Gaza - La strage imperialista continua

Per il momento l'operazione israeliana piombo fuso ha comportato quasi 500 vittime, molte delle quali civili, 2000 feriti di cui la metà gravi. Una carneficina che ha pochi precedenti nell'interminabile scontro medio orientale.

La feroce reazione israeliana al lancio di missili Qassam e katjusha da parte di Hamas dopo 18 mesi di isolamento politico ed economico, è scattata inesorabile su tutto e su tutti. Il lancio di missili è stato preso a pretesto per un'azione da tempo preparata, curata nei minimi particolari e condotta con la massima determinazione e con l'uso di armi nuove e sofisticate. Una reazione apparentemente sproposita ma che contiene una serie di vecchi e nuovi obiettivi.

  1. Con questa operazione il governo di Gerusalemme intende chiudere la partita con Hamas. Non tanto e non solo perché così facendo eliminerebbe l'avversario più intransigente sul terreno del nazionalismo palestinese, (molto meglio fingere di trattare con la più arrendevole Anp di Abu Mazen), ma perché indebolirebbe l'operatività di Siria e Iran che continuano ad essere i suoi più importanti nemici sullo scenario imperialistico dell'area medio orientale. A Gaza, le ambizioni imperialiste regionali iraniane e siriane stanno dietro Hamas, che è finanziata e rifornita da Teheran e Damasco. Quest’ultima spera in un’altra umiliazione israeliana come quella inflitta da Hezbollah, suo protégé, in Libano nel 2006.
  2. Con la stessa operazione e con il conseguente innesco di una crisi politica e diplomatica che investe tutto il mondo arabo, Israele chiude ogni trattativa con la Siria per la restituzione delle alture del Golan. I negoziati si erano aperti poco tempo fa dopo anni di assoluto rifiuto. Per Israele le alture del Golan rivestono una duplice funzione. Sono strategicamente fondamentali per il controllo dei confini con Siria e Libano e rappresentano un vantaggio economico per la presenza di bacini idrici e per il possesso di terreni coltivabili.
  3. Contemporaneamente la crisi di Gaza rappresenta il tentativo di Gerusalemme di mettere di fronte al fatto compiuto il neo-presidente americano Obama che, peraltro, ha già dichiarato di essere dalla parte dello storico alleato. Il che la dice lunga sulla continuazione del ruolo imperialistico Usa nella importantissima area medio orientale da parte della nuova amministrazione e delle intenzioni di Israele di ribadire il suo ruolo strategico in chiave anti Iran e Russia per quanto riguarda il Great Game che si sta consumando nel centro Asia per il controllo e lo sfruttamento di gas e petrolio.
  4. Della critica situazione ne sta approfittando l'Ue, e in modo particolare la Francia, per riproporsi diplomaticamente prima, economicamente poi, all'interno di quell'area dalla quale è stata estromessa ormai da anni. Soluzioni negoziali a parte, che lasciano il tempo che trovano, la devastante crisi internazionale non può che accelerare e intensificare episodi come questi. La logica dello scontro armato, della guerra è all'ordine del giorno dal Libano ai Territori occupati, dalla Georgia alla Cecenia, dal Medio oriente al Caucaso. La posta in gioco non è soltanto la faida nazionalistica tra Israele e palestinesi, tra Russia e Georgia per il controllo dll'Ossezia del sud, ma la ridefinizione dei rapporti di forza tra grandi e piccoli imperialismi che la crisi mette in drammatica fibrillazione.

Intanto la popolazione civile e il proletariato palestinesi ne pagano il prezzo. Finché le masse sono agganciate agli interessi dell'integralismo religioso borghese, alle strategie di piccoli e grandi imperialismi di riferimento, per loro non c'è altra prospettiva se non quella di fungere da capro espiatorio da immolare su altari che a tutto servono meno che alla ripresa della lotta di classe, anzi sono l'ostacolo maggiore che oggi deve essere abbattuto. O le masse arabe - oggi tocca ai palestinesi domani a qualsiasi altro proletariato dell'area che abbia la sfortuna di essere al centro degli interessi imperialistici - cominciano ad incamminarsi sul percorso della lotta di classe, o episodi drammatici come questi sono destinati a ripetersi e a essere ingigantiti dal peso della recessione internazionale. Oggi più che mai il capitalismo agonizzante non può che produrre crisi, sacrifici per il mondo del lavoro, fame crescente, miserie sociali e guerre per garantirsi ancora un futuro. Il futuro del proletariato arabo, e non, passa per il rifiuto delle politiche dei sacrifici, per la lotta senza quartiere contro le rispettive borghesie indipendentemente dal vestito che indossano: laico, progressista, populista o integralista. Passa per il disfattismo rivoluzionario contro le guerre comunque vengano proposte e giustificate. L'immane sacrificio dei proletari di Gaza ne è un drammatico insegnamento.