Corrispondenza con l'EKS (Turchia) sulla natura dell'imperialismo

Non succede tutti i giorni che appaia nell'arena internazionale una nuova forza della classe operaia, ma nel 2006 siamo stati contattati dai compagni dell'Enternasyonalist Kommunist Sol di Turchia. Volevamo allora pubblicare il loro volantino sul Primo Maggio e la loro dichiarazione di principi ma in quel momento non abbiamo potuto per mancanza di spazio. Il volantino e altri documenti sono stati da allora ripubblicati su World Revolution. (1) In seguito i compagni ci hanno inviato i loro documenti sulla guerra in Libano, uno dei quali pubblichiamo qui. Condividiamo completamente l'intenzione di questo volantino di sottolineare il messaggio che i lavoratori non hanno nazione e che non possono identificare una frazione della borghesia come “progressiva” rispetto a tutte le altre. Il volantino tuttavia ci ha condotto a una breve discussione sulla questione dell'imperialismo, che pubblichiamo qui quale contributo alla chiarificazione della posizione di entrambe le organizzazioni. Speriamo di iniziare una discussione con i compagni sulla natura dell'intervento comunista nei luoghi di lavoro. Il fatto che essi abbiano già operato in questa direzione ci dimostra che costituiscono una aggiunta seria alla sinistra comunista.

Sulla situazione in Libano e in Palestina

Volantino dell'EKS

Il 12 luglio, subito dopo il rapimento dei soldati israeliani da parte di Hezbollah, il presidente israeliano Ehoud Olmert ha promesso ai libanesi una “risposta molto dolorosa e di grande ampiezza”. Il 3 luglio all'alba, lo Stato di Israele cominciava un'invasione e spingeva la sua classe operaia in una nuova guerra nazionalista ed imperialista. Lo Stato di Israele ha lanciato quest'invasione per i suoi propri interessi e senza preoccuparsi del sangue che poteva essere versato. In 15 giorni circa 400 civili libanesi hanno perso la vita. La recente tregua non garantisce che i massacri non ricominceranno poiché lo Stato di Israele ha mostrato che è pronto a distruggere tutto quello che minaccia i suoi interessi, non soltanto nell'ultimo conflitto ma anche attraverso la continua tortura dei palestinesi.

Tuttavia non dobbiamo dimenticare che Israele non è il solo responsabile di questo conflitto. Né Hezbollah, che attualmente attira l'attenzione del mondo per gli attacchi che sferra contro gli Israeliani con una violenza che eguaglia la loro, né l’OLP ed Hamas, che da anni conducono una guerra nazionalista in Palestina, possono essere considerati dei “puri”. Hezbollah, che Israele ha messo all’indice davanti al mondo prima dell'inizio del conflitto, ha ucciso civili israeliani con razzi che provengono dalla Siria e dall’Iran, durante tutta la guerra. Hezbollah è un'organizzazione antisemita e fondamentalista. Più importante ancora, contrariamente a ciò che pensano alcuni, Hezbollah non si è battuto per proteggere il Libano. Al contrario, è per i propri interessi che ha forzato la classe operaia libanese a raggiungere il fronte nazionalista e si è battuto soltanto per difendere i territori che controlla e l'autorità che detiene.

L’OLP, che ha spinto gli operai palestinesi dal terreno della lotta di classe alle grinfie della loro borghesia nazionale, ed Hamas che è altrettanto reazionario, violento, antisemita e fondamentalista quanto Hezbollah, anche loro non fanno che difendere i loro interessi. Qui è necessario descrivere brevemente cosa è l’imperialismo. Contrariamente a ciò che molta gente pensa, l’imperialismo non è una politica che esercitano i potenti Stati nazionali allo scopo di prendere il controllo delle risorse degli Stati nazionali più deboli. Al contrario, si tratta della politica di ogni Stato nazionale, o di organizzazioni che funzionano come uno Stato nazionale, che controllano una certa zona, le risorse di questa e che esercitano la loro autorità sulla popolazione di questo territorio. Più semplicemente, l’imperialismo è la politica naturale che pratica qualsiasi Stato nazionale o qualsiasi organizzazione che funziona come uno Stato nazionale. Come abbiamo visto nell'ultimo conflitto tra Israele ed Hezbollah, in alcune situazioni, gli Stati nazionali o le organizzazioni che funzionano come uno Stato nazionale, hanno conflitti d'interesse e questi conflitti sfociano in una guerra interimperialista.

