Per l'intervento utile a rilanciare la iniziativa proletaria nella lotta di classe

Per discutere di cosa fare verso e nella classe operaia occorre innanzitutto stabilire quale è la fase dei rapporti di forza che essa vive con il capitale, quindi la condizione del capitale e le sue prospettive.

È fuor di dubbio che siamo nella fase di crisi del terzo ciclo di accumulazione del capitale (il primo portò alla prima guerra mondiale - e alla Rivoluzione d'Ottobre - e il secondo alla seconda guerra mondiale).

È questa crisi che ha portato

  1. alla implosione del blocco che faceva capo all'Urss,
  2. alla profondissima ristrutturazione dell'apparato produttivo (coincidente con una vera e propria rivoluzione tecnologica) in paesi come quelli europei e il Giappone che ha comportato decine di milioni di posti di lavoro persi in area Ocse e la sostanziosa perdita di potere di acquisto dei salari nei paesi avanzati,
  3. alla finanziariazzazione dell'economia americana e in parte britannica, cioè a un più accentuato spostamento di queste economie sul terreno della speculazione finanziaria e della rendita,
  4. alla crescente aggressività degli Usa, non più contrastati dall'Urss e non ancora dall'Europa, per difendere la continuità delle sue fonti di rendita: il controllo del petrolio e della sua commercializzazione.

Di fronte a questo stato di cose e a questo pesantissimo attacco alle sue condizioni di vita e di lavoro, la classe operaia ha risposto in modo del tutto inadeguato. In sostanza ha consentito che tutto ciò accadesse senza reagire.

La passività del proletariato di fronte all'attacco ricevuto trova le sue ragioni in due fenomeni potentissimi e concomitanti.

Ristrutturazione e composizione di classe

Il primo, di carattere strutturale, consiste nella profonda mutazione della stessa composizione di classe. La rivoluzione tecnologica del microprocessore, in cui si è tradotta la citata ristrutturazione dell'apparto produttivo, e la parallela crescita vertiginosa delle comunicazioni e degli scambi sia di informazioni sia di merci, ha comportato la possibilità della frammentazione di quasi tutti i procedimenti produttivi in fasi distinte e separabili così da consentire alla borghesia

  • di dividere in aziende separate la forza lavoro precedentemente concentrata in una singola realtà produttiva;
  • di delocalizzare eventualmente a produzione dei semi-lavorati in più paesi non importa quanto distanti e in base all'esclusivo criterio della convenienza economica (combinato di costo del lavoro, disponibilità di infrastrutture, facilitazioni amministrative e fiscali);
  • di realizzare una profonda riorganizzazione del lavoro e una radicale riscrittura delle mansioni e delle gerarchie, tale da cancellare vecchie figure e introdurne di completamente nuove.

Due dei risultati complessivi del processo sono la graduale scomparsa delle grandi concentrazioni operaie - che fa dire agli ingenui e ai bugiardi che siamo passati... al postindustriale - e la mutata composizione del proletariato che, insieme, modificano radicalmente la condizione del formarsi dell'iniziativa di lotta.

Fine del socialismo?

L'altro fenomeno che ha concorso a determinare la passività della classe di fronte agli attacchi del capitale è l'implosione del blocco sovietico. Centinaia di milioni di proletari nel mondo sono cresciuti nella convinzione che nell'Unione Sovietica si concretasse, per quanto in modo limitato distorto o criticabile, il socialismo, l'obiettivo di emancipazione della classe operaia e di liberazione dell'intera società, l'oggetto della speranza, l'Ideale. La sua misera fine ha frantumato quella convinzione e ha lasciato quelle stesse masse disilluse alla mercé della grande campagna di mistificazione ideologica della borghesia. Lo stalinismo continua a far danni, anche da morto.

Come per quasi cinquant'anni la borghesia ha sostenuto lo stalinismo nella mistificazione secondo la quale il regime in Russia sarebbe stato il "socialismo reale", così la fine di quel regime è stata salutata come la morte, ovvero il fallimento del socialismo. Era facile a quel punto deridere e negare ogni validità a tutto l'impianto teorico del socialismo stesso, a partire dalla lotta di classe, dalla esistenza stessa delle classi. Tanto facile che molti uomini di punta del partito che fu braccio politico dell'Urss in Italia, il PCI, si affrettarono a voltar gabbana e a rinnegare la classe operaia come suo referente, anche elettorale.

