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Contro la guerra, contro il capitale, proletari di tutti il mondo, unitevi!
Tra fragili riprese e profonde recessioni, la crisi mondiale del capitalismo continua ad avvitarsi su se stessa. Per questo, anno dopo anno, il proletariato internazionale, le masse diseredate, sono strette nella morsa della guerra, della miseria e dello sfruttamento: i margini di amministrazione della crisi si riducono e per la borghesia non ci sono alternative.
Una guerra non è ancora finita, che già ci si prepara ad una nuova aggressione, naturalmente col pretesto di portare libertà e democrazia. La belva imperialista USA, che ha trasformato l’Iraq in un macello per difendere la supremazia del dollaro negli scambi internazionali, assicurarsi il controllo della più importante materia prima - il petrolio - e continuare a vivere di debiti a spese del proletariato internazionale, agita lo spettro dell’attacco al regime clerico-fascista dell’Iran. Ma il vero nemico non sono tanto le borghesie fondamentaliste islamiche, a loro volta affamate di profitti e rendite, bensì gli imperialismi nemici che, oggi troppo deboli sul piano politico-militare, possono diventare una temibile minaccia allo strapotere USA. Dietro la guerra per il controllo del petrolio mediorientale c’è anche l’euro, ci sono la Cina e la Russia; così come dietro i Chavez e i Morales ci sono le immense riserve di materie prime dell’America Latina, spudoratamente saccheggiate dalle multinazionali nordamericane e dalle borghesie locali.
In questo fosco quadro, il proletariato ha recitato, finora, per lo più la parte del pugile “suonato”. Licenziamenti, precarietà, disoccupazione si aggiungono all’attacco del salario diretto e al furto di quello indiretto - lo stato sociale - là dove esisteva. Governi di qualsiasi colore e di qualunque paese mettono in atto le stesse politiche di aggressione al lavoro salariato, perché tutti rappresentano, in definitiva, gli interessi complessivi della borghesia.
E dappertutto, il sindacato, con la scusa del “male minore”, fa ingoiare ai lavoratori e ai disoccupati più sfruttamento, giornate lavorative più lunghe e meno salario, più insicurezza: è il padronato che bastona, ma è il sindacato che tiene fermi i lavoratori!
Qui e là, nel mondo, qualche notevole manifestazione di rabbia e di lotta sociale ha lacerato questo cupo scenario: dalle banlieues francesi alla battaglia contro il CPE, dagli scioperi in qualche grande fabbrica tedesca alle oceaniche manifestazioni contro le reazionarie leggi anti-immigrati negli USA, settori di proletariato - e anche di piccola borghesia minacciata dalla proletarizzazione - si sono ribellati contro una vita di umiliazioni, di precarietà, di miseria. Ma sono rimasti episodi, spesso molto confusi politicamente, limitati nelle prospettive oppure alla fine recuperati dalle tradizionali forze della sinistra borghese, quando non sono nati con l’apporto decisivo di una parte della borghesia più “lungimirante”.
E dove non arriva la sinistra tradizionale, c’è il radical-riformismo a seminare illusioni in un “altro mondo possibile”, cioè in un capitalismo “diverso”, con le sue infantili ricette magiche, preludio di sicure sconfitte demoralizzatrici. Come, da chi, in che nodo si prenderebbero i soldi per il “reddito di cittadinanza”? E poi, solo per i precari/disoccupati? E gli altri, giù a sgobbare come muli a produrre il plusvalore per tutti? Via, andiamo...siate seri!
Questo però non significa che non c’è niente da fare, al contrario. Oggi più che mai è drammaticamente necessaria la ripresa della lotta di classe proletaria, ma una lotta vera, oltre e contro la logica del sindacalismo, anche di quello sedicente “di base”. Una lotta autorganizzata, diretta dalle assemblee dei lavoratori, che vada oltre l’orizzonte dell’azienda e/o del comparto per collegarsi al resto della classe.
Non meno necessaria è la ricostruzione di un autentico partito comunista, internazionale e internazionalista, che, avendo da gran tempo fatto criticamente i conti con lo stalinismo e le sue eredità storiche, possa dare continuità e prospettive politiche coerentemente anticapitalistiche, per farla finita, una volta per tutte, con guerra, miseria, sfruttamento. Cioè, con il capitalismo in tutte le sue possibili versioni, una più forcaiola dell'altra.
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