In una tale situazione, ciò che dicono i gauchistes in Turchia e nel mondo, risulta ancora più ridicolo ed incoerente. In Turchia come nel mondo, la maggior parte dei gauchistes hanno dato il loro sostegno totale all’OLP e ad Hamas. Rispetto all'ultimo conflitto, si sono espressi unanimemente per dire “siamo tutti Hezbollah”. Seguendo questa logica, secondo la quale “il nemico del mio nemico è mio amico”, hanno interamente sostenuto questa violenta organizzazione che ha spinto la classe operaia in una disastrosa guerra nazionalista.

Il sostegno dei gauchistes al nazionalismo ci mostra perché questi non hanno molto di diverso da dire rispetto a quello che dice l’MPH (partito del movimento nazionale - i Lupi grigi fascisti) non solo su Hezbollah, OLP ed Hamas ma anche su altri argomenti. In Turchia, in particolare, i gauchistes non hanno alcuna idea di ciò di cui parlano.

La guerra tra Hezbollah ed Israele e la guerra in Palestina sono entrambe guerre interimperialiste, ed i diversi campi in gioco utilizzano, tutti, il nazionalismo per trascinare la classe operaia della loro regione nel proprio campo. Più gli operai sono risucchiati nel nazionalismo, più perderanno la loro capacità ad agire come classe. È per questo che né Israele, né Hezbollah, né OLP, né Hamas devono essere sostenuti, in nessun caso. Ciò che deve ricevere un sostegno in questo conflitto, è la lotta dei lavoratori per sopravvivere, non le organizzazioni nazionaliste o gli Stati che li fanno uccidere. E ancora più importante, ciò che si deve fare in Turchia è operare per la coscienza di classe e la lotta di classe che si svilupperanno qui. L’imperialismo ed il capitalismo incatenano i paesi gli uni agli altri; per questo l'indipendenza nazionale è impossibile. Solo la lotta della classe operaia per i propri bisogni può offrire una risposta.

Per l’internazionalismo e la lotta di classe!

Enternasyonalist Komunist Sol

Corrispondenza con l'Enternasyonalist Komunist Sol

Dall'EKS

Cari compagni,

innanzitutto grazie molte per averci scritto. Specialmente in quanto gruppo piccolo e nuovo, essere in contatto con la sinistra comunista internazionale è qualcosa che noi riteniamo davvero importante per la nostra chiarificazione come gruppo.

Condividiamo appieno la vostra enfasi su teoria e pratica. Questo è il motivo per cui la vostra pratica nelle fabbriche è infatti una cosa molto positiva, ed un passo in avanti. Noi inizieremo a pubblicare questo mese un bollettino sulle lotte di classe in Turchia. Come piccolo gruppo, in cui i militanti più attivi sono studenti, pensiamo che questo sarà infatti una cosa positiva per il futuro.

A riguardo del dibattito teorico sull'imperialismo, noi pensiamo che l'aspetto più importante che dobbiamo enfatizzare è il rifiuto concreto del nazionalismo, qualsiasi forma esso assuma, sulla qual cosa siamo d'accordo. La teoria è ovviamente molto importante, ma noi pensiamo che siano i principi di base quelli che contano di più, e siano i principi di base che tracciano il confine della Sinistra Comunista. Inoltre è anche importante notare che noi stessi stiamo ancora dibattendo sul tema dell'imperialismo all'interno del gruppo, per raggiungere una maggiore chiarificazione.