La particolare bivalenza del PCI - braccio politico del Cremlino da una parte e rappresentanza politica della classe operaia nell'ambito della democrazia borghese, cioè della mediazione istituzionale, dall'altra - si è risolta nell'uniformarsi di quegli uomini al "pensiero unico" della conservazione borghese, che accomuna destre e sinistre istituzionali e che vede la società solamente e banalmente composta da cittadini consumatori di merci.

Quel fallimento del "socialismo reale" ha profondamente colpito anche gli altri di quello stesso PCI, che hanno rifiutato, almeno in un primo tempo, il rinnegamento dei lavoratori quali referenti elettorali e che tentano, nel partito di RC, di riconquistare quella rappresentanza. Resta in quel partito il problema del che fare di quella stessa rappresentatività, una volta eventualmente riconquistata ed è evidente che il problema del programma è difficilissimo per RC, se ne delega la riscrittura al cosiddetto "movimento dei movimenti". Come si configuri questo mondo diverso che sarebbe possibile è ancora molto poco definito. Ma intanto quel che è stato delineato non si discosta per nulla dal capitalismo, ovvero non mette minimamente in discussione i rapporti di produzione e sociali caratteristici del capitalismo. Siamo cioè alla riproposizione del riformismo, spesso con le forme proprie ad epoche ormai remote (il cooperativismo... no profit, per esempio) e che di più la crisi stessa limita nelle sue possibilità di sia pur minime realizzazioni.

Il sindacato

I suddetti processi e fenomeni hanno scarsamente inciso sul ruolo e funzione dei sindacati. La ristrutturazione dell'apparato produttivo e la scomposizione di classe hanno piuttosto inciso sulla loro capacità di organizzare le masse proletarie e di esercitare una loro vera rappresentanza sul terreno della contrattazione.

I sindacati sono diventati sempre più elemento di conservazione capitalista, quanto più è cresciuto l'accentramento del capitale e quanto più si è manifestata la crisi di ciclo.

I sindacati sono e sono sempre stati gli strumenti di contrattazione del prezzo e delle condizioni di vendita della forza lavoro, che la classe operaia utilizza per conquistare qualcosa quando le condizioni del capitale lo permettono. In altri termini, i sindacati sono strumenti di mediazione fra capitale e lavoro, a favore del lavoro fintanto che è possibile, e si pongono a difesa della mediazione stessa e delle sue condizioni, quando la crisi erode i margini di contrattazione. Ciò significa in sostanza che i sindacati, dovendo difendere le condizioni della mediazione quali condizioni della loro esistenza sono ineluttabilmente portati nei periodi di crisi a diventare interpreti dei bisogni del capitale presso il lavoro, agenti della borghesia nei confronti del proletariato.

Al di là delle sceneggiate attuali fra CGIL da una parte e CIS-UIL dall'altra sui tempi e i modi per assestare le bastonate alla classe operaia, tutti i sindacati, come tali, sono oggi i più insidiosi strumenti del capitale per far subire alla classe operaia i pesantissimi attacchi che ha subito, sta subendo e subirà. Non è dai sindacati, né dal sindacalismo in generale, che ci si possono attendere iniziative atte alla ripresa dell'attività proletaria in autodifesa e dunque in contrattacco al capitale.

Scenari di guerra

Nella situazione dei rapporti di forza fra le classi favorevole alla borghesia internazionale, questa si sta avvoltolando nelle politiche guerresche classicamente conseguenti alle crisi dei cicli di accumulazione.

Venuto meno il nemico sovietico, il blocco occidentale va dividendosi fra i suoi ex maggiori componenti, fra i quali crescono le divergenze di enormi interessi. Primo fra tutti è quello sul petrolio. Il petrolio è la linfa vitale della moderna società capitalista. Lo è in quanto materia prima e principale fonte energetica, ma, per queste sue caratteristiche che ne hanno fatto una merce universale, lo è anche e soprattutto perché fonte di una gigantesca rendita finanziaria di cui i principali beneficiari sono gli Usa, grazie soprattutto al fatto che lo strumento di intermediazione resta il dollaro. Con quella rendita gli Usa pagano interamente le gigantesche spese militari (si parla di settecento miliardi di dollari all'anno) e sorreggono la loro altrimenti asfittica economia. Gli Usa sono dunque costretti alla difesa di quella rendita, in particolare dalle insidie dell'euro e dalle incertezze e variabilità delle forniture. Da ciò sono state originate le guerre, dalla prima del Golfo in poi, che hanno visto l'intervento americano, prima in veste Onu, poi in veste Nato e ora in proprio, e da ciò prende origine la crescente diffidenza/ostilità europea alle guerre americane.

