Sicurezza del profitto e insicurezza di vita

Esiste una “questione sicurezza” come ci martellano ogni giorno tv e giornali??

Sì, certo, siamo d’accordo, ma non è quella di cui parlano loro (chiamarli signori ci suona indecente per quello che pubblicano e strillonano...): è la sicurezza di restare vivi e di avere un lavoro stabile e dignitoso. Le quali cose sono un chimera per un numero sempre maggiore di lavoratori senza distinzioni di età, titolo di studio e provenienza geografica.

Gli incidenti stradali fanno 8 volte le vittime della criminalità, ma, come dicono con un buon tot di ragione anche i comici, “gli incidenti stradali fanno aumentare il pil”; il lavoro - o, meglio, la sua natura di merce in vendita sul mercato - ne produce il doppio, mentre lo stesso Ministero degli Interni dice che i crimini violenti sono statisticamente ai minimi storici dal dopoguerra; eppure giornali e tv mostrano la loro - per noi scontata - natura di megafoni del padrone parlando di continuo dell’emergenza criminalità/immigrazione, ovviamente accomunandole nell’equazione immigrazione = criminalità.

È il famoso delirio securitario, che sentiamo ripreso ed amplificato mille volte in treno, bus, per strada da pensionati, operai, proletari in genere ecc.

Lo scopo è precisamente quello: inculcare nelle menti dei potenziali antagonisti del capitale che il nemico è quello più povero di loro o che aspira a diventare “povero” quanto loro (essendolo di più). Non chi peggiora le condizioni sostanziali di vita e di lavoro mosso dalla ricerca di profitti.

Il successo di queste campagne è devastante ed inversamente proporzionale alle capacità di risposta proletaria collettiva, sfruttando anche il radicato spirito proprietario di molti proletari indotto dall’ampia disponibilità di merci che riempiono le nostre merci-case (la proprietà di un bene implica il suo possibile furto; non si può essere derubati di ciò che si usa ma non si possiede).

Per cui ben vengano i militari nelle città, oggi forse più coreografici che altro, domani chissà... Gli unici che si lamentano sono infatti i settori borghesi che vivono di turismo preoccupati della pessima immagine che l’Italietta dà di sé all’estero in piena stagione turistica...

Noi sappiamo bene che la borghesia gioca d’anticipo e per ora con successo anche; sa bene che la crisi economica del suo sistema scaricata su milioni di famiglie proletarie (italiane ed immigrate) prima o dopo produrrà tensioni di piazza sensibili, e quanto più ciò avverrà in là nel tempo, tanto più esse saranno esplosive (almeno potenzialmente), quindi schiera i soldati nelle città con anni d’anticipo, con ampio sostegno nella popolazione, che intanto si abitua ad essi, in attesa di schierarli, un domani, magari proprio contro essa.

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Non a caso tali reparti sono quelli che da più di 15 anni svolgono le cosiddette missioni di polizia internazionale dalla Somalia al Kosovo, dall’Iraq all’Afghanistan per conto dell’imperialismo e sono già addestrati a rapportarsi con le popolazioni civili ed i relativi conflitti con esse (es. “la battaglia dei ponti” a Nassiria nel 2004, contro disoccupati e civili iracheni in corteo, od i mille altri massacri in giro per il mondo rimasti sconosciuti); basterà un domani cambiare le “regole d’ingaggio” come si dice in gergo e...

Un anticipo poi l’abbiamo già avuto nel 2001 a Genova col G8; i carabinieri presenti nella tragica, ma non casuale, “battaglia” di p.zza Alimonda (o Carlo Giuliani come è stata poi soprannominata) appartenevano ed appartengono ad un contingente già “esperto” di missioni all’estero (Somalia e Kosovo) dove loro compito era il controllo del territorio, la “gestione” della popolazione civile nonchè quello di addestrare le polizie locali prima del loro rientro in patria.

Ad essere pessimisti o maligni qualche pensiero dovrebbe sorgere... dato oltretutto che gli stessi analisti della borghesia prefigurano esattamente questi scenari per i prossimi anni e decenni.

La risposta passa inevitabilmente attraverso la ri-tessitura dei legami di classe sul territorio, nella prospettiva di una società senza classi né sfruttamento, sviluppando allo stesso tempo un lavoro di analisi e propaganda delle posizioni internazionaliste e comuniste, oggi - e temiamo ancora per un bel po' di tempo - ancora oscuro ed avaro di soddisfazioni, ma non per questo eludibile. Come sempre noi siamo al nostro posto.