Detto ciò, pensiamo che sia necessario anche spiegare con maggior precisione la descrizione che abbiamo usato nel nostro volantino. È infatti del tutto vero che gli imperativi dell'imperialismo non possono essere cambiati, e forse “politica” può non essere la parola migliore (o la migliore traduzione, come dato di fatto) che potevamo utilizzare. Politica ci sembrava la parola migliore, ma ciò che noi volevamo dire, in pratica, è che l'imperialismo è capitalismo, in un certo senso. Dopo tutto, l'infrastruttura economica della società determina ogni aspetto della sovrastruttura socio-politica della classe dominante. In questo senso “politica” suona giusto, ma non è una politica modificabile, è la natura della sovrastruttura socio-politica della classe dominante, ed ogni stato nazionale, come pure i proto-stati, sono imperialisti per natura dato che hanno una infrastruttura economica di tipo capitalista. Questo è il motivo per cui la definiamo come la “politica naturale” invece di definirla semplicemente una politica.

A meno che le implicazioni di chiamare l'imperialismo uno “stadio” del capitalismo non conducano al punto di sostenere le “nazioni oppresse”, quelle che non hanno raggiunto lo “stadio” imperialista, contro le nazioni che stanno sperimentando tale stadio (sfortunatamente questo è ciò che fece Lenin), noi allora pensiamo che questa sia una questione puramente semantica.

Dopo tutto, avendo già detto che l'imperialismo è lo “stadio” in cui si trova il capitalismo, nel mondo intero, o la “politica naturale” della sovrastruttura capitalista, noi pensiamo che non ci sia alcuna differenza pratica, a parte il modo di esprimersi.

Grazie ancora della vostra risposta, pensiamo che sia stata molto buona per noi come gruppo. Speriamo di poter rimanere in contatto.

Saluti comunisti

Leo Uilleann per l'EKS

Dal BIPR

Cari compagni,

grazie per la vostra email. Ci scusiamo per non aver risposto prima. Anche noi riteniamo importante discutere con voi dato che voi portate nuovi elementi alla discussione, che ci obbligano a riesaminare la nostra visione del mondo. Infatti con i nuovi elementi la questione è come capire il più chiaramente possibile cosa stanno cercando di dire (al contrario di gruppi con cui abbiamo una lunga storia di dibattito).

Sulla questione dell'imperialismo come politica noi capiamo bene il problema di traduzione, dato che in inglese “politica” [policy] e “infrastruttura politica” [political framework] sono due idee diverse ma in francese ed italiano (come pure in altre lingue) esse sono rappresentate da una singola parola. Forse lo stesso accade in turco.

Siamo anche assolutamente d'accordo che dobbiamo stare attenti che noi non stiamo usando parole diverse per descrivere le stesse cose (questo è stato spesso il percorso di confronti politici reali nella Sinistra Comunista in passato). Infatti la questione della semantica può essere estesa anche a come noi ci caratterizziamo. Se noi pensiamo che siamo i soli comunisti (in contrasto alle varie distorsioni della rivoluzione proletaria che sono sorte sulle spalle della controrivoluzione, come trotskismo, maoismo e stalinismo) allora perché riferirci a noi stessi ancora come “sinistra”, solo perché è così che questi contro-rivoluzionari ci chiamano? Diciamo questo solo per fornire un esempio delle difficoltà della semantica!

Dovreste ora dirci di più sulla vostra separazione tra principi e teoria, dal momento che per noi le due cose sono strettamente intrecciate. I principi sorgono dalla pratica passata del movimento operaio e in quanto tali sono necessariamente parte di un processo teorico basato comunque sulla pratica.

Comunque per tornare proprio alla questione dell'imperialismo, cominciamo con la vostra frase che “l'aspetto più importante che dobbiamo enfatizzare è il rifiuto concreto del nazionalismo”. Siamo d'accordo che il primo compito dei rivoluzionari nella fase imperialista sia di mettere in guardia i lavoratori dal fatto che il nemico è nel nostro stesso stato. Questo è particolarmente vero nelle nazioni del Terzo Mondo, specialmente in America Latina (vedi Revolutionary Perspectives 39 e 40), dove gli “anti-imperialisti” sono nei fatti nazionalisti, perché non hanno una chiara comprensione dell'imperialismo, che essi identificano solo con “l'imperialismo Yanqui”. Se allora gli si indica che la classe dirigente in ogni stato dell'America Latina fa parte del meccanismo di sfruttamento imperialista dei lavoratori di quello stato, essi replicano che ciò avviene perché l'elite è una classe dirigente “vendepatria” (letteralmente quelli che hanno venduto la “madrepatria”). In breve questa è l'ideologia nazionalista di tutti i socialdemocratici, in nome dell'anti-imperialismo. Per questo noi sentiamo che dobbiamo avere una comprensione più profonda dell'imperialismo, che vada oltre l'intera idea di “politica”, sia che questo significhi l'intera infrastruttura del dominio imperiale, o qualsiasi politica di qualsiasi singolo stato. Nel vostro ultimo messaggio voi sembravate implicare una vision dell'imperialismo come una sovrastruttura politica che sorge dalla “infrastruttura” economica capitalista. Correggeteci qui se ci sbagliamo, dal momento che noi riteniamo che quello che avete detto in precedenza, che “l'imperialismo è capitalismo”, sia assolutamente corretto, per il giorno d'oggi. Ma questo non significa che ci sia una separazione tra base economica capitalista e sovrastruttura politica imperialista. Ciò che noi sosteniamo è che l'imperialismo è la fase raggiunta dal capitalismo, che sorge dalle leggi stesse dell'accumulazione capitalista. L'accumulazione è un processo di concentrazione e centralizzazione del capitale, ma ad un certo punto (e in termini storici questo è alla fine del diciannovesimo secolo) questo porta al monopolio. Le condizioni di monopolio portano alla distorsione della legge del valore, in una maniera tale che i monopolisti riescono a dominare il mercato mondiale vendendo a un prezzo inferiore rispetto ai loro rivali, ma al di sopra del valore. Gli stati nazionali sono obbligati a difendersi dalla depredazione di altri monopoli supportando i loro monopoli (era a causa di questo punto che la CWO pensava che l'imperialismo potesse essere ridotto ad una questione di politica). Le barriere tariffarie e l'espansione coloniale per mettere le mani sulle materie prime (cioè per aiutare a ridurre i costi del capitale costante) furono le risposte degli stati. Allo stesso tempo il monopolio ha anche spinto lo stato, internamente, a regolare e controllare l'attività economica nel suo proprio territorio (anche al punto di nazionalizzare i mezzi di produzione nelle industrie strategiche chiave). Il capitalismo di stato e l'aggressione all'estero del monopolio sono tutti parte dell'infrastruttura imperialista. E questo non era uno stadio che ciascuno stato poteva scegliere di attraversare alla sua propria velocità di sviluppo (qui siamo completamente d'accordo con voi che l'idea di “nazioni oppresse” rientri in una visione meccanica dello sviluppo capitalista, che sfortunatamente era molto diffusa nella socialdemocrazia e da cui Lenin non era immune). Era la legge di accumulazione che operava ad una scala globale. Ovviamente tutti quegli stati che avevano la forza economica per farlo, potevano difendere i loro capitali, mentre gli altri dovevano cercare di aggirare le condizioni che gli stati imperialisti dominanti avevano creato nell'economia mondiale. Questo significa che nessuno stato può sfuggire all'imperativo imperialista, per quanto debole esso sia. Per noi c'è una gerarchia di stati imperialisti e la posizione che uno stato vi occupa dipende largamente (anche se non totalmente) dalla massa di capitale che esso controlla. Collegare l'imperialismo al processo di accumulazione aiuta anche a spiegare perché l'epoca imperialista sia caratterizzata da guerre che terminano solo con l'annientamento del nemico, a differenza delle guerre del diciannovesimo secolo che si decidevano spesso dopo un singolo scontro. La guerra imperialista è tesa a distruggere il valore del capitale del nemico, mentre si preserva il proprio. Il risultato netto di tali guerre è la massiccia distruzione di capitale e la svalutazione del capitale in generale. Questo apre la strada ad un nuovo ciclo di accumulazione. La guerra imperialista quindi sostituisce le crisi puramente economiche del periodo in cui il capitalismo, come modo di produzione, si trovava nella fase ascendente. La miseria inflitta all'umanità dal capitalismo nella sua fase imperialista è il motivo per cui noi diciamo che il sistema non è più compatibile con il futuro dell'umanità. L'imperialismo è l'era della “decadenza e parassitismo del capitale”, come lo definiva Lenin (anche se le forze motrici dell'imperialismo sono diverse oggi da quelle identificate da Lenin nel 1916), ed è questa visione che inquadra la nostra prospettiva rivoluzionaria oggi.