Non sarà certo il pacifismo di stampo religioso o comunque idealistico a fermare le guerre della borghesia, che cresceranno fino alla guerra generalizzata a meno di un deciso intervento di classe proletaria, di autodifesa prima e di contrattacco poi.

Per la ripresa di classe

Innanzitutto va ribadito e tenuto sempre presente che la ripresa della iniziativa proletaria nella lotta di classe non è un atto di volontà delle avanguardie militanti del proletariato stesso, né il prodotto necessario della loro propaganda e agitazione.

Tale ripresa invece deriva - se si verifica - da un insieme complesso di fattori gran parte dei quali sfuggono al controllo delle avanguardie e del partito stesso di classe. È invece compito imprescindibile delle avanguardie - pena la sconfitta della eventuale ripresa di iniziativa - fare ogni sforzo per indirizzarla sul percorso organizzativo e politico più adeguato nella prospettiva rivoluzionaria, della battaglia finale per il potere.

In questo senso è prioritario definire le linee generali in cui la ripresa si rende possibile.

Fuori e contro il sindacato, innanzitutto. Fuori e contro cioè la logica della contrattazione come obiettivo delle lotte.

Organizzazione autonoma, sul posto di lavoro prima e sul territorio poi, dei lavoratori via via allargata sino al coordinamento nazionale, mediante delegati eletti e revocabili dalla assemblea. Nella prima fase ciò si può esprimere con il darsi di prime forme di autorganizzazione della lotta sui singoli posti di lavoro, fuori e contro il sindacato, all'interno dell'assemblea che, sola, elegge l'eventuale rappresentanza per l'inevitabile trattativa e ne guida l'azione. Questo nel caso che il posto di lavoro occupi un numero di lavoratori sufficiente a che si dia una simile iniziativa. Ma le prime forme di autorganizzazione possono anche darsi come coordinamenti fra più unità di produzione della stessa o di diverse aziende, dello stesso o di diverso settore.

Per quanto limitato possa essere il successo rivendicativo di tali esperienze, costituirebbero comunque preziose esperienze positive per i lavoratori interessati e per quelli che in un modo o nell'altro le vengono a conoscere.

A fabbrica, uffici si aggiunge il territorio, dunque, quale possibile (forse più probabile) ambito di riaggregazione della classe sul terreno della propria lotta autonoma.

Intervento delle avanguardie

Dalle linee della possibile ripresa di iniziativa della classe operaia, discendono i contenuti politici che deve avere l'intervento nella classe. Anzi, i contenuti politici dell'intervento sono rappresentati dalle stesse caratteristiche della futura possibile ripresa.

L'intervento fra i lavoratori, nelle riunioni e assemblee, deve avere e indicare come obiettivo "immediato" essenziale l'autorganizzazione con le caratteristiche indicate.

Da qui, in certo modo, discende anche l'insieme dei temi sui quali l'intervento potrà e dovrà svilupparsi in modo particolare, dando per scontato il fatto che i "grandi temi politici" e in genere tutti i momenti in cui, per una ragione o per l'altra, il proletariato si ritrova in piazza, rappresentano un terreno imprescindibile e privilegiato per quel tipo di intervento.

  • La difesa del posto di lavoro, perennemente in pericolo,
  • la battaglia contro l'estensione del precariato,
  • la rivendicazione salariale in qualunque ambito contrattuale
  • la rivendicazione normativa e/o relativa ad ambiente e sicurezza

sono tutti temi e ambiti della possibile agitazione, sulla quel devono e possono convergere le avanguardie proletarie per un intervento che valga ad orientare la ripresa di iniziativa del proletariato verso una condizione politica nella quale si rende possibile l'ampia circolazione del programma rivoluzionario anti-capitalista.

È questa, infatti, a sua volta, la condizione imprescindibile del successo definitivo e dell'emancipazione dal lavoro salariato, inevitabilmente a scala internazionale.

Va da sé che la costruzione e il rafforzamento dell'organizzazione politica portatrice di quel programma, il partito internazionale del proletariato, è l'altro compito essenziale delle avanguardie proletarie e di tutti coloro che si schierano.con il proletariato e i suoi compiti storici.

Gli Internazionalisti di Battaglia Comunista