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Primo Maggio 2002
La giornata del Primo Maggio da troppi decenni è diventata un rituale privo dei suoi significati classisti di lotta anticapitalistica e priva di ogni messaggio internazionalista. Da troppi decenni è stata l'occasione per mobilitare i lavoratori di ciascun paese attorno alle rispettive forze riformiste, ai loro programmi e alle loro promesse elettorali ovunque concretizzatesi in quelle politiche anti-operaie che hanno portato a 30 milioni di posti di lavoro perduti in area OCSE, al taglio del salario reale (del suo potere di acquisto), e alla precarizzazione crescente del lavoro.
Ciò non ci ha impedito di essere sempre presenti alle manifestazioni del Primo Maggio, perché siamo stati, siamo e saremo sempre là dove scende in campo la nostra classe, anche quando è deviata da ideologie estranee e addirittura contrarie ai suoi interessi.
Siamo dunque in piazza pur sapendo che anche questa volta la gran maggioranza dei lavoratori sono egemonizzati da forze riformiste, più o meno radicali, che cercano di affogare il proletariato nella generica cittadinanza, di deviare l'internazionalismo classista verso il pacifismo impotente, di annacquare la lotta contro lo stato borghese in difesa della sua falsa democrazia.
Tuttavia, questo Primo Maggio cade in un periodo in cui molte sono le novità.
Innanzi tutto si moltiplicano i segnali dell'aggravamento della crisi capitalistica, caratterizzata dalla riduzione decisa dei tassi di profitto e dal predominio sempre maggiore del capitale finanziario/speculativo su quello industriale. Tale crisi è divenuta di proporzioni tali che innanzitutto spinge le borghesie di tutti i paesi all'attacco violento contro la classe operaia e tutto il proletariato, con il ritorno a "vecchie" forme di schiavitù del lavoro e con espulsioni crescenti di forza lavoro che prende la via di disperate migrazioni o si rassegna alla fame, con l'imposizione anche nelle aree economiche "forti" di salari bassi e lavoro precario. Una crisi che spinge i principali paesi imperialisti alle guerre per controllare i mercati delle materie prime e principalmente del petrolio, strumento fondamentale non solo dal punto di vista energetico, ma di rendita parassitaria in dollari, e potenzialmente anche nel concorrenziale euro, e che spinge anche i paesi meno forti finanziariamente a stare sul campo di battaglia, per contrattare un ruolo nella distribuzione sempre più magra del plusvalore estorto alla classe operaia.
Una crisi infine, e insieme una sua gestione da parte del capitale finanziario, che tiene interi stati del "sud del mondo" nel rischio sempre più concreto dell'immiserimento generale e che ha ridotto l'Argentina alla bancarotta totale.
Ma quest'anno c'è un'altra novità: riappaiono episodi di lotta proletaria coerentemente classista e autonoma dai partiti borghesi, anche riformisti, come la grande lotta dei piqueteros argentini. Anche nel "nord del mondo", all'interno di movimenti radical-riformisti, come i no-global, insieme a settori piccolo-borghesi democratici e anche a lavoratori ancora legati alla tradizionale sindacalizzazione, appaiono settori giovanili di proletariato spinti da più nette istanze anticapitaliste e da un odio più radicale contro lo stato borghese, come si è visto anche a Genova nelle mobilitazioni anti G8.
Di fronte alle nuove esplosioni, seppure embrionali, di lotta anticapitalista, è allora esigenza più che mai fondamentale la ricostruzione del partito comunista a scala internazionale.
Chiamiamo tutti i proletari d'avanguardia e le forze rivoluzionarie ad assumersi le proprie responsabilità soggettive contro quegli organismi e partiti che sostengono un impotente movimentismo e seminano illusioni democratiche. Tali forze si battono a favore di una pluralità di soggetti politici e di programmi diversi all'interno di un generico movimento per un "nuovo mondo possibile". Esse mascherano così il rifiuto di un programma comunista per la proprietà sociale dei mezzi di produzione e l'abolizione quindi del capitale (denaro, lavoro salariato, merce) e respingono l'abbattimento dello stato borghese, unica via per imporre il potere proletario e per iniziare la transizione verso una società veramente umana, Il loro "mondo possibile" è la pericolosa illusione - smentita tutti i giorni - di poter democratizzare il capitalismo.
È allora necessario che torni a operare l'organizzazione politica rivoluzionaria (il partito internazionale del proletariato) per la circolazione del programma rivoluzionario, per la lotta contro il compromesso che è accettazione del dominio capitalista, per la conquista della direzione rivoluzionaria.
Questa forza politica, il partito internazionale del proletariato, deve aver chiuso i conti con l'esperienza controrivoluzionaria dello stalinismo, con l'eredità socialdemocratica della Terza Internazionale e deve aver stabilito le basi metodologiche, teoriche e politiche del programma rivoluzionario
Gli internazionalisti che lentamente ma solidamente vanno raccogliendosi nel Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario si battono su questo piano e hanno già avviato il processo che porta alla costruzione del partito.
Chiamiamo le avanguardie politiche e i militanti di classe operaia a questo duro lavoro senza il quale la barbarie capitalista continuerà a trionfare con la non voluta ma oggettiva complicità del riformismo più o meno radicale.
Il Bureau Internazionale per il Partito RivoluzionarioInizia da qui...
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