Queste note sono ovviamente molto schematiche (basate su quello che abbiamo scritto in Internationalist Communist nel corso degli anni) ma speriamo che voi le troviate abbastanza stimolanti e che vi forniscano qualcosa a cui rispondere.

Saluti internazionalisti

Jock per la CWO/BIPR

Dall'EKS

Cari compagni,

grazie molte per la vostra email del 12 dicembre.

Quello che intendevamo quando dicevamo “politica” era esattamente “infrastruttura politica” [political framework], ed è rappresentato in turco dalla stessa parola che “politica” [policy]. Siamo completamente d'accordo con voi sul superare i problemi semantici e concentrarci su quel che c'è dietro.

Noi non separiamo la teoria dai principi. Naturalmente essi sono intrecciati. Siamo assolutamente d'accordo che i principi sorgono dal riflesso della pratica passata del movimento operaio e come tali essi sono necessariamente parte di un processo teorico, comunque basato sulla realtà materiale. Tuttavia, mentre diciamo ciò, noi siamo allo stesso tempo convinti della giustezza della parafrasi di Goethe fatta da Lenin: “L'albero della teoria è sempre grigio, mentre l'albero della vita è verde”. La teoria è molto importante, e noi discutiamo continuamente di teoria, ma il suo valore pratico per i rivoluzionari è essere capaci di trarre da essa i principi comunisti. Questo è il motivo per cui noi riteniamo i principi come più importanti della teoria, e dopotutto noi possiamo parlare con gruppi che hanno teorie diverse ma che condividono i principi comunisti, possiamo anche avere membri che hanno teorie diverse ma condividono i principi comunisti, mentre non possiamo come organizzazione mai lavorare con qualche singolo o gruppo che non sostiene i principi comunisti. Bisognerebbe anche notare che la teoria non dovrebbe mai diventare dogmatica in una organizzazione, dato che se diventa dogmatica non si può più sviluppare.

Tornando al tema dell'imperialismo, noi non vediamo ancora nessun disaccordo con voi sulla questione, e infatti siamo un po' sorpresi di vedere che voi continuate a vederlo. Prima di tutto, siamo contenti che vi troviate d'accordo con noi sul fatto che il più importante aspetto dell'anti-imperialismo è il rifiuto di tutti i tipi di nazionalismo. Per quanto riguarda il fatto che noi diciamo che l'imperialismo è la naturale sovrastruttura politica che sorge dall'“infrastruttura” economica, noi non vediamo questo come una via per separare una base economica capitalista da una sovrastruttura imperialista, dal momento che quello che noi diciamo dipende direttamente dal concetto di “determinismo economico” di Marx, e la sua critica dell'economia politica, che alla fine collega infrastruttura economica e sovrastruttura socio-politica. Quindi quello che noi rimarchiamo, lungi dall'essere una separazione tra una base economica capitalista e una sovrastruttura politica imperialista, è in effetti la connessione e l'unità tra le due, e in questo senso ciò ci permette di affermare che l'imperialismo è capitalismo.

