazionalista.