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Manifestazione nazionale a difesa dell'art. 18
È un attacco violentissimo, quello che i padroni e il governo Berlusconi stanno portando contro tutto il mondo del lavoro salariato/dipendente; è un'offensiva globale, diretta a completare il lavoro dei precedenti governi - di qualunque schieramento politico - che hanno in gran parte già demolito il cosiddetto stato sociale (cioè, il salario indiretto e differito) e spianato la strada alla precarietà senza freni, al sottosalario, all'aumento dell'orario e dei carichi di lavoro, allo strapotere padronale.
Dopo la flessibilità in entrata, il padronato, tramite il governo, vuole imporre ora la flessibilità in uscita, vale a dire la possibilità di licenziare come e quando gli pare (specialmente al Sud), senza il pur debole ostacolo dell'articolo 18, e portare a compimento lo smantellamento del sistema pensionistico. Infine, per completare l'opera, il governo ha preparato una nuova legge sull'immigrazione che peggiora fortemente le già difficili condizioni di esistenza del proletariato immigrato. Ma più sfruttamento e oppressione per gli immigrati vogliono dire maggiore sfruttamento e maggiore oppressione per tutti i lavoratori.
Di fronte a un attacco di questa gravità, CGIL-CISL-UIL prima si sono sforzate - come sempre - di imbrigliare la disponibilità alla lotta dimostrata in questi mesi dai lavoratori, con scioperi spezzettati per categorie e/o regioni; poi, in modo altrettanto prevedibile, e nonostante le polemiche interne, hanno continuato a praticare la disastrosa - per i lavoratori - concertazione (vedi l'accordo per il pubblico impiego, i contratti dei tessili, del comparto gas-acqua, ecc.). Anche per questo, lo sciopero generale indetto dalla CGIL (con o senza CISL e UIL) appare chiaramente come un tentativo di rilancio del centro-sinistra e di una pratica riformista che la crisi del capitalismo - che non è di breve durata - ha reso totalmente impraticabile.
È infatti finita l'epoca delle concessioni parziali e dei piccoli miglioramenti ottenibili con scioperi di settore. Né tantomeno risultano realistiche rivendicazioni quali lo stipendio "europeo" o il salario minimo garantito ai disoccupati, portate avanti con le normali prassi sindacali concertative o "antagoniste", ma comunque condotte nel rigoroso rispetto della normativa anti-sciopero: nelle epoche di crisi i padroni e i governi indirizzano ogni intervento alla difesa accanita dei margini di profitto e delle manovre speculative, in primo luogo dei gruppi industriali e finanziari più potenti, intensificando lo sfruttamento, moltiplicando i focolai di guerra e speculando sulle torbide e sanguinose provocazioni antiproletarie, qual è l'omicidio di Biagi, che puntualmente appaiono ogni qual volta si manifesta una certa effervescenza sociale.
Dobbiamo dunque contrastare con determinazione l'attacco alle nostre condizioni di esistenza e, allo stesso modo, respingere le guerre in corso e quelle che verranno. Siamo infatti di fronte all'inizio di una nuova fase di contesa imperialista, nella quale si evidenzierà ancor di più come i nostri interessi immediati e storici siano totalmente opposti a quelli della borghesia. Infatti, col pretesto della guerra, qualunque forma di opposizione sociale potrebbe essere considerata una forma di tradimento e perciò vietata o fortemente limitata; inoltre, la guerra è sempre pagata coi sacrifici dei lavoratori. Infatti, mentre si tagliano salari, pensioni, sanità, la Finanziaria aumenta le spese militari e quelle a favore degli apparati repressivi dello stato. Per questo dobbiamo rifiutare ogni blocco contro il nemico di turno. E lo stesso va detto ai lavoratori di tutto il mondo.
Oggi siamo dunque in piazza (e sciopereremo) insieme ai lavoratori e a coloro che sentono la gravità dell'attacco ai propri interessi, ma non per seminare illusioni sulla possibilità di "riconquistare" un cosiddetto stato sociale o sulla costruzione di un "mondo possibile" attraverso un'impossibile umanizzazione dei meccanismi del mercato e dello sfruttamento. Ci siamo per dire che non dobbiamo cadere nella trappola di lottare solo contro questo governo infame per spianare la strada a governi diversi, ma sempre anti-operai; ci siamo per agitare la necessità indispensabile di unire la classe operaia e tutti gli sfruttati nella lotta anticapitalistica, per propagandare l'unica via d'uscita dalle conseguenze catastrofiche - anche sul piano ideologico e culturale - del capitalismo in crisi: la rivoluzione comunista per una società senza classi. L'eroico proletariato argentino, con le sue lotte - basate su una reale autorganizzazione dal basso, volte all'unità fra tutti i settori proletari - e anche con i suoi limiti, ci indica la strada!
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