Sulla questione che l'imperialismo sia una “fase” o “l'infrastruttura politica naturale”, anche questo problema ci pare più che altro semantico. Prima di tutto, le due definizioni non si contraddicono nemmeno, a patto di non ritenere che l'infrastruttura politica possa essere cambiata o che ci siano alcuni stati che non sono nella “fase imperialista”. Siamo d'accordo con la vostra analisi economica sugli sviluppi nell'area in cui Lenin identificava l'imperialismo. Tuttavia, voi aggiungete anche - giustamente - che “le forze motrici dell'imperialismo sono diverse oggi da quelle che Lenin aveva identificato nel 1916”. Prima di tutto questo mostra una comprensione del fatto che anche l'imperialismo sia cambiato, assieme ai cambiamenti sperimentati dallo stesso sistema capitalista. Anche quando voi dite: “Per noi c'è una gerarchia di stati imperialisti e la posizione che vi occupa uno stato è determinata largamente (anche se non totalmente) dalla massa di capitale che esso controlla”, di nuovo noi non vediamo proprio nessun disaccordo con la vostra critica della nostra analisi secondo cui esso riguarda lavoro e risorse (materie prime e mezzi di produzione), dal momento che la massa di capitale viene dal ciclo dove il capitalista investe in capitale variabile (forza-lavoro salariata) e capitale costante (materie prime e mezzi di produzione), si appropria di plusvalore nella forma di profitto, e inizialmente reinveste i profitti nella produzione. Questo ciclo inizialmente accumula capitale, che finisce nella creazione di massa di capitale.

Ci sono molti aspetti della vostra lettera che noi pensiamo valga la pena discutere nelle nostre riunioni. Questo ci aiuterà anche nella nostra chiarificazione teorica. Grazie ancora per la vostra lettera, speriamo di sviluppare la nostra corrispondenza con voi.

Saluti comunisti

Leo per l'EKS

Dal BIPR

Cari compagni,

grazie per la vostra lettera del 16 dicembre. Ci scusiamo per la mancanza di risposta fino ad ora, ma c'è stata una quantità inusuale di corrispondenza da discutere (normalmente in questo periodo dell'anno le cose sono abbastanza tranquille, almeno sul fronte europeo).

Primo, noi non vediamo questa corrispondenza come riguardante gli accordi o i disaccordi, ma una esplorazione vicendevole di ciò che noi intendiamo per imperialismo. Quel che noi abbiamo fatto è stato tracciare (sia pure in maniera breve e schematica) la nostra visione complessiva dell'imperialismo, cosicché voi potevate vedere i punti in cui vi riconoscete o no. Siamo contenti che voi troviate così tanti punti che sono in accordo con quello che state cercando di esprimere. Dobbiamo confessare che non siamo sicuri di aver capito bene cosa voi vogliate dire alla fine del paragrafo sull'economia dell'imperialismo, ma questo può essere lasciato per una occasione successiva. Infatti, dato che voi non avete espresso alcun disaccordo con la nostra posizione, c'è poco che possiamo aggiungere a questa discussione.

Siamo parimenti d'accordo con voi sulla citazione di Lenin: “La teoria è grigia, amico mio, ma verde è l'albero eterno della vita” era un'altra versione che scrisse e che noi citiamo spesso tra di noi. Tutto il lavoro teorico che facciamo deve servire a fornirci le armi adeguate alle esigenze delle future lotte della classe operaia. Come disse pure Lenin: “Non ci può essere pratica rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria” e la teoria significa, come intendete chiaramente e correttamente voi, una continua risposta agli sviluppi ed attività della classe operaia nel suo insieme. Con questo spirito, vogliamo augurarvi ogni successo con il lavoro di sviluppo di una prassi rivoluzionaria nel milieu turco e internazionale e in particolare un anno fruttuoso nel 2007.

Saluti internazionalisti

Jock per la CWO/IBRP

(1) Sezione inglese della Corrente Comunista Internazionalista. Scivere a BM Box 869, London WCIN 